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TESTIMONIANZA
tratto dal n. 01/02 - 2006

UNA TESTIMONIANZA CRISTIANA NEL MONDO MUSULMANO

Un vescovo cattolico nella culla dell’islam


Colloquio con Giovanni Bernardo Gremoli, per ventinove anni vicario apostolico d’Arabia, con giurisdizione su tutti i cattolici presenti in Arabia Saudita, in Bahrein, negli Emirati Arabi Uniti, in Oman, in Qatar e nello Yemen: «Alla luce della mia esperienza ogni atteggiamento volto ad acuire il confronto tra Occidente e mondo islamico è inutile e pericoloso»


Intervista con Giovanni Bernardo Gremoli di Gianni Cardinale


Una veduta dall’alto della Mecca

Una veduta dall’alto della Mecca

«Questo clima surriscaldato dalle vignette contro Maometto è terribile. Tutta questa violenza è terribile. Cristiani e musulmani uccisi, chiese e moschee distrutte… è terribile. Certamente tutte queste violenze devono essere condannate, non c’è nessuna giustificazione… Anche se deve essere affermato con molta chiarezza che è assolutamente sbagliato offendere qualsiasi religione e qualsiasi simbolo religioso. Ma, si sa, violenza chiama violenza». Monsignor Giovanni Bernardo Gremoli, «frate cappuccino prima che vescovo» ci dice, è molto preoccupato per la brutta piega che stanno prendendo i rapporti tra mondo islamico e Occidente. Anche perché lui è stato testimone del fatto che una convivenza tra musulmani e cristiani è possibile anche in quella che è considerata la culla dell’islam. Monsignor Gremoli vescovo titolare di Masuccaba è stato per un trentennio vicario apostolico d’Arabia, con giurisdizione su tutti i cattolici presenti in Arabia Saudita, in Bahrein, negli Emirati Arabi Uniti, in Oman, in Qatar e nello Yemen. Ebbene, tutti sanno che in Arabia Saudita per i cristiani non è possibile alcun culto pubblico; meno noto è però che negli altri Paesi della penisola arabica la situazione è molto diversa e che negli ultimi decenni in queste nazioni sono state costruite chiese, case parrocchiali e scuole e che ai cristiani è stata concessa libertà di culto. E proprio per raccontare queste vicende poco note 30Giorni ha deciso di intervistare monsignor Gremoli, il quale, solitamente molto riservato, ha accettato di rispondere per la profonda stima che nutre per il direttore del nostro mensile e anche per la fiducia che ripone in chi scrive. Monsignor Gremoli ci riceve nel suo umile studiolo nell’antico Convento dei cappuccini di Firenze, sulla collina denominata Montughi da cui si gode una splendida vista della città medicea. Appesi ai muri una grande immagine di san Pio da Pietrelcina, le foto che lo ritraggono con i papi Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II («spero di poterne presto appendere una con papa Benedetto XVI»), nonché la foto in cui stringe la mano allo sceicco Zayed Bin Sultan Al Nahyan di Abu Dhabi, «grande benefattore della nostra Chiesa».

