Rubriche
tratto dal n.01 - 2001


Il movimento cattolico sotto Leone XIII


I rapporti tra cattolici e liberali, la questione della possibile riconciliazione tra Stato e Chiesa, il tema della (mancata) partecipazione dei cattolici ai primi decenni dell’Italia liberale sono le tematiche, tradizionali ma poco praticate recentemente dagli studi storici, trattate nel volume di Andrea Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti. La “questione di Roma” tra politica nazionale e progetti vaticani (1876-1883), Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Archivio Guido Izzi, Roma 2000. Un volume che si segnala per il riuscito intento di sottrarsi ai lavori di parte e alle formule della facile polemica tra schieramenti, e per il mettere in mostra la dimensione politica e concreta del confronto e dello scontro tra i protagonisti che con differenti obiettivi costituivano i campi liberale e cattolico nella capitale del Regno d’Italia. Campi che al loro interno non erano nient’affatto uniformi, come vorrebbe far credere una vulgata che intende esaltare lo scontro ideologico.
Basandosi soprattutto su una notevole ricerca d’archivio e sull’analisi di documentazione in gran parte inedita, il libro pone in luce in maniera analitica, e in un quadro inedito, aspetti importanti della storia di Roma successiva all’avvento della Sinistra al potere, caratterizzata dalla politica “trasformista” di Agostino Depretis e dalla ripresa dell’associazionismo cattolico nella capitale come nel resto d’Italia. Le vicende trattate ruotano intorno alla “questione di Roma”; questione costituita dallo stesso intrecciarsi dei rapporti tra attori politici locali e nazionali, tra gerarchia ecclesiastica, curia e movimento cattolico, tra classi dirigenti e élites nobiliari, tra gruppi finanziari integrati nel sistema e coloro che ne erano estranei, tra istituzioni cittadine, provinciali e statali. La “questione di Roma” appare naturalmente collegata alla stessa “questione romana” e ai rapporti tra Stato e Chiesa, ma sembra, per così dire, precederla, pur in un processo che si alimenta per opera di reciproci influssi.
Tra i vari temi toccati, vale la pena soffermarsi in particolare sullo sviluppo del movimento cattolico sotto Leone XIII, in riferimento al reinserimento dei cattolici nel tessuto civile della nazione. Proprio a Roma, e in connessione con l’esigenza di Depretis di affermare la propria egemonia nel campo liberale (anche in vista di quel concorso dello Stato nelle opere edilizie che dovevano “italianizzare” la capitale del Regno), parte un rinnovato tentativo del cattolicesimo “ortodosso” e particolarmente vicino al Pontefice, per tentare di non rimanere esclusi dallo sviluppo amministrativo e economico che sembrava delinearsi alla fine degli anni Settanta.
Intorno alle società cattoliche romane, alla nobiltà fedele al Papa, ai circoli universitari cattolici, a nuove riviste e rinnovati quotidiani, si costruisce l’esperienza che ruota intorno all’Unione romana, che, da un lato, tende ad essere espressione unitaria dei cattolici e, dall’altro, mira a coinvolgere tutti i cittadini romani attorno alla bandiera della sana e onesta amministrazione, estranea ai giochi delle fazioni partitiche. Tale programma, individuato con una notevole autonomia di elaborazione, ma comunque in sintonia con l’indirizzo di fondo del pontificato, pone le basi per preparare una eventuale discesa in campo dei cattolici nel concorso alle urne politiche. E così il libro segue le diverse fasi della vita dell’Unione romana, fino alla partecipazione nella giunta capitolina, dall’estate 1883 all’estate 1888. Gli stretti legami tra il Pontefice, la curia romana e le iniziative del gruppo “unionista” rivelano le posizioni di un partito cattolico in fieri, un partito virtuale dei cattolici sul piano nazionale, preparatosi a scendere in campo quando fossero venute meno le ragioni “di ordine altissimo” che avevano promosso il non expedit. Avrebbe dovuto essere, nell’idea di una larga fetta dell’episcopato e della curia cardinalizia, un partito che raccogliesse tutti i cattolici, superando la divisione transigenti-intransigenti; avrebbe dovuto ispirarsi all’esperienza belga (che aveva portato i cattolici al governo) e a quella tedesca (dove il partito del Centro costituiva un interlocutore determinante per il governo), ed essere disposto a dialogare con il governo trasformista italiano per porre freno al movimento radicale, repubblicano e socialista.
La frattura crispina recise, mettendo in discussione l’equilibrio di Roma e le attività conciliatoriste del 1887, ogni speranza per il progetto coltivato dalle associazioni cattoliche e dal Pontefice per un decennio. Il cammino dei cattolici romani rimase così un cammino “incompiuto”. Nel frenare tale percorso giocarono un ruolo importante prima le divisioni provocate dagli approcci dei moderati, per utilizzare i cattolici contro la Sinistra al potere, poi i timori di Depretis, che probabilmente desiderava che i cattolici sostenessero in ordine sparso la sua maggioranza governativa (riportando su scala nazionale l’esperimento romano).
Paolo Mattei




