Rubriche
tratto dal n.06 - 2007


Non è colpa di Bruxelles


Sandro Gozi, Non! Ce n’est pas la faute à Bruxelles, 
Le Manuscrit, Paris 2007, 
238 pp., euro 17,90

Sandro Gozi, Non! Ce n’est pas la faute à Bruxelles, Le Manuscrit, Paris 2007, 238 pp., euro 17,90

Ho conosciuto Sandro Gozi in occasione delle celebrazioni dei cinquant’anni anni dalla firma dei Trattati di Roma svoltesi in Campidoglio nel marzo scorso. L’analisi della situazione dell’Europa, di questa Europa in crisi soprattutto dopo i due “no” ai referendum francese e olandese, che Gozi fa in un bel libro-intervista, per ora pubblicato solo in lingua francese ma che spero venga presto tradotto anche in italiano, è puntuale, appassionata e spassionata e, dico subito, condivisibile e condotta da un versante essenzialmente politico. C’è poco da fare: siamo in un’Europa che non si presenta più come un progetto avanzato che progredisce, ma ancora come un’idea che, all’opinione pubblica, appare come qualcosa che perde prestigio e non è in grado di dare risposte alle nuove sfide della globalizzazione. Gozi ama l’Europa, è un europeista convinto, «de coeur et de raison» (p. 22); sente europeo, ragiona europeo. Ogni riga di Non! Ce n’est pas la faute à Bruxelles, ogni risposta che dà a Sandrine Kauffer in questa interessante conversazione è una analisi seria e competente dell’attuale situazione dell’Europa (almeno a partire dal 2005), e trasmette entusiasmo per la causa europea.
Già consigliere di Romano Prodi alla Commissione Europea, oggi Gozi è deputato alla Camera, consigliere per gli affari europei alla Presidenza del Consiglio, presidente della Commissione bicamerale “Schengen, europol e immigrazione”.
Nella prima parte del libro fa dunque un’analisi tutta sua sui “no” espressi nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi (p. 55ss), in larga parte condivisibile. Particolarmente interessante l’esame del “no” francese, che definisce “classico”, da qualsiasi parte lo si voglie vedere; un “no” incosciente. Il mondo, osserva Gozi, è diventato troppo grande anche per la Francia, che continua a considersi una grande nazione (p. 60). Dicendo “no” all’Europa, la Francia si è finalmente negata, ha messo fine alla sua leadership, e certamente viene a perdere un ruolo preponderante nell’Europa di oggi. E per ritornare al centro della scena, al cuore del gioco politico europeo, sarà obbligata a prendere delle iniziative forti (p. 63). D’accordo: il nuovo corso della politica francese mi pare stia andando in questa direzione.
La colpa è di Bruxelles? «No, la colpa non è di Bruxelles», si sforza di spiegare l’autore; la responsabilità va condivisa tra tutti i Paesi europei. Come arrestare allora questa crisi progettuale di un’Europa che non affascina più? C’è un difetto di formazione, informazione e comunicazione, sostiene Gozi, che poi generosamente (è la seconda parte del libro) indica soluzioni politiche, ma anche tecniche e operative, ponendo davanti a tutto la necessità di rafforzare le relazioni interparlamentari, anche in vista delle prossime elezioni europee del giugno 2009. La terza parte del libro “Che avvenire per il trattato costituzionale europeo?” è, per così dire, in costruzione.
Gozi conosce molto bene la politica francese anche per aver vissuto molti anni a Parigi; i suoi giudizi sui personaggi politici contemporanei (l’intervista è precedente alle elezioni presidenziali e legislative in Francia) sono equilibrati e dettati da sincerità.
Io non so se e quando questo libro-intervista di Sandro Gozi verrà pubblicato in edizione italiana; credo comunque che si tratti di un solido contributo alla causa europea che non dovrebbe andare disperso, ma valorizzato e divulgato.