Eccellenza, quando nel 1976 arrivò ad Abu Dhabi, qual era la situazione del Vicariato apostolico d’Arabia?
GIOVANNI BERNARDO GREMOLI: Era critica, anche perché il mio predecessore era stato espulso dalla sede storica del Vicariato che era Aden nello Yemen. C’erano pochi sacerdoti, appena undici, pochi luoghi di culto ed era il momento del boom petrolifero, con migliaia di lavoratori cattolici che da tutte le parti del mondo confluivano nel Golfo per lavorare per le compagnie petrolifere e nei sempre più numerosi cantieri per la costruzione di città e di acquedotti.
La nostra presenza nel Golfo è particolarmente apprezzata proprio per le nostre scuole, che hanno un impatto molto positivo nelle popolazioni e nelle élite locali. In trent’anni sono state costruite nel Vicariato otto scuole, sette negli Emirati e una nel Bahrein. Tutte dirette da suore di varie congregazioni
E cosa ha fatto?
GREMOLI: Ho accettato subito di chiamare sacerdoti, anche ad tempus, non solo dal mio Ordine, quello dei Francescani Cappuccini, all’epoca in difficoltà per quanto riguarda le vocazioni, ma anche da altre congregazioni. Grazie a Dio poi tra i cattolici presenti nel Vicariato c’erano dei giovani immigrati che in patria avevano già sentito la chiamata del Signore. Allora ho deciso di mandare alcuni di loro, i più convinti, a studiare all’estero. Sette ne ho mandati e sette sono tornati come sacerdoti. Oggi svolgono la loro missione nel Vicariato, che complessivamente può contare su 48 sacerdoti.
Poi ha affrontato la questione dei luoghi di culto…
GREMOLI: Si è trattato di un affare delicato e complicato. C’è voluta molta pazienza e delicatezza e anche un pizzico di diplomazia per ottenere i permessi e i terreni per costruire chiese e scuole. A volte ci sono voluti quattro, a volte otto anni per avere delle risposte positive. Alla fine però i risultati ci sono stati, e in qualche occasione anche al di là delle aspettative.
E come è stato possibile?
GREMOLI: I governanti hanno apprezzato la buona condotta dei nostri cattolici, i quali si sono sempre impegnati a osservare le regole di convivenza locali e hanno mostrato un fervore religioso che ha impressionato positivamente le autorità locali. Più di una volta mi sono sentito dire che accoglievano le mie richieste perché i cattolici pregano e pregano molto, hanno una grande partecipazione ai momenti di culto e alla vita sacramentale. Alla fine, quindi, in quasi trent’anni il Vicariato è riuscito a costruire ben undici chiese e complessi parrocchiali, tutti su terreni concessi gratuitamente dalle autorità. La maggioranza degli edifici sacri sono stati costruiti negli Emirati. Ma quattro chiese sono state edificate anche in Oman, dove non ce n’era nessuna dall’Ottocento, e una in Bahrein, dove quella costruita nel 1939, la prima nel Golfo, era ormai assolutamente insufficiente.
Giovanni Bernardo Gremoli