Riflettori su Pietro


«Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza le cose che ricordava, ma non in ordine ciò che il Signore aveva detto e fatto. Egli infatti non aveva udito il Signore né lo aveva seguito, ma più tardi, come ho detto, aveva accompagnato Pietro. Egli dava gli insegnamenti secondo i bisogni, ma non come se facesse una raccolta sistematica dei discorsi del Signore. Cosicché Marco non sbagliò in nulla, avendo scritto alcune cose così come le ricordava» (Eusebio, Hist. Eccl. III, 39, 15). Le parole (riportate da Eusebio) di Papia di Gerapoli, che visse tra la fine del I e la prima metà del II secolo, si riferiscono alla predicazione di Pietro a Roma e al Vangelo da lui dettato: quel Vangelo di Marco che il famoso 7Q5, il frýmmento papiraceo in lingua greca scoperto nelle grotte di Qumran, consente ora di datare a prima dell’anno 50, «riproponendo il problema della prima venuta di Pietro a Roma e della formazione della più antica comunità cristiana dell’Urbe. [...] La composizione del Vangelo di Marco è infatti collegata indissolubilmente, nella tradizione cristiana dei primi secoli, con la prima venuta di Pietro a Roma e con la sua predicazione».
Così si legge nelle prime righe del saggio di Marta Sordi (L’Apostolo a Roma) contenuto nel bel volume dal titolo Pietro. La storia, l’immagine, la memoria (Electa, Milano 1999), che indubbiamente si distingue tra quelli di analogo argomento editi in occasione dell’anno giubilare, in concomitanza dei restauri che hanno interessato molte parti della Basilica vaticana, dalla facciata alle tombe della necropoli che si estende al di sotto delle grotte. E si distingue sia per l’originale schema compositivo dell’opera stessa, che alterna saggi a immagini di capolavori d’arte che evocano i momenti principali della vita di Pietro, secondo un percorso che ne illustra l’immagine e la chiamata, poi richiama gli avvenimenti della notte del giovedì santo, la sua figura di apostolo, episodi della vita, il suo martirio ed infine la gloria; sia, soprattutto, per i sei saggi (di Marta Sordi, come già detto, e poi di Gianfranco Ravasi, Ignace de la Potterie, Fabrizio Bisconti, Margherita Cecchelli e Pietro Zander) che si alternano alle immagini. Mentre spesso e volentieri, infatti, il libro cosiddetto “d’arte” propone, a fronte della cura delle illustrazioni, testi perlopiù compilativi se non generici, qui invece siamo di fronte a trattazioni, anche se necessariamente sintetiche, condotte da specialisti con rigore scientifico e aggiornate alle ultimissime indagini.
Il tema è Pietro: e, di Pietro, la reale e storica presenza a Roma. Reale fino all’individuazione delle sue spoglie sotto la Basilica vaticana. Accade infatti di imbattersi nella sorpresa di poter finalmente leggere di nuovo, nelle pagine del volume (sia nel saggio di Margherita Cecchelli, La memoria Petri nella città di Roma, alle pp. 179-180, sia in quello di Pietro Zander, La tomba di san Pietro e la necropoli vaticana: dalle prime esplorazioni ai recenti restauri, alla p. 224), della questione della presenza delle ossa dell’apostolo che, non rinvenute nella sua tomba terragna nel “campo P” (trovata vuota, come è noto, negli scavi voluti da Pio XII), furono da Margherita Guarducci identificate con quelle provenienti, secondo le sue ricerche, dal loculo del vicino “muro g” (o “muro dei graffiti”), struttura che, a pochi centimetri dalla tomba terragna di Pietro, si imposta sul “muro rosso” resecando il “trofeo di Pietro” e che detta con assoluta precisione l’orientamento della Basilica costruita da Costantino. Sorpresa, si diceva: molto relativa, per chi conosca il rigore degli autori, ma davvero notevole, se si pensa che, dopo un primo periodo di pubbliche e nette contrapposizioni, negli ultimi anni la questione – almeno al livello del fedele in visita di pellegrinaggio e del lettore non specialista – è stata pressoché totalmente rimossa. Si tratta invece di un argomento che meriterebbe di essere finalmente riaffrontato, e con il massimo del rigore scientifico, soprattutto ora che i restauri della necropoli, appena ultimati, hanno di certo permesso l’acquisizione di numerosi nuovi dati.
Lorenzo Bianchi




