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ITALIA
tratto dal n. 09 - 2006

POLITICA. Intervista con il ministro della Giustizia

Clemente, moderato ma non arrendevole


Intervista a tutto campo con il guardasigilli Clemente Mastella. Il suo rapporto con la Chiesa cattolica italiana e l’attesa per una visita di papa Benedetto XVI ai carcerati. Il dialogo possibile tra politica e magistratura e un bilancio dell’indulto a due mesi dalla sua approvazione


intervista con Clemente Mastella di Roberto Rotondo


Il ministro Clemente Mastella nell’aula del Senato

Il ministro Clemente Mastella nell’aula del Senato

Alla calda estate politica sta seguendo un autunno rovente, ma il ministro della Giustizia Clemente Mastella, cinquantanove anni di cui trenta passati in politica, non sembra risentirne. Anzi, iperattivo più di un industriale della Brianza, non ha finito di difendere gli effetti dell’indulto di agosto dagli attacchi di un certo fariseismo diffuso, che è entrato nell’aula di un Senato dalle maggioranze incerte con l’obiettivo di far sospendere alcune disposizioni in tema di ordinamento giudiziario contenute nella riforma del suo predecessore Castelli, ma avversate da una significativa parte del sistema giudiziario. Infatti, in un Paese che soffre da anni lo scontro tra magistratura e politica, con una giustizia sentita da tutti come inefficiente e insufficiente, Mastella ha cercato fin dall’inizio del suo mandato di far ripartire la macchina burocratica rimuovendo barricate ideologiche e veti reciproci. Non bastasse, è scoppiato il caso delle intercettazioni illegali della Telecom, sul quale il ministro della Giustizia, il 21 settembre, ha reagito con un decreto legge per distruggere le trascrizioni degli ascolti clandestini e ha affermato: «Sulla nostra democrazia si sta addensando una nube tossica, una scoria radioattiva che va fermata immediatamente».

Partiamo dall’indulto, il primo provvedimento di clemenza verso i carcerati della cosiddetta Seconda Repubblica. Il precedente risale al 1990. Dopo due mesi si può fare un bilancio di come è stato applicato?
CLEMENTE MASTELLA: L’applicazione è stata chiaramente legata alle norme che il Parlamento ha varato, che non sono state eccessivamente clementi nei confronti di coloro che avevano commesso reati gravi, come quelli legati al terrorismo o alla criminalità organizzata, ma hanno toccato una popolazione carceraria che era allo stremo. Ma il vero problema, che in pochi hanno sottolineato, è che stenta a prendere piede un atteggiamento di maggiore disponibilità nel dare una possibilità agli ex detenuti di rifarsi una vita onesta. Nel fronteggiare l’uscita dal carcere, infatti, una delle nostre preoccupazioni maggiori è stata quella che ci fossero le condizioni per le quali il detenuto potesse avere una chance. Certo, le disponibilità del nostro Ministero non sono molte, ma analogamente si sono mossi il ministro del Lavoro e gli enti locali. E dove c’è stata più sensibilità, o dove c’erano già precedentemente iniziative per aiutare i detenuti a reintegrarsi, qualche risultato positivo si è visto. Chi fa molto più di noi da questo punto di vista è il volontariato, che è attivo non soltanto nei periodi di indulto, ma da anni lavora con costanza, pazienza e dedizione infinita.
Ha visto delle iniziative che l’hanno particolarmente colpita?
MASTELLA: Ce ne sono molte. Per esempio, ho visto concretamente a Padova il lavoro svolto dalla cooperativa Giotto, ma devo dire che anche in altre parti d’Italia ci sono iniziative portate avanti dal volontariato che hanno conseguito risultati di grande efficacia operativa. Per il resto, purtroppo, c’è da smaltire un po’ di preconcetti. Perché tutti si lamentano dell’uscita dei detenuti dal carcere, ma pochi sanno offrire “uscite di sicurezza”, come diceva Silone, alle difficoltà che incontra ogni ex detenuto nel riottenere, se mai lo abbia avuto, un minimo di cittadinanza.
Anche chi, in questi anni, si è più volte scandalizzato delle inumane condizioni di vita in cui versano i detenuti, si è poi stracciato le vesti quando una parte di loro è uscita dalle sovraffollate carceri italiane. Quali critiche ha trovato più farisaiche?
MASTELLA: La cosa che più mi ha lasciato con l’amaro in bocca è vedere come una certa stampa, dal preteso rigore intellettuale, sia stata quella che maggiormente ha fatto una spoliazione dei meriti dell’indulto, attribuendo solo a me le conseguenze di un provvedimento che ha avuto il consenso di due terzi del Parlamento. Una stampa che ha coltivato un disegno a volte culturalmente un po’ razzista, goffo e borghese. Un razzismo ideologico che ha il vezzo di fingersi comprensivo per i fenomeni di sofferenza altrui a patto che siano lontani, che sia semplicemente un parlarsi addosso sui mali del mondo. Quando la situazione di disagio e sofferenza ci è vicina, allora ci si irrigidisce, non si è più disponibili ad atteggiamenti di clemenza, che per me sono umani e cristiani insieme, pur senza confondere il piano religioso e quello laico istituzionale. Mi ha fatto anche specie riscontrare questo atteggiamento egoista in alcuni che sono impregnati di spirito cristiano, ma in questo caso, dovendo applicare le verità che professano a persone a loro prossime, hanno fatto un’eccezione.
Detenuti in uscita dal carcere di Poggioreale di Napoli in seguito all’applicazione 
della legge sull’indulto