Giovanni Bernardo Gremoli

Undici chiese già costruite e una dodicesima in arrivo…
GREMOLI: È un fatto storico per due motivi. Intanto perché in Qatar non c’è mai stata una chiesa. E poi perché in Qatar, come in Arabia Saudita, popolazione e governanti sono musulmani wahabiti, una setta notoriamente molto ortodossa.
Sull’Arabia Saudita torneremo poi. Uno dei punti di forza del Vicariato è quello delle scuole cattoliche…
GREMOLI: Devo dire che in effetti la nostra presenza nel Golfo è particolarmente apprezzata proprio per le nostre scuole, che hanno un impatto molto positivo nelle popolazioni e nelle élite locali. In trent’anni sono state costruite nel Vicariato otto scuole, sette negli Emirati e una nel Bahrein. Tutte dirette da suore di varie congregazioni (carmelitane indiane, comboniane italiane, caldee di Baghdad, suore del Rosario di Gerusalemme). Sono ufficialmente riconosciute dalle autorità e molto stimate sia per lo standard elevato di educazione, sia per la disciplina e per l’atmosfera di rispetto e fratellanza degli studenti che appartengono a diverse nazionalità e religioni, ma anche perché sono ospitate in strutture moderne, mantenute sempre in ordine e pulite.
Quali sono le caratteristiche di queste scuole?
GREMOLI: Sono aperte a tutti e oltre il 60% dei complessivi 16.500 alunni è musulmano. Il personale docente è molto qualificato, su questo le autorità sono molto esigenti. Le scuole sono infatti sotto il controllo dei rispettivi Ministeri dell’Educazione – che mandano frequentemente degli ispettori – per quanto riguarda i programmi, e sotto il controllo dei municipi per quanto riguarda l’igiene.
È previsto l’insegnamento religioso? Secondo quali criteri?
GREMOLI: C’è l’obbligo del governo di impartire l’insegnamento della religione per tre ore settimanali a tutti gli alunni. Le scuole quindi impartiscono lezioni di islam a tutti i bambini musulmani (sunniti, sciiti o di altre sette), lezioni di cristianesimo a tutti i bambini cattolici e di altre denominazioni cristiane, e principi di morale basata sulla legge naturale a tutti i bambini non cristiani né musulmani.
In questi trent’anni sono sorti mai dei problemi in queste scuole?
GREMOLI: Non abbiamo mai registrato contrasti nazionali e religiosi. L’atmosfera è stata sempre di mutua cordialità e simpatia. Tanto che quando ho lasciato la guida del Vicariato apostolico il ministro dell’Educazione superiore degli Emirati Arabi Uniti, dove si trovano, come ho già detto, sette delle nostre otto scuole (l’altra è nel Bahrein), lo sceicco Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan ha voluto personalmente esprimermi la sua riconoscenza con la sua firma autografa apposta su una foto che conservo tra i ricordi più cari.
Lei prima affermava che le scuole sono gestite da suore. Ma ci sono anche altre religiose che si impegnano nell’attività caritativa…
GREMOLI: Nello Yemen, le suore missionarie bianche, professionalmente molto preparate, per parecchi anni hanno gestito alcuni ambulatori e hanno lavorato in vari ospedali dal 1972. Purtroppo per mancanza di vocazioni hanno dovuto abbandonare. Sempre nello Yemen poi sono presenti fin dal 1973 le suore di Madre Teresa di Calcutta, che attualmente gestiscono quattro istituti per bambini portatori di handicap e per anziani abbandonati. Per molti anni le Missionarie della Carità hanno avuto anche un lebbrosario a Ta’izz che ha raccolto e curato centinaia di malati: per la sua efficienza era chiamato la Città della luce, City of light, tanto che molti malati una volta curati invece di tornare nei propri villaggi preferivano rimanere ad abitare nei dintorni. Sia i leader che il popolo yemenita hanno un grande apprezzamento per il lavoro delle suore di Madre Teresa.
Eppure nel luglio del 1998 tre suore furono barbaramente uccise mentre dalla loro casa andavano al loro istituto di Hodeida…
GREMOLI: Si è trattato di un episodio tragico, ma isolato, che costò la vita a suor Zelia, suor Aletta e suor Michela, e che sconvolse le autorità e il popolo. Fu opera di un fanatico che era tornato dalla guerra in Bosnia. Il presidente rimase veramente scioccato dall’accaduto, anche perché era stato lo stesso governo a chiamare le suore nello Yemen. Madre Teresa ha visitato più volte lo Yemen, e le autorità di questo Paese l’hanno sempre considerata una santa, tanto che alla cerimonia della sua beatificazione il governo mandò come proprio rappresentante una dottoressa, membro del Parlamento, che da piccola aveva frequentato l’asilo cattolico di Aden. Riguardo allo Yemen vorrei ricordare anche i religiosi che svolgono il loro apostolato lì.
La nostra presenza nel Golfo è particolarmente apprezzata proprio per le nostre scuole, che hanno un impatto molto positivo nelle popolazioni e nelle élite locali. In trent’anni sono state costruite nel Vicariato otto scuole, sette negli Emirati e una nel Bahrein. Tutte dirette da suore di varie congregazioni