Partiti decaffeinati, repubblica depressa


Pier Antonio Graziani, 
Partiti decaffeinati, repubblica depressa, Nuove Edizioni Ebe, Tarquinia (Vt) 2006, 132 pp., 
euro 8,50

Pier Antonio Graziani, Partiti decaffeinati, repubblica depressa, Nuove Edizioni Ebe, Tarquinia (Vt) 2006, 132 pp., euro 8,50

Già dal sottotitolo si capisce il nocciolo del nuovo lavoro di Pier Antonio Graziani: l’autore individua in De Gasperi, quale fondatore di una Democrazia cristiana autonoma dalla Chiesa, e in Togliatti, trasformatore di un Pci meno settario, ma pur sempre connesso con la grande chiesa del comunismo moscovita, gli attori principali dei primi decenni repubblicani. È lo stesso Graziani nell’introduzione a Partiti decaffeinati, repubblica depressa a riconoscere che: «È sull’impronta che danno ai loro partiti che si manterrà in piedi la Repubblica sin quando la crisi dell’uno sarà causa non secondaria della depressione dell’altra e dell’inizio di una stagione politica nella quale faranno il loro ingresso il populismo di destra, il localismo secessionista, il referendismo di destra e di sinistra» (p. 15). Quando questi due pilastri che sostengono la Repubblica cedono, la Repubblica va in depressione.
Sessant’anni della nostra storia sono ripercorsi in questo libro con acume e intelligenza politica; lo stile giornalistico raggiunge efficacemente l’obiettivo di presentare le grandezze dei protagonisti della ricostruzione democratica dell’Italia postfascista. Non manca, alla fine, uno sguardo per così dire “oltre confine”. Purtroppo la politica oggi ha assunto una logica e una prassi molto lontane dalle tradizionali modalità di parlare alla gente, di trasmettere idee, cultura, premesse per una conseguente prassi operativa. Il libro di Graziani, giornalista che conosce bene la politica per averne vissuto anche i travagli dal di dentro, nel Parlamento italiano e in quello europeo (con lui io vissi in Senato gli avvenimenti dei primi anni Novanta; che lui descrive bene ne La catarsi democristiana a p. 115), ti fa passare davanti come in un film i principali avvenimenti della nostra esperienza repubblicana, sostanzialmente fino alla fine degli anni Novanta, quando nasce il partito della Margherita. «Una conclusione, osserva Graziani (p. 117) «per la quale premevano ambienti cattolici del Nord vicini a Romano Prodi, e che trovava riscontro nella depressione di quadri e di dirigenti del partito abituati a pensarsi determinanti nello schieramento politico. Il partito degasperiano finisce a questo punto».




La congiura di Torquemada


Luca Volontè, La congiura 
di Torquemada, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2007, 152 pp., euro 12,00

Luca Volontè, La congiura di Torquemada, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2007, 152 pp., euro 12,00

La citazione, in apertura di libro, di uno scritto di G. K. Chesterton ne dichiara chiaramente l’umore: «Viene il giorno in cui bisogna sfoderare la spada per difendere il semplice fatto che le piante d’estate sono ricoperte di foglie verdi».
Luca Volontè in La congiura di Torquemada (Rubbettino editore) ricostruisce con puntigliosità e dovizia di particolari la vicenda capitata a Rocco Buttiglione due anni fa, al Parlamento europeo, allorquando il politico italiano venne designato dal governo all’incarico di commissario per la Giustizia: subì un vero e proprio processo messo in atto da potenti lobby europee, dalla stampa, anche italiana, e da una coalizione di attivisti e parlamentari europei. La rilettura di quel “processo” a Buttiglione, induce ad alcune riflessioni. Ma il tempo è galantuomo e succede che le tesi esposte da Buttiglione, che gli valsero l’allontanamento dalla Commissione europea, vengano riprese subito dopo, e vigorosamente, da papa Benedetto XVI e siano oggi argomento di confronto e discussione ancor più aspri.
«Il caso Buttiglione sarebbe stato inconcepibile nell’Europa immaginata dai fondatori [...]: Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, Robert Schuman», annota il professor George Weigel nell’introduzione, e il lavoro di Volontè è tutto teso a dimostrare come dal «caso Buttiglione» sia scaturito una sorta di fiume in piena (laicismo ideologico) che rischia di travolgere tutto e tutti, in Europa soprattutto, e che può manifestare anche diramazioni sotterranee che oggi magari non si vedono ma che col tempo sono in grado di provocare crolli di edifici, distruzioni, macerie e rovine; verrebbero annientate le radici dell’Europa.
È una denuncia forte, dai toni molto chiari quella che Volontè fa in questo libro – forse dai toni un po’ esagerati – su posizioni molto rigide e scenari tragici, ma non distanti dal reale (pp. 3-29), e la lettura di come sono andate le cose in Commissione (v. i resoconti) e sulla stampa non porta molto lontano dalla realtà. Sarà possibile costruire la casa comune europea senza che nessuno abbia in mente quali possano essere le fondamenta? Si chiede Volontè nella parte conclusiva del libro. E spiega molto bene la nostra condizione di sradicati spirituali di un vecchio continente che, dimentico della propria storia e delle proprie radici, si affanna in tante direzioni senza una meta e senza una bussola.




