Rubriche
tratto dal n.02/03 - 2008


Memorie e digressioni di un italiano cardinale


Giacomo Biffi, IMemorie 
e digressioni di un italiano cardinale/I, Cantagalli, 
Siena 2007, 640 pp., euro 23,90

Giacomo Biffi, IMemorie e digressioni di un italiano cardinale/I, Cantagalli, Siena 2007, 640 pp., euro 23,90

«Ci sarà poi qualcuno», si chiede il cardinale Biffi nell’introduzione, «che presterà un po’ di attenzione a queste memorie? [...] Non ho niente di straordinario o almeno d’ininsolito da raccontare [...] tutto nel mio cammino è “piccolo”, tutto è normale, tutto è scontato». Non è proprio così. Le pagine di Memorie e digressioni di un italiano cardinale (non di un cardinale italiano, l’autore lo chiarisce bene), edito da Cantagalli, sono scorribande nel passato per «ricavarne anche qualche luce per il mio residuo presente». E il cardinale Biffi lo fa con lo stile che gli è proprio, in piena libertà di parola, senza restrizioni culturali o politiche. «A me personalmente poi», aggiunge, «risuona con insistenza nell’animo quanto dice sant’Ambrogio [...]: “Per un vescovo non c’è nulla tanto rischioso davanti a Dio e tanto vergognoso davanti agli uomini, quanto non proclamare liberamente il proprio pensiero”».
Un importante e ascoltato testimone del nostro tempo si racconta, con ironia e franchezza, in questo memoriale: Giacomo Biffi sceglie «dal guazzabuglio dei giorni trascorsi» i ricordi, i fatti, le parole, le persone «meritevoli di essere salvati dalla dimenticanza», perché «bisogna ricordare che chi non ricorda», sostiene parafrasando sant’Agostino, «non può neppure pensare». Emerge così dal passato il vivido ricordo della casa natale, della scuola, della vita familiare; gli anni in seminario, quelli della sua formazione umana e cristiana; quindi la preparazione all’ordinazione presbiterale, i trent’anni a servizio della Chiesa di Milano, per giungere infine al periodo trascorso alla guida della Chiesa di Bologna. Emerge pure un giudizio chiaro, coraggioso e senza compromessi sui fatti salienti e sulle personalità che hanno caratterizzato il XX secolo: Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II; il delitto Moro, il delitto Calabresi, il Concilio Vaticano II, il nazismo e il fascismo, il comunismo, l’ultimo conclave, i fatti salienti della nostra epoca contemporanea. Sono oltre seicento pagine che si leggono con piacere, accompagnati dalla sensazione di stare in pace con Dio e con gli uomini. Più che una semplice cronaca, una gioiosa scorribanda nel passato, e un autorevole giudizio sul dipanarsi della vita, che non è caso ma imperscrutabile disegno: queste memorie potranno essere d’esempio a chi, tra le nuove generazioni, vorrà intraprendere la ricerca della Verità.




Torniamo a pensare


Cataldo Naro, ITorniamo a pensare. Riflessioni sul progetto culturale/I, 
Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta – Roma 2007, 
160 pp., euro 12,00

Cataldo Naro, ITorniamo a pensare. Riflessioni sul progetto culturale/I, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta – Roma 2007, 160 pp., euro 12,00

Due verbi messi lì, che però hanno una valenza pesantissima, sono un richiamo, quasi un imperativo. E portano con sè un carico di speranza, pregnante. Torniamo a pensare significa che ora non stiamo pensando, ma che è avvertita l’urgenza, in questo momento della storia, di tornare a riflettere, elaborare idee, progetti, speranze.
Sono raccolti in questo libro gli scritti di monsignor Cataldo Naro dedicati al Progetto culturale della Chiesa italiana, promosso dalla Cei dal 1977, che egli contribuì a far conoscere in tutta Italia intervenendo in convegni e pubblici dibattiti, sia da consulente del Servizio nazionale del Progetto stesso sia negli anni del suo episcopato a Monreale.
Bisogna tornare o, se è il caso, cominciare a pensare in termini nuovi, sostiene Naro; non più una conduzione pastorale per slogan o uno stanco e disincantato gestire il presente, una sorta di navigazione a vista; ma un guardare la realtà, un comprenderla con amore e passione, uno studiarla con intelligenza e fatica, un ardimentoso proiettarsi in avanti per continuare a diffondere il Vangelo tra gli uomini del nostro tempo. Scrive Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nell’introduzione alle riflessioni di Naro: «Nei suoi scritti si evidenzia il singolare talento di chi [...] è capace di determinare con chiarezza i punti-cardine intorno ai quali si decide oggi, o si giocherà in un futuro non lontano, il compito dell’annuncio del Vangelo”». L’appello è a una “conversione culturale” a tutto campo.