Chi sono?
GREMOLI: Si tratta di quattro salesiani della provincia di Mangalore in India. Sono molto impegnati nell’assistenza delle Missionarie della Carità e della comunità cattolica locale. I Salesiani sono presenti nello Yemen dal 1988 quando sostituirono i Padri bianchi che dovettero lasciare per mancanza di vocazioni.
Abbiamo parlato di sacerdoti, di chiese, di scuole, di religiose. Ma quanti sono i cattolici del Vicariato d’Arabia?
GREMOLI: Difficile avere statistiche anche per il notevole turn over di fedeli in tutta la penisola. Secondo una stima attendibile al mio arrivo, nel 1976, i cattolici erano circa 200mila, oggi si calcola che nel Vicariato ne vivano almeno tre milioni.
E da dove vengono?
GREMOLI: Una volta, all’uscita della messa domenicale nella Cattedrale di Abu Dhabi, abbiamo fatto un censimento per verificare la provenienza dei fedeli. Abbiamo registrato ben 93 nazionalità di provenienza. Comunque in gran parte sono indiani e filippini. Questi ultimi nella sola Arabia Saudita sono circa un milione.
Negli ultimi anni della sua permanenza alla guida del Vicariato si sono anche moltiplicati gli accordi diplomatici – dapprima inesistenti – tra la Santa Sede e alcuni dei Paesi della penisola arabica…
GREMOLI: Infatti nel 1998 la Santa Sede ha allacciato i rapporti diplomatici con lo Yemen, nel 2000 col Bahrein e nel 2002 col Qatar. Il primo nunzio in questi Paesi è stato l’arcivescovo Giuseppe De Andrea, residente in Kuwait, che da poco è andato “in pensione” dopo aver fatto un gran bene. Credo poi che anche l’Oman sia fortemente interessato ad allacciare rapporti diplomatici con la Santa Sede. Un capitolo a parte rappresentano gli Emirati Arabi Uniti. Visto che il vescovo vicario apostolico d’Arabia è residente lì, per le autorità locali è difficile da comprendere la necessità della presenza di un altro vescovo, il nunzio, come rappresentante del Papa. Per loro il vicario d’Arabia è già il rappresentante del Papa. Tanto che lo stesso vicario è considerato come un ambasciatore e partecipa normalmente agli incontri del corpo diplomatico con lo sceicco. Ma non escludo che in futuro questa piccola anomalia verrà felicemente risolta.
La reciprocità è una bella cosa. La piena reciprocità è auspicabile. Ma bisogna essere realisti. Oggi non possiamo pretendere delle reciprocità su cose non essenziali, marginali, di cui a volte non godono neanche gruppi musulmani che sono una minoranza nei loro Paesi islamici
Eccellenza, finora abbiamo parlato delle “gioie” e dei “successi” maturati in questo ultimo trentennio, ma lei stesso nel suo discorso d’addio ha parlato anche di “dolori” e “fallimenti”…
GREMOLI: Penso innanzitutto al dolore provocato dalla barbara uccisione delle tre suorine nello Yemen. Poi, nonostante tutto l’appoggio che abbiamo avuto dalle autorità per avere luoghi culto, dobbiamo riconoscere che a un gran numero di cattolici non abbiamo potuto assicurare una adeguata assistenza religiosa, non abbiamo potuto garantire loro un luogo adatto per le celebrazioni. Sono i cattolici che vivono nel deserto, nei campi di lavoro delle condutture petrolifere o sulle piattaforme. Senza contare poi che molti cristiani, sia per mancanza di mezzi di trasporto sia per mancanza di permessi da parte dei datori di lavoro – penso specialmente alle cristiane che fanno da domestiche in famiglie islamiche molto numerose –, di fatto non hanno la possibilità di frequentare la messa domenicale, anche se a Natale e Pasqua sono lasciate libere di farlo.
Rimpianti anche per non aver suscitato conversioni?
GREMOLI: Il nostro compito primario è cercare di mantenere viva la fede dei cattolici che si trovano lì. È noto poi che secondo le leggi locali è proibita ogni forma di proselitismo e sono vietate le conversioni. Quindi qualora qualcuno venisse toccato dalla grazia, questo fatto non potrebbe avere alcuna pubblicità.
Un argomento delicato anche qui in Occidente è quello dei matrimoni. Immagino che abbia dovuto affrontare lo stesso problema anche nella penisola arabica…
GREMOLI: I matrimoni misti, tra cristiani e musulmani, sono vivamente scoraggiati sia da noi sia da parte islamica, per molti motivi. Si deve ricordare infatti che secondo la legge islamica i figli appartengono al padre e per questo il padre deve essere sempre musulmano. Raramente ho concesso dispense e quando l’ho fatto, l’ho fatto solo in casi in cui i promessi sposi sarebbero andati all’estero e il coniuge musulmano si era impegnato a garantire la libertà di religione alla consorte e ai figli.
La foto con dedica dello sceicco 
Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan, 
ministro dell’Educazione superiore 
degli Emirati Arabi Uniti, ritratto insieme a Gremoli. «Al mio caro Bernardo. 
È stato un piacere conoscerti, 
un amico e un uomo di pace e tolleranza, 
davvero una bella persona 
e un uomo di Dio. Ti auguro ogni bene»