Detenuti in uscita dal carcere di Poggioreale di Napoli in seguito all’applicazione della legge sull’indulto

Perché iniziare il suo mandato con l’indulto?
MASTELLA: Provvedimenti come quello dell’indulto, o riescono a essere definiti all’inizio oppure più si va avanti nella legislatura più diventa impossibile portarli a buon fine. La storia di questi anni ci dice questo: non bastò l’emozione per la visita in Parlamento di Giovanni Paolo II a coloro che con buona volontà hanno cercato in questi anni di perseguire quest’idea di clemenza cristiana e giuridica. Tutto questo era possibile solo con la convergenza di diversi interessi. A me interessavano i carcerati, forse qualcun altro era più concentrato su problemi personali da risolvere, ma, poiché erano necessari i due terzi dei voti, va dato atto a tutte le forze politiche di aver collaborato. Ciò è poi servito ad alcuni parlamentari, e non solo a loro, per accusarmi di aver aumentato il tasso di delinquenza in alcune zone d’Italia. Eppure è evidente come nelle aree dove c’è stato qualche episodio drammaticamente spiacevole di indultati che sono tornati subito a delinquere, la situazione di degrado sociale e di tasso di criminalità prima e dopo l’indulto sia la stessa. Come a Napoli o a Palermo.
«L’indulto è stato un provvedimento positivo, accolto con grande soddisfazione dalla Santa Sede», ha detto il cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace: «Viene coronato il sogno di Giovanni Paolo II e anche quello di Benedetto XVI, assai sensibile alla situazione dei carcerati in tutto il mondo». Mentre ha anche annunciato che uscirà un documento che affronterà l’argomento e che «non è escluso che il Papa prima o poi visiterà un carcere». L’hanno confortata queste parole cui hanno fatto seguito anche quelle del cardinale vicario Camillo Ruini?
MASTELLA: Sia le dichiarazioni di Martino che quelle di Ruini sono state di grande conforto per me. Una forma di solidarietà che non mi ha fatto sentire solo e mi ha permesso di superare qualche amarezza. Magari ci fosse un qualche documento vaticano che parlasse di queste cose e facesse appello alle coscienze degli uomini! E se questo fosse letto nelle carceri italiane e, al tempo stesso, in un carcere venisse a chiosarlo e a spiegarlo il santo padre Benedetto XVI, sarebbe per me un grande onore. Visitare i carcerati è una delle sette opere di misericordia corporale e rientra nei compiti del vescovo di Roma. A Regina Coeli ci sono le targhe che ricordano la visita dei predecessori di papa Ratzinger, e penso che prima o poi anche Benedetto XVI verrà per dare parole di conforto a coloro che vivono la solitudine e il dramma del carcere.
Per la vita delle carceri potrebbe essere importante?
MASTELLA: Certamente sì. Anche vedendo quello che accade con l’opera paziente di tanti cappellani delle carceri che sono tramite di speranza, che danno parole di conforto, che riescono anche a essere vicini alle famiglie che sono fuori. A maggior ragione, per l’autorevolezza del Papa, sarebbe un segno un suo gesto pubblico che rammentasse la carità e la partecipazione al dolore, che è nella tradizione della Chiesa, verso il mondo dei carcerati
Visitare i carcerati è una delle sette opere di misericordia corporale e rientra nei compiti del vescovo di Roma. A Regina Coeli ci sono le targhe che ricordano la visita dei predecessori di papa Ratzinger, e penso che prima o poi anche Benedetto XVI verrà per dare parole di conforto a coloro che vivono la solitudine e il dramma del carcere
Lei è uno dei politici italiani che afferma di richiamarsi alla tradizione cattolica. Che cosa voleva dire quando ha cominciato trent’anni fa, e che cosa vuol dire oggi, essere un politico cattolico?
MASTELLA: La persona cui devo di più per la mia crescita e per la mia decisione di fare politica è stato il mio parroco. Io sono arrivato alla politica attraverso le letture dei testi del Vaticano II e dei libri di don Milani. Creai anche un circolo di amici in cui si studiavano e discutevano i testi conciliari. Testi che mi hanno precipitato nel solco della tradizione cattolico-democratica. Ricordo alcune figure come Suenens o Lercaro. Pensi che leggevo anche alcune cose di Ratzinger, credo pubblicate su Concilium, a cui all’epoca ero abbonato, forse l’unico nella mia provincia. Allora, come poi ebbe a dire Paolo VI, la scelta della politica era una scelta di carità, quindi un orizzonte che doveva essere capace di comprendere le ragioni degli altri, di dare speranza agli altri, non di affogarli. Quello che volevamo era rendere le istituzioni meno fredde nei confronti dei cittadini, affrontare problemi e fenomeni che erano dissacranti per la persona, e le difficoltà che attanagliavano tante zone del Mezzogiorno nelle quali sono vissuto. Oggi è diverso. Non c’è quest’itinerario metodologico, quasi pedagogico, di attingere a una fonte. Si arriva alla politica di getto, forse per caso. E la politica