Maestri


Renato Farina, IMaestri. Incontri e dialoghi sul senso della vita/I, Piemme, 
Casale Monferrato (Al) 2007, 254 pp., euro 15,50

Renato Farina, IMaestri. Incontri e dialoghi sul senso della vita/I, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2007, 254 pp., euro 15,50

Come in una galleria di personaggi, Renato Farina, giornalista e scrittore, propone una rassegna dei principali Maestri del secolo scorso e di questo terzo millennio incombente, viventi e no: ecco i ritratti di Giovanni Testori («... un uomo dagli occhi di cielo e dalla voce di nebbia...»), Oriana Fallaci, Joseph Ratzinger, Angelo Scola, Giuseppe Prezzolini, Madre Teresa, Nicola Abbagnano (uno dei massimi filosofi italiani degli ultimi cento anni, laico, liberale, ateo), Riccardo Muti, Luigi Giussani... per citarne solo alcuni. Personaggi importanti e noti che hanno segnato un secolo con le loro opere, con la loro vita.
Il dialogo di Farina con questi personaggi si snoda soprattutto intorno al senso della vita. «La vita» annota l’autore nell’introduzione al libro edito da Piemme «è fatta di incontri. La conoscenza è incontro. Tutto è incontro». Ci sono incontri nella vita che aprono finestre. Rompono il muro e lasciano intravvedere qualcosa di azzurro, che è segno di qualcos’altro...
Il discorrere di Farina, mai banale o scontato e a tratti poetico, immerge il lettore in un mondo alto e comunque altro; il libro è poi una fonte di notizie interessanti e inedite – si pensi solo ai colloqui con papa Wojtyla durante i suoi viaggi. Nell’intervista a Hans Urs von Balthasar, uno dei maggiori teologi cattolici del XX secolo, Farina chiede: «Che differenza c’è tra un buon cristiano e un “onesto uomo”?». E von Balthasar risponde: «Com’è cambiato il mondo! Il nome “onest’uomo” nel XVII secolo significava in ogni caso anche “cristiano”. Più avanti si intendeva buon cristiano, magari non nel senso monastico, se vuole, ma in quello di una morale cristiana. Oggi siamo secolarizzati, eppure in quell’espressione resta un riferimento a ciò che è veramente umano. E qui non si può che fare i conti con Cristo. È lo stesso Cristo che è l’uomo perfetto. E non soltanto nella sua morte e resurrezione, ma anche nella sua semplice vita, nel suo lavoro di carpentiere. Bisogna immaginarsi come ha vissuto a Nazareth per trent’anni: egli non ha fatto discorsi, ha vissuto l’obbedienza al Padre. Questo è l’“onest’uomo” e questo è il “cristiano”» (p. 132).




Assoluto e relativo


Paolo Roasenda, IAssoluto e relativo, Istituto storico 
dei Cappuccini/I, Roma 2007, 552 pp., s.i.p.

Paolo Roasenda, IAssoluto e relativo, Istituto storico dei Cappuccini/I, Roma 2007, 552 pp., s.i.p.

Paolo Roasenda – padre Mariano da Torino – all’inizio di una brillante carriera di insegnante di lettere classiche, abbandonò l’insegnamento e vestì l’abito dei frati cappuccini. Militante nell’Azione cattolica, possedeva una straordinaria facilità comunicativa che lo rendeva popolare al pubblico televisivo. Un testimone del XX secolo, dunque; dal 1955 al 1972 padre Mariano entrò sorridente, dagli schermi della Rai, nelle case degli italiani augurando “pace e bene a tutti”.
Rinaldo Cordovani ha curato, con una ricerca paziente e laboriosa, la raccolta in un volume degli scritti spirituali di Paolo Roasenda indirizzati ai giovani: in Assoluto e relativo, edito nel 2007 dall’Istituto Storico dei Cappuccini di Roma, trovano pubblicazione gli scritti giovanili che vanno dal 1929 al 1940. Sono interventi brevi e misurati, che nascono dalla vita e dall’invito convinto a “essere in mezzo al mondo”; «impegnati a misurarsi con i temi fondamentali del credere e del testimoniare, in forme spiritualmente intense e letterariamente ariosa, mai pedanti, mai pronunciati da un piedistallo lontano e scostante» (dalla presentazione del presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, Luigi Alici).