I salesiani a Roma



Nella premessa al libro di Maria Franca Mellano, L’opera salesiana Pio XI all’Appio-Tuscolano di Roma (1930-1950) viene tracciata la mappa della presenza salesiana a Roma: Sacro Cuore (1880); Testaccio (1901); Pio XI (1929); San Callisto (1930); San Tarcisio (1931); Borgo-Ragazzi don Bosco (1948); Istituto Gerini (1952); Don Bosco (1953); San Lorenzo (1966); Santa Maria della Speranza (1972); Gerini studenti Ups (1978); Gerini parrocchia (1981); Beato Filippo Rinaldi (1993), San Venceslao (1993).
La prima Opera salesiana della città risale a don Bosco e fu irta di difficoltà, superate dalla fermezza del fondatore della congregazione, che fu sorretto soprattutto dagli obiettivi che scorgeva al di là degli ostacoli. Anche il Testaccio riservò nei suoi esordi prove non sottovalutabili. Si trattava di una zona densa di popolazione e carente di assistenza religiosa; alcuni degli abitanti riservarono ai nuovi venuti un’accoglienza difficile, in certi momenti anche ostile e diffidente: dovettero passare vari anni prima che si raggiungesse una matura comprensione reciproca. La terza iniziativa salesiana nella capitale ebbe uno sfondo decisamente diverso. La via Tuscolana alla fine degli anni Venti del Novecento era un tranquillo sito immerso nella campagna, scarsamente abitato, destinato però a essere assorbito nella città, in crescente espansione urbanistica. Creare un’Opera salesiana con una chiesa adeguata significava preparare razionalmente l’avvento del nuovo quartiere: da un versante i religiosi erano guidati dall’esigenza spirituale logicamente in prima istanza; non meno sollecitante, però, si imponeva l’aspetto umanitario – oggi diremmo sociale –, in quanto l’Opera si poneva al servizio della nuova società in formazione. Si apriva così al Tuscolano l’Istituto professionale, trasferita dalla sede del Sacro Cuore in cui era nata.
Il saggio è pubblicato dall’Istituto storico salesiano e si aggiunge agli studi storici sull’Opera salesiana a Roma e provincia.




Sorpresi dalla gratuità


Mauro Giuseppe Lepori, 
Sorpresi dalla gratuità, 
Cantagalli, Siena 2007, 
112 pp., euro 10,00

Mauro Giuseppe Lepori, Sorpresi dalla gratuità, Cantagalli, Siena 2007, 112 pp., euro 10,00

«Avvenga in me». Con questa frase, ripresa a sua volta dalle parole di Maria al momento dell’annuncio della nascita di Gesù, padre Lepori coinvolge il lettore di Sorpresi dalla gratuità in un viaggio alla scoperta del concetto di gratuità e di dono. Gratuità è un termine che viene usato per spiegare certi gesti di amore e carità verso il prossimo, ma mai spiegato e compreso fino in fondo. Il dono di cui parla l’autore è il dono della propria vita per gli altri, è l’accettazione della presenza di Cristo nel mondo. Lepori, attraverso la riproposizione di alcune sue lezioni tenute all’Associazione “Famiglie per l’Accoglienza” nel 2006, invita a riflettere sul concetto di dono gratuito, privo di motivazioni economiche o sociali, per mostrare come sia bello il dare gratuitamente. Da qui deriva il termine accoglienza, che rimanda alla volontà di ricevere nella propria vita sia Cristo che il prossimo. Gli esempi di dono riscontrabili nella nostra società (si pensi all’adozione) rigenerano, in un certo senso, il nostro tempo governato dal disprezzo e dalla bramosia di possedere sempre qualcosa di nuovo.
Il libro è dedicato alla memoria di don Luigi Giussani «per avermi detto un giorno e costantemente mostrato che la “paternità è sempre più grande della sofferenza che può comportare”».