La foto con dedica dello sceicco Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan, ministro dell’Educazione superiore degli Emirati Arabi Uniti, ritratto insieme a Gremoli. «Al mio caro Bernardo. È stato un piacere conoscerti, un amico e un uomo di pace e tolleranza, davvero una bella persona e un uomo di Dio. Ti auguro ogni bene»

A questo punto parliamo dell’Arabia Saudita, un Paese che è rimasto impermeabile a ogni apertura nei confronti dei cristiani…
GREMOLI: Oltre la metà dei nostri cattolici si trova lì. È una zona che ci ricorda un po’ il tempo delle catacombe. Infatti non vi sono ammessi ufficialmente sacerdoti, né celebrazioni pubbliche di messe, eccetto che nelle ambasciate. I cattolici possono pregare solo in casa propria, senza raggruppamenti di altre persone, anche se sono parenti o amici. Tra il 1979 e il 1985 alcuni sacerdoti che lavoravano là “sponsorizzati” da qualche azienda, vennero scoperti, arrestati, imprigionati e fatti espatriare. Molti cristiani, sorpresi a pregare insieme, hanno subito la stessa sorte. In Arabia esiste infatti una polizia religiosa, i mutawa, molto efficiente, che interviene immediatamente quando ha il sospetto che ci sia una riunione religiosa non islamica. Tutti i tentativi fatti ad ogni livello da vari governi, dalla Santa Sede e specialmente da Giovanni Paolo II per migliorare questa situazione, non hanno dato finora nessun risultato positivo.
Il Bahrein è stato sempre benevolo verso i cattolici. Il trisnonno dell’attuale sovrano diede il suo assenso per la costruzione della prima chiesa cattolica nel Golfo. Il padre dell’attuale re ci rimase un po’ male quando scoprì che per la nuova sede del Vicariato la Santa Sede aveva scelto Abu Dhabi e non il suo Bahrein, ma poi capì che si trattava di una scelta dovuta a motivi logistici
Perché questa impenetrabilità?
GREMOLI: In Arabia Saudita regna una monarchia assoluta molto rigida e gli abitanti sono sunniti appartenenti al gruppo wahabita, una setta molto ortodossa e intransigente. Essi si ritengono i custodi dei luoghi santi della Mecca e di Medina e considerano tutta l’Arabia un luogo santo islamico in cui non può essere ammesso alcun altro culto.
Questo vuol dire che il milione e più di cattolici pure presenti in Arabia Saudita sono abbandonati a loro stessi?
GREMOLI: Beh… lo Spirito Santo, nonostante questi numerosi problemi e queste notevoli difficoltà, lavora in modo meraviglioso anche in Arabia Saudita. Non è opportuno scendere in casi particolari, ma posso dire che ogni anno sono riuscito a compiere la mia visita pastorale, ad amministrare le cresime e altri sacramenti, a celebrare sante messe per molti gruppi. Posso aggiungere poi che, periodicamente, qualche sacerdote è “di passaggio” da quelle parti e la sua sicurezza è salvaguardata con responsabilità.
Quindi un ruolo importante in Arabia Saudita viene svolto dai semplici fedeli laici?
GREMOLI: In effetti sono loro a curare il catechismo ai piccoli nelle case private o in altre residenze. La “parrocchia” di Riyadh poi è affidata a un laico che, coadiuvato da altri, cura scrupolosamente ciò che è essenziale, compresi i registri parrocchiali dei sacramenti amministrati dai sacerdoti periodicamente “di passaggio”.
Crede che l’Arabia Saudita cambierà in futuro il suo atteggiamento?
GREMOLI: Difficile fare previsioni. In occasione della morte di Giovanni Paolo II anche l’Arabia Saudita, che pure non ha rapporti diplomatici con la Santa Sede, ha mandato una delegazione ufficiale per partecipare alle esequie. Un’altra delegazione ufficiale saudita poi ha partecipato alla messa di inizio pontificato di papa Benedetto XVI. Speriamo che questi piccoli segnali portino frutto e che l’Arabia Saudita un giorno permetta ai cristiani almeno di poter pregare insieme secondo la loro fede.
Eccellenza, quali sono stati i momenti più difficili in questi trent’anni di episcopato?
GREMOLI: Indubbiamente la prima guerra del Golfo e la recente invasione dell’Iraq hanno creato non pochi problemi. Durante il primo conflitto tutti gli aeroporti della penisola arabica vennero chiusi e quindi per me era impossibile visitare i nostri cattolici. Senza contare poi che si creò un clima più ostile, non molto simpatico, nei nostri confronti. Per fortuna la posizione decisa e chiara del Papa e della Santa Sede hanno facilitato il superamento delle nostre difficoltà. Perché molti musulmani – i più informati e i più onesti – hanno capito che la Chiesa cattolica non andava confusa con l’Occidente e con gli Stati che erano in guerra. La stessa cosa è successa quando è iniziata la guerra che ha portato all’invasione di Baghdad e alla caduta del regime di Saddam Hussein.
La santa messa celebrata presso la scuola San Giuseppe di Abu Dhabi 
in occasione della cerimonia di addio al vescovo Gremoli