Mappe colombiane


Alessio Brandolini, 
IMappe colombiane/I, 
Lieto Colle, Faloppio (Co) 2007, 98 pp., euro 13,00

Alessio Brandolini, IMappe colombiane/I, Lieto Colle, Faloppio (Co) 2007, 98 pp., euro 13,00

«April is the cruellest month, breeding / lilacs out of the dead land, mixing / memory and desire, stirring / dull roots with spring rain» (T. S. Eliot, The Waste Land). Aprile per Tomas Stearn Eliot è il mese più crudele, perché è quello che rigenera la vita, che mette davanti alla coscienza di quel che è stato («a little life with dried tubers») e ad ammettere quello che c’è adesso: una voglia di vita, nuova, inaspettata, che quasi indispettisce.
Le Mappe colombiane di Alessio Brandolini partono proprio da una scoperta così, vicina al calendario: «Giugno è il mese più bello / lo gridano i colori / l’intensa notte equatoriale / con il verdeggiante rumore». È il racconto di un viaggio in Colombia: un viaggio talvolta chiamato esilio, ma il luogo sbaraglia le ansie e i dubbi europei di chi traccia le mappe. O piuttosto le trova, perché in un posto così non c’è spazio per l’autoreferenzialità: «Mordi la noia / al cuore, al collo / i serpenti a sonagli / i mille dubbi / riposti nel cassetto. / Tira fuori la testa / usa le mappe / tallona il sogno / l’inatteso passaggio / tienilo bene a mente / stretto nello sguardo. / Nelle morbide nicchie / più appartate del cuore / conservalo con garbo». Il Sud America diventa il luogo dove le cose si fanno evidenti: non più segrete speranze che forse sono solo da temere, perché scombinano i piani, ma aperte manifestazioni: sotto la luce di giugno in Colombia diventa tutto chiaro, e accolto, anche nei suoi contrasti. Prevale nella nuova raccolta di Brandolini una scelta lessicale che non cede spazio alle sfumature delle raccolte precedenti, quelle tutte europee e all’insegna di un cauto quanto timoroso desiderio di accogliere: la luce dell’alba è meriggio sotto il sole, il bosco domestico è foresta, i colori sono il rosso acceso del sangue, il verde degli alberi, l’oro dei vestiti. C’è lo smarrimento, talvolta, dell’uomo europeo (tanto simile a quello di Eliot) che teme di sperare quando vede nettamente tutte le cose: «Nell’immensa piazza di Tunja / mi tremano le gambe / e la mano destra racconta / alla sinistra le vicende / orrende della conquista / la frenetica ricerca dell’oro / le malattie venute dall’Europa / infine di questo flusso / travolgente, sebbene timoroso / che incide e disegna le mappe / della nostra memoria, / e dell’ignoto». Ed è uno smarrirsi («Perdersi a volte / fa bene alla salute») che ogni volta viene superato: le mappe servono a questo.
Nomi di città e di paesi, di personaggi storici, di pittori come Botero sono accompagnatori e insieme garanti delle Mappe colombiane. Mappe, come si diceva, a colori, tanto che in ogni poesia ce n’è uno diverso: l’azzurro, il rosa, il blu, il giallo, e poi l’oro, così importante nella storia di quei luoghi. Nelle poesie delle Mappe c’è sempre un “tu” a cui ci si rivolge e su cui si fa affidamento, un “tu” a cui spiegare le cose che si vedono e a cui chiedere spiegazioni.
Nulla di più lontano, però, dalla riduzione naïf e minimalista, a cui all’uomo europeo farebbe comodo appoggiarsi per evitare la fatica della decodifica: ogni poesia delle Mappe rappresenta la complessità, ma senza nebbia, in chiara luce. E allora parlare della raccolta in generale non riesce a restituire appieno il viaggio che il lettore con le Mappe condivide. Meglio, allora, parlare di tragitto che ha un inizio, un svolgimento e una fine: «Ogni speranza / ogni singolo gesto / adagio si riversa / nelle mappe segrete / trae la sua forza / la sua soffice luce / dallo sguardo del sole. / Per questo l’esilio / può tramutarsi / in sogno senza sosta / in un lungo tragitto / o nel sangue che scorre. // Di padre in figlio / passa fluido e sicuro».