è percepita quasi sempre come difesa di interessi di parte. Inoltre non vedo più scuole di formazione politica, riferimenti culturali. Io, ad esempio, studiavo filosofia e leggevo i libri di Mounier e di Maritain che venivano editi da Morcelliana: la mia generazione è cresciuta con l’umanesimo integrale di Maritain e con il personalismo di Mounier. Oggi non si intravedono nel mondo cattolico molte figure di riferimento e si attinge più al passato che al presente. Anche le accuse di ingerenza che vengono mosse da alcuni di noi politici al presidente della Conferenza episcopale o al Papa ogni volta che intervengono su questioni che riguardano la sfera morale, sono il segno dei tempi: non si riconosce alla Chiesa quel ruolo di maestra di umanità che parla agli uomini e alle donne di buona volontà, e che lascia liberi di accettare o non accettare. Comunque, anche se non c’è più l’unità politica dei cattolici, per me una sana ispirazione cristiana maturata e vissuta nel territorio dove uno si muove e opera è un fatto di grande importanza. E spero sempre che il richiamo a quei valori permanga e ci unisca, a prescindere dalla collocazione in cui ognuno di noi si trova nel gestire il quotidiano della politica.
Quali figure attuali della Chiesa italiana la colpiscono di più?
MASTELLA: Ce ne sono varie: Tettamanzi per quello che dice sui temi legati alla morale. Scola più in chiave di natura filosofica. Conosco anche Antonelli e mi è sembrato molto attento ai problemi del mondo moderno. Così come ho molta stima di Bertone, e questo suo modo di vivere col sorriso la diplomazia non è affatto male. In situazioni dove c’è un pregiudizio nei confronti dei cattolici è un tratto che può aiutare. Poi Sepe, inizialmente accolto a Napoli da qualche scetticismo, poiché si dubitava che un curiale potesse calarsi bene in una situazione difficile come quella. Invece, gli sto vedendo fare gesti pastorali bellissimi, ed è riuscito in poco tempo a richiamare l’attenzione dei credenti e dei non credenti su certi valori cui bisogna far riferimento se si vuole dare speranza alla gente in un contesto così devastato socialmente e moralmente.
Parliamo del suo dicastero. Come ci si trova a lavorare sulla scrivania che fu di Togliatti, e a quale guardasigilli del passato vorrebbe ispirarsi?
MASTELLA: Togliatti è stato il primo ministro della Giustizia della Repubblica. Anche lui determinò un atto di clemenza, certo molto più famoso del nostro indulto. Fu un’amnistia che segnò il passaggio tra un regime e l’altro. Un atto di perdono che non fu un cinico colpo di spugna, ma un gesto lungimirante che evitò regolamenti di conti privati e uno stato perenne di guerra civile. Però il mio modello di riferimento è Guido Gonella. Era, come me, giornalista, non un tecnico di discipline giuridiche, ma, come ho potuto leggere nel volume dei discorsi pronunciati in Parlamento che mi ha regalato il presidente Andreotti, aveva una competenza politica e istituzionale elevatissima e un senso umano e cristiano profondo.
Quali sono le riforme e le problematiche cui mettere mano subito «concertando e non imponendo», come dice lei?
MASTELLA: Alcune sere fa mi ha chiamato il procuratore capo di Napoli e mi ha detto: «Ho ritrovato la disponibilità del mio ministro». Questo mi fa molto piacere perché dà l’idea di un rapporto, il che non significa convenire su tutto quello che pensano i magistrati. Finalmente si è rotto il muro d’incomunicabilità. Ci vuole la pazienza di ascoltare anche quando magari ci sono stati alcuni eccessi da parte loro. La giustizia oggi è lentissima, labirintica, esasperata. Per questo ho proposto di ridurre a due i gradi di giudizio per le cause civili. Inoltre, dobbiamo informatizzare l’amministrazione per essere più celeri. Bisogna anche discutere delle pene alternative, l’organizzazione all’interno dell’amministrazione giudiziaria, che a volte è assente. È un’azienda atipica, speciale, specialissima, quella della giustizia. Però come tutte quante le aziende ha bisogno di un minimo di cultura organizzativa.
Ma le accuse di reciproca ingerenza e prevaricazione tra magistratura e politica, che hanno segnato il recente passato, a volte riemergono…
MASTELLA: Quando l’intero corpo di magistrati, che pure ha un sistema correntizio esasperato, si trova unito e fa uno sciopero con più adesioni di quello dei metalmeccanici, vuol dire che qualcosa non è andato per il verso giusto nell’azione di governo e nella politica. Allora il problema è tener conto delle loro ragioni. Certo, solo quando esse appaiono sensate e non solo rivolte alla difesa di privilegi di corporazione. La stessa cosa vale per gli avvocati, che devono rendersi conto che occorre recepire le indicazioni dell’Unione europea e riorganizzare gli ordini professionali, le associazioni e gli studi.
Giovanni Paolo II durante la messa celebrata nel carcere romano di Regina Coeli per il Giubileo nelle carceri, il 9 luglio 2000

