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MOSTRE
tratto dal n. 04 - 2006

Nella Messina del Quattrocento c’era un’altra figura celebre

La santa Eustochia, vicina di Antonello



di Giuseppe Frangi


Ecce Homo, Collegio Alberoni, Piacenza

Ecce Homo, Collegio Alberoni, Piacenza

C’è un curioso mistero che sfiora la vita di Antonello. Negli stessi anni e nello stesso quartiere dove lui aveva casa e studio visse una figura di spicco della storia della città. Era la figlia di una famiglia nobile, Smeralda Calafato, che prese i voti come clarissa con il nome di Eustochia. Proclamata beata nel 1600 e santa nel 1988 da Giovanni Paolo II, la suora fu protagonista di una dura polemica contro i Francescani conventuali, tanto da arrivare a staccarsi e ad aprire un nuovo monastero per sé e per chi l’aveva seguita, il monastero di Montevergine, ponendolo sotto la protezione dei Francescani minori di Messina (lì c’è ancora la sua tomba). Antonello ed Eustochia dovevano essere più o meno coetanei, ma non c’è nessun documento che testimoni un rapporto tra di loro. Il testamento dell’artista, però, è rivelatore quanto meno di una condivisione di sensibilità: Antonello chiede infatti di essere sepolto con il saio di frate e chiede la precisa esclusione dal rito di ogni altro esponente del clero, a iniziare dai Francescani conventuali. Il tutto nella chiesa da cui dipendeva il santuario di Montevergine.
Le affinità tra Antonello e santa Eustochia non finiscono qui: alla clarissa infatti è attribuito un Libro della Passione, pubblicato a Messina in quei decenni, in cui sono contenute due raccomandazioni che Antonello sembra aver raccolto alla lettera. La prima riguarda la rappresentazione di Gerusalemme che deve esser fatta imitando luoghi noti in modo da rendere credibile all’occhio del fedele il fatto rappresentato: discende da qui la scelta di Antonello di riprodurre la sua Messina sullo sfondo di tante scene sacre? La seconda invece è un riferimento a un passo, molto trascurato dalla tradizione iconografica, del Vangelo di Giovanni. «Data la sententia viene menato il nostro Salvatore Jesu, legato con le corde al collo», scrive il Libro della Passione. Il particolare delle corde è ricordato solo nel Vangelo dell’apostolo prediletto e diventa un leitmotiv di uno dei soggetti più celebri e più richiesti di Antonello: l’Ecce Homo. In quasi tutte le versioni (cioè in quelle conservate a New York, a Piacenza e a Parigi) l’artista rappresenta il volto del Signore con la corda legata al collo, come emblema della Passione (infatti il nodo rievoca la flagellazione). Una corda che legherrebbe ancor di più il destino di Antonello con quello di santa Eustochia.


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