Cristiana Lardo




Riscoprire la figura di Mario Romani


Andrea Ciampani (a cura di), IMario Romani. Il sindacalismo libero e la società democratica/I, Edizioni Lavoro, Roma 2007, 262 pp., 
euro15,00

Andrea Ciampani (a cura di), IMario Romani. Il sindacalismo libero e la società democratica/I, Edizioni Lavoro, Roma 2007, 262 pp., euro15,00

«Il pensiero di Mario Romani (1917-1975) [...] costituisce un punto di riferimento essenziale per un’aperta riflessione sullo sviluppo economico, sul progresso sociale e sul riformismo politico». Questa considerazione si impone nella sua evidenza alla fine della lettura del volume Mario Romani. Il sindacalismo libero e la società democratica, a cura di Andrea Ciampani, con la prefazione di Raffaele Bonanni, segretario confederale della Cisl. Studiosi di differenti discipline e orientamenti hanno affrontato la complessità dell’eredità culturale di Romani, in un libro che ruota intorno ai saggi scientifici (proposti da Aldo Carera, Andrea Ciampani, Alberto Cova, Mario Grandi per citarne solo alcuni) dedicati ai temi centrali del suo pensiero: il nesso tra la dimensione associativa del movimento sindacale e i processi di crescita economica e civile del Paese; il rapporto tra Stato democratico, partiti politici e l’autonomia dell’azione di rappresentanza sindacale; la centralità dell’opera di formazione e di educazione dei lavoratori. Intorno a tali questioni Romani delineava una presenza sindacale in grado di assumere nei processi di formazione delle decisioni economico-sociali una «responsabilità di indirizzo dell’attività economica verso mete di interesse comune e, perciò stesso, in sostanza coincidenti con quelle del lavoratore-consumatore» (p. 178).
Anche per questo, l’ampio contributo di Romani al dibattito intorno alla natura, ai fini e al metodo d’azione del movimento sindacale costituisce ancora oggi nella sua organicità uno snodo ineludibile per tutti coloro che intendono riflettere sull’articolazione di una società complessa, proprio perché consente di individuare dinamiche di ampio respiro e di suggerire coerenti declinazioni operative dell’esperienza associativa del sindacato nella sua attuale evoluzione. Più in generale, inoltre, l’eredità culturale di Romani appartiene a quella classe intellettuale e dirigente del nostro Paese che ha a cuore la crescita della società civile organizzata, della regolazione sociale e del governo politico democratico, in un contesto di libertà e di solidarietà.

Francesco Marcorelli




Terrorismo, pace e il ruolo dell’Europa nella soluzione dei conflitti


ITerrorismo, pace e il ruolo dell’Europa nella soluzione 
dei conflitti/I (Fututribili 1), Franco Angeli, Milano 2007, 362 pp., euro 20,00

ITerrorismo, pace e il ruolo dell’Europa nella soluzione dei conflitti/I (Fututribili 1), Franco Angeli, Milano 2007, 362 pp., euro 20,00

Terrorismo, pace e il ruolo dell’Europa nella soluzione dei conflitti raccoglie contributi di politologi, sociologi, uomini di cultura, esperti di diritto internazionale e di diritti umani.
Il primo numero del quadrimestrale Futuribili , diretto da Alberto Gasparini ed edito da Franco Angeli, uscito nell’aprile del 2007, tenta di dare una risposta al quesito sul terrorismo, cercando anche di problematizzarlo sulla base delle ragioni dalle quali è sorto. Nei diversi articoli la rivista esplora le vie che un mondo terrorizzato potrebbe percorrere per ricostituire la pace. Una parte di Futuribili è, infine, dedicata al ruolo politico e strategico, oltre che sociale, che l’Europa potrebbe svolgere nella risoluzione dei conflitti che hanno originato un simile terrorismo globale, dato che il ruolo degli Stati Uniti in questo campo risulta irrimediabilmente compromesso dall’aver scatenato guerre preventive.


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