La santa messa celebrata presso la scuola San Giuseppe di Abu Dhabi in occasione della cerimonia di addio al vescovo Gremoli

Qual è la personalità islamica che più l’ha colpita in questi trent’anni?
GREMOLI: Una figura che merita un particolare ricordo è quella del compianto sceicco Zayed Bin Sultan Al Nahyan, il quale accettò che nel 1976 la sede del Vicariato si spostasse dalla sede storica di Aden, nello Yemen, nel suo emirato di Abu Dhabi (cfr. box). Ma un ricordo particolare meritano anche l’emiro del Qatar, il re del Bahrein e il sultano dell’Oman. Tutte personalità che sono state molto benevole nei confronti dei cattolici e che meritano quindi di essere conosciute.
Cominciamo dall’emiro del Qatar…
GREMOLI: L’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani mi ha accolto con grande affabilità e disponibilità fin da quando era principe ereditario. Si è sempre mostrato molto interessato al mondo cristiano al punto che da tre anni organizza a Doha una Conferenza per il dialogo tra studiosi ed esperti cristiani e musulmani. Alla seconda edizione, quella del 2004, ha partecipato anche il cardinale Jean-Louis Tauran, che, quando era “ministro degli Esteri” vaticano, ci è stato sempre molto vicino e di grande aiuto. E proprio in occasione di questa seconda Conferenza, nel discorso di apertura l’emiro disse chiaramente che per un vero dialogo era necessaria la presenza di tutti i popoli del Libro e quindi anche degli ebrei. Ricordo benissimo che non mancarono reazioni negative a questo annuncio, ma nella Conferenza del 2005 in effetti è stata invitata anche una delegazione ebraica. Questo fatto è ancora più straordinario perché, come già detto, il Qatar è un Paese wahabita. Speriamo che questo sia di buon auspicio per l’Arabia Saudita.
Passiamo al re del Bahrein…
GREMOLI: Il re Hamad bin Isa al-Khalifah merita tutta la nostra simpatia e gratitudine non solo per la sua personale apertura e cordiale accoglienza, ma anche per i meriti acquisiti dai suoi avi. La dinastia che guida il Bahrein è stata sempre benevola verso i cattolici. Il trisnonno dell’attuale sovrano, come ho già ricordato, nel 1939 diede il suo assenso per la costruzione della prima chiesa cattolica nel Golfo. Il padre dell’attuale re ci rimase un po’ male quando scoprì che per la nuova sede del Vicariato la Santa Sede aveva scelto Abu Dhabi e non il suo Bahrein, ma poi capì che si trattava di una scelta dovuta a motivi prettamente logistici, visto che per il vicario apostolico sarebbe stato più complicato spostarsi da un’isola quale è Bahrein.
Monsignor Gremoli con i docenti della scuola San Giuseppe di Abu Dhabi