Roma, approdo sicuro del viaggio cristiano


«Roma, centro e meta di potere e cultura del mondo antico, una volta segnata dal Verbo, col sangue dei Martiri di Cristo, si fa approdo sicuro del viaggio cristiano». Così Francesco Sisinni riassume il senso del pellegrinaggio cristiano alle tombe degli apostoli che dal 1300 prende la sua forma istituzionale nella periodica indizione dei giubilei.
La frase è tratta dalla prefazione a un elegante volume edito recentemente da Edilazio e curato da Willy Pocino: Roma dei giubilei. Storie e curiosità tra sacro e profano. Corredato da suggestive immagini e ottimamente curato nella veste grafica, il volume raccoglie i contributi di illustri studiosi, storici, archeologi, storici dell’arte. I saggi raccolti nel libro affrontano aspetti significativi dal punto di vista religioso, storico, artistico e del costume, dei diversi giubilei celebrati dal 1300 fino al 2000.
Mario Sanfilippo analizza, nel saggio di apertura, i precedenti biblici e storici che preludono all’indizione del primo Giubileo da parte di Bonifacio VIII. Giovanni Morello dipinge con fedeltà di tratti il Giubileo del 1350, caratterizzato dalla cattività avignonese del pontefice e dal ricordo commosso di Francesco Petrarca, che immortalò in un celebre sonetto la memoria dell’ostensione del velo santo della Veronica, momento culminante del viaggio dei pellegrini “romei” alla città santa, attraverso l’immagine del vecchierel canuto e bianco che s’incammina alla volta di Roma per mirar la sembianza di Colui / ch’ancor lassù nel ciel vedere spera.
Attraverso i contributi dei singoli studiosi emerge la ricchezza di storia e di devozione che accompagna le diverse tappe giubilari. Interessante e significativo è ad esempio il saggio di Danilo Mazzoleni sul Giubileo del 1575, che fu caratterizzato – grazie anche alla rinnovata sensibilità di cui si era fatto interprete un santo profondamente romano come Filippo Neri – dalla riscoperta sorprendente e commossa di tanti luoghi della Roma sotterranea cari alla memoria cristiana e di cui si erano talora perse totalmente le tracce. Da citare anche il contributo di Marcello Fagiolo, relativo Giubileo del 1675 e al progetto berniniano, poi non realizzato, per la consacrazione del Colosseo come santuario dei martiri.
Non meno apprezzabili sono gli interventi relativi ai giubilei della storia più recente, come quello del 1825, il Giubileo della “restaurazione”, a firma di Donato Tamblé, per arrivare ai giorni nostri, al Giubileo indetto nel 1975 da Paolo VI e ripercorso con toni suggestivi da Arcangelo Paglialunga; fino a quello del 2000 per il quale Luisa Chiumenti illustra i più importanti restauri e Lorenzo Bianchi ripercorre la discussa vicenda della costruzione del parcheggio all’interno della collina del Gianicolo, che fu quasi certamente il luogo del martirio dei primi cristiani nella persecuzione neroniana dell’anno 64.
La validità scientifica dell’opera non è disgiunta da uno stile piano e gradevole che ne rende agevole la lettura anche per un pubblico di non addetti ai lavori.
Giovanni Ricciardi


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