Giovani di larghi orizzonti


Vincenzo Schirripa,
Giovani sulla frontiera, Studium, Roma 2006, 281 pp., 
euro 22,00

Vincenzo Schirripa, Giovani sulla frontiera, Studium, Roma 2006, 281 pp., euro 22,00

Nell’anno centenario della fondazione dello scoutismo – nato in Gran Bretagna nel 1907 – esce il presente volume di Vincenzo Schirripa, studioso di storia dell’associazionismo, che presenta un tassello importante, quello del periodo repubblicano fino alla nascita dell’Agesci negli anni Settanta, dello scoutismo italiano. «La storia dello scoutismo italiano» scrive nella prefazione Giuseppe Tognon, ordinario di Storia dell’Educazione presso l’Università Lumsa di Roma «trova in questo volume un contributo fondamentale, che la colloca a buon diritto non soltanto al centro della storia dei movimenti giovanili italiani del Novecento, ma anche tra i casi esemplari per verificare la solidità delle premesse civili e religiose della società italiana». Lo scoutismo, approdato in Italia nel mondo ecclesiale non senza alcune difficoltà dovute al sospetto di eccessivo «naturalismo pedagogico», nell’Italia repubblicana vede la conciliazione di tendenze anche opposte – radici militari e coloniali e pacifismo, ordine e originalità delle esperienze, capi e democrazia partecipativa – in un’originale storia educativa capace di mediazione tra patti generazionali e coeducazione, di attenzione agli ultimi, di condivisione del potere. Una mediazione educativa che, se collegata allo spirito di Baden Powell, in Italia è anche figlia del rinnovamento ecclesiale del Concilio ecumenico Vaticano II e della dottrina sociale della Chiesa da una parte e della storia democratica dall’altra.
L’autore sviluppa il testo alternando le vicende del ramo maschile (Asci) e del ramo femminile (Agi) dello scoutismo italiano nei tre decenni considerati, fino ad arrivare ai primi passi della fusione nell’Agesci: una fusione non facile, che durante gli anni Settanta avrà bisogno di continui chiarimenti strutturali e orientativi durante le presidenze di Giancarlo Lombardi (1976-1982) e Claudia Conti (1977-1980) e che, però, avrà un grande consenso giovanile, portando lo scoutismo italiano da 83mila soci nel 1974 a 191mila soci nel 1994. Nei diversi capitoli del volume emergono i temi e le tensioni che hanno caratterizzato lo scoutismo italiano tra il 1943 e il 1974 nel suo passaggio da movimento educativo elitario ad associazione popolare: dal dibattito sull’obiezione di coscienza nei primi anni Sessanta alla riflessione travagliata sulla pedagogia di genere e sulla coeducazione; dal tema della violenza di piazza e della contestazione alla proposta di una nuova attenzione alla politica. Il tema dell’ecclesialità dentro il tema dell’autonomia di azione associativa; il tema del linguaggio; la revisione del metodo con una forte attenzione all’educazione alla vita sociale; la storica udienza dell’Asci con Paolo VI per il cinquantesimo, lo spettro della scelta socialista, fino ad arrivare al dissenso interno sulla fusione. Sono pagine vive e vivaci, che dimostrano il grande apporto dello scoutismo italiano ai cambiamenti sociali ed ecclesiali, alla trasformazione della politica a partire da una particolare esperienza educativa fortemente coinvolgente i tempi e le scelte dei giovani.
La documentazione a base del volume si avvale di fonti d’archivio, ma anche della stampa associativa e di numerose interviste con i protagonisti del tempo: anche questo materiale dà al volume il carattere di originalità e di novità nei contributi. In conclusione, nell’anno centenario dello scoutismo, l’uscita di questo libro contribuisce a conoscere e apprezzare l’esperienza di un’associazione che è “dentro” le nostre città, con uno stile e un metodo educativo che – anche dentro le difficoltà e le tensioni – si è invitati a rileggere e rilanciare nel contesto giovanile attuale, con la consapevolezza anche – come si legge nell’introduzione – «che gli scout cattolici dell’Agesci rappresenteranno la risposta a una nuova domanda educativa e aggregativa dei giovani e delle famiglie» (p. 26).


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