Monsignor Gremoli con i docenti della scuola San Giuseppe di Abu Dhabi

E ora un ricordo del sultano dell’Oman…
GREMOLI: Ogni volta che al sultano Sayed Qabus ibn Said abbiamo chiesto l’autorizzazione per costruire una nuova chiesa, lui ha voluto sempre informarsi con precisione su quale fosse il numero dei cristiani, e quando ha scoperto che erano tanti è sempre stato molto generoso nella concessione dei terreni. Ricordo un lungo incontro avuto con lui: con una cordialità fraterna volle sapere come si trovavano i cattolici nel sultanato, quale fossero i loro problemi. Nella stessa occasione non mancò di rassicurarmi che per lui tutti gli emigrati sono persone preziosissime, da assistere e trattare con giustizia e benevolenza «perché» mi disse «sono loro che hanno contribuito allo sviluppo del Paese e dobbiamo essere molto grati di questo».
Ma queste figure che ha voluto ricordare sono eccezioni o sono pienamente rappresentative dei Paesi che governano?
GREMOLI: Credo che siano rappresentative della mentalità di questi Paesi, anche se certamente negli ultimi anni ho avuto modo di registrare un cambiamento non positivo. Non voglio dire che le relazioni con le autorità e con le popolazioni siano peggiorate. Ma è venuta un po’ meno la grande familiarità che c’era prima.
Perché?
GREMOLI: Colpa dell’influenza negativa esercitata da gruppi fondamentalisti provenienti da fuori. Gruppi che ufficialmente non sono presenti in questi Paesi moderati, ma che non mancano di far sentire la propria influenza negativa.
Quale può essere secondo lei un atteggiamento costruttivo nei confronti del mondo islamico?
GREMOLI: Il dialogo e una maggiore conoscenza reciproca. Il dialogo deve essere soprattutto su temi religiosi. Personalmente credo che impostare il dialogo su temi politici, culturali o storici sia ancora troppo complesso e rischioso. Il dialogo religioso deve puntare concretamente a promuovere la libertà di culto e il rispetto dei simboli delle varie religioni. Deve puntare a un accordo per la condanna assoluta della distruzione di chiese o di moschee. A questo proposito mi sembra esemplare il fatto che il papa Benedetto XVI, durante l’Angelus di domenica 26 febbraio, abbia condannato le violenze scoppiate recentemente in Nigeria senza fare differenze tra “violenze islamiche” e “violenze cristiane”. I leader delle due religioni dovrebbero poi contribuire a favorire una maggiore conoscenza reciproca. C’è tanta ignoranza dall’una e dall’altra parte. Non tutti sanno, ad esempio, che non solo i musulmani ma anche i cristiani arabi nelle loro preghiere e liturgie si rivolgono al Signore chiamandolo Allah. Così quando i cristiani occidentali ironizzano su Allah, in realtà offendono anche i cristiani arabi.
C’è tanta ignoranza dall’una e dall’altra parte. Non tutti sanno, ad esempio, che non solo i musulmani ma anche i cristiani arabi nelle loro preghiere e liturgie si rivolgono al Signore chiamandolo Allah. Così quando i cristiani occidentali ironizzano su Allah, in realtà offendono anche i cristiani arabi
Secondo lei è necessario pretendere con il mondo islamico la reciprocità?
GREMOLI: La reciprocità è una bella cosa. La piena reciprocità è ovviamente auspicabile. Ma bisogna essere realisti. Oggi non possiamo pretendere delle reciprocità su cose non essenziali, marginali, di cui a volte non godono neanche gruppi musulmani che sono una minoranza nei loro Paesi islamici. E credo che l’essenziale sia la libertà di poter praticare la propria religione, di avere un luogo di culto, e di essere rispettati come figli di Dio. Quindi, ad esempio, se le autorità mi concedono l’autorizzazione di costruire una chiesa a patto che fuori di essa non compaiano simboli cristiani, non posso essere tanto intransigente da chiedere che la chiesa in questione abbia un alto campanile con in cima una croce. Altrimenti metto in difficoltà anche le autorità che sono state benevole nei nostri confronti e mi viene annullata anche la concessione che mi è stata fatta…