Giovanni Paolo II durante la messa celebrata nel carcere romano di Regina Coeli per il Giubileo nelle carceri, il 9 luglio 2000

Lei ha chiesto che non siano toccate dalla prossima finanziaria le pensioni e ha definito fuori luogo l’idea di varare ora una nuova legge sul conflitto di interessi. Due posizioni, divergenti da quelle del suo governo, che le hanno fatto guadagnare l’appellativo di “Pierino” e l’accusa di voler tenere il piede in due staffe. La sua è la prudenza tradizionale dei moderati o c’è dell’altro?
MASTELLA: Più che di prudenza, che è una virtù cardinale, parlerei di stile. C’è uno stile di far politica che apporta un po’ di buon senso: dire che la questione del conflitto d’interessi non va esasperata significa dire che oggi è inutile creare martiri. Io sono stato tra i primi a sollevare il problema, ma oggi non abbiamo tanto bisogno di martiri mediatici quanto di lubrificare la democrazia. Sulle pensioni, mi ha fatto simpatia un giornalista del Manifesto che, avendo letto quello che dichiaravo sulla pace sociale e il welfare, mi ha fatto notare che dicevo le stesse cose quando ero ministro del Lavoro con il governo Berlusconi, dieci anni fa. Questo perché il mio modo di far politica è lo stesso. Sono leale con la mia coalizione, ma voglio anche dire la verità. Va affrontato di certo anche il riordino previdenziale, però mi pare che oggi aggiungere altri pesi all’elettorato italiano, che dimostra qualche insofferenza, sia un errore. Tornando al conflitto di interessi, credo si possa arrivare allo stesso risultato privi di questo stress politico che è determinato dal colluttare permanentemente con gli avversari, come se si volesse cancellarli definitivamente dalla politica.
Cosa vuol dire allora essere un moderato? Solo una questione di stile?
MASTELLA: Credo sia un patrimonio culturale a cui attingere e di cui restano esili tracce in filigrana: il grande patrimonio di valori della cultura cattolico-popolare e, perché no, della cultura democristiana. La moderazione è una categoria dell’operare politico, perché compito della politica è proprio moderare gli interessi che confliggono, non allinearsi con gli interessi in gioco. Non consentire a chi è più forte di andare troppo avanti e impedire che quelli che non hanno voce siano spazzati via o siano esclusi dalle istituzioni. Moderato non è sinonimo di arrendevole. Anzi, i moderati sono i più determinati, come la colomba di cui si parla nel Vangelo. Non c’è cosa più forte della colomba che al momento opportuno sa difendersi dall’altrui offesa.


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