C’è ancora chi non riesce a comprendere perché a Roma l’Arabia Saudita abbia finanziato la costruzione di una grande moschea mentre non ammetta nessuna chiesa sul proprio suolo…
GREMOLI: La moschea a Roma sta bene dove sta. Anche perché, pur essendo stata finanziata perlopiù dall’Arabia Saudita, ne usufruiscono anche molti musulmani di altri Paesi in cui a noi cristiani è concesso di avere dei luoghi di culto. E poi il permesso di costruirla venne chiesto dall’allora re Feisal, sovrano di grandi aperture anche nei confronti dei cristiani, e che venne ucciso forse proprio per queste aperture.
Eccellenza, qui in Italia politici come il presidente del Senato Marcello Pera, giornalisti come Oriana Fallaci e artisti come Franco Zeffirelli propugnano un confronto più gagliardo con l’islam, auspicando quasi un maggiore orgoglio da parte del mondo cristiano. Si tratta di personalità toscane come lei…
GREMOLI: Francescanamente non voglio litigare con nessuno. Sono atteggiamenti che rispetto. Ma che alla luce della mia esperienza mi risultano poco comprensibili. Al di là delle possibili buone intenzioni, acuire il confronto tra Occidente e mondo islamico è inutile e pericoloso. Su alcuni aspetti morali e religiosi, poi, i musulmani hanno molto da insegnarci. Quindi c’è poco di cui essere orgogliosi. E poi fortezza e prudenza sono virtù cristiane, l’orgoglio no.
Più di una volta mi sono sentito dire che accoglievano le mie richieste perché i cattolici pregano e pregano molto, hanno una grande partecipazione ai momenti di culto e alla vita sacramentale. Alla fine quindi in quasi trent’anni il Vicariato è riuscito a costruire ben undici chiese e complessi parrocchiali, tutti su terreni concessi gratuitamente dalle autorità
Teme una “guerra di civiltà” tra islam e Occidente?
GREMOLI: Dio ce ne scampi. Il re del Bahrein, durante la Conferenza di dialogo islamo-cristiano celebrata nel suo regno nell’ottobre 2002, disse: «Noi, nell’odierna congiuntura storica, abbiamo una tremenda opportunità di convergere di nuovo su nuovi ed essenziali scopi, appoggiando i valori della tolleranza e dell’armonia, e sottolineando il bisogno di contrastare l’estremismo in tutte le fedi». La sottoscrivo in pieno. Credo che sia essenziale evitare un confronto tra due grandi realtà, quella cristiana e quella islamica, che potrebbe avere conseguenze disastrose per tutti.
Lei è stato l’ultimo di una serie di cinque vescovi vicari apostolici d’Arabia tutti cappuccini e di origini toscane. Adesso il suo successore è un confratello svizzero, Paul Hinder.
GREMOLI: Per la scelta del mio successore l’Ordine dei Cappuccini, con in testa il ministro generale John Corriveau, ha dato quanto di meglio aveva a disposizione. Il vescovo Paolo è stato per dieci anni assistente del ministro generale, conosce cinque lingue e sta studiando l’arabo, è laureato in Diritto e Teologia, è un uomo di grande esperienza. L’ho avuto per un anno come ausiliare e ho potuto ammirare la sua fede e le sue capacità umane. Sono sicuro che farà un gran bene.
Eccellenza, un’ultima domanda. Le manca l’aria della penisola arabica?
GREMOLI: Inutile negare, un po’ sì. Ho lasciato una comunità cristiana vivace, che vive la propria fede con gioia, che guarda al futuro piena di speranza. Pensi che nella sola parrocchia di Santa Maria di Dubai nel 2005 sono state amministrate 500 cresime e 850 prime comunioni, i bambini che hanno frequentato il catechismo settimanale sono stati 4.200, e durante il triduo pasquale sono state distribuite centomila sante comunioni. Qui da noi la realtà non è certo così confortante…


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