ORTODOSSI. Un antico manoscritto greco, fonte di collaborazione con Roma
Un tesoro di dialogo
La Biblioteca ApostolicaVaticana e la Diaconia apostolica della Chiesa di Grecia stanno lavorando alla pubblicazione del facsimile del Menologio di Basilio II, capolavoro assoluto dell’arte della miniatura bizantina
di Francesco D’Aiuto
Che un libro possa giovare
ad aprire le vie del dialogo fra le Chiese, è cosa che non
desterà stupore. Il pensiero, la parola, e la pagina scritta in cui
essi trovano forma compiuta, possono certamente agire – e tante volte
in passato hanno agito – come chiave efficace di reciproca
conoscenza, e come mezzo per il superamento di ostilità e freddezze
secolari. Sorprenderà invece che, per una volta, a contribuire alla
discussione fra cattolicesimo e ortodossia non siano le pagine fresche di
stampa di un volume di riflessione teologica appena giunto nelle librerie.
Ma piuttosto i fogli di pergamena, vecchi di mille anni, di un prezioso
manoscritto greco che da quattro secoli si conserva a Roma, fra i tesori
della Biblioteca Vaticana: il Menologio di
Basilio II.
Non un manoscritto qualunque, questo è vero. Anzi, si potrebbe dire, il “principe” dei manoscritti greci, e il capolavoro assoluto dell’arte della miniatura bizantina. Un libro “imperiale”, innanzitutto, che fu copiato a mano – più di quattrocento anni prima dell’invenzione della stampa – e sontuosamente illustrato per conto di Basilio II: l’imperatore che, regnando fra il 976 e il 1025, fu a Costantinopoli l’ultimo rappresentante di spicco di quella gloriosa dinastia macedone che tenne il potere tra la metà del IX secolo e la metà dell’XI, portando l’Impero di Bisanzio, grande potenza mediterranea di allora, al suo apogeo.
Un libro, insomma, appartenuto a un grande potente del suo tempo, e da lui direttamente commissionato. Eppure, si tratta di un libro “di chiesa”, anzi, di un manoscritto strettamente liturgico. Con la consueta commistione e sovrapposizione di piani, tipica del Medioevo greco, fra divino e profano: fra il Regno dei cieli e quell’Impero terreno, dalle pretese universalistiche, che della monarchia celeste voleva essere l’immagine nel mondo visibile. Perché a Bisanzio l’imperatore era, di Dio, la figura e il rappresentante in terra.
Non è un caso, allora, che in questo manoscritto l’imperatore Basilio si sia fatto allestire un esemplare di gran lusso del Sinassario: cioè di quel libro liturgico che contiene le brevi notizie sui santi del giorno, destinate a essere lette quotidianamente nei riti del “mattutino” (l’órthros, come si dice in greco). Un manoscritto, dunque, che rientra in una classe precisa, e ben nutrita, di testimoni della liturgia bizantina. E tuttavia, molti sono gli aspetti che rendono questo manoscritto un esemplare unico, e del tutto straordinario.
Un calendario liturgico
In primo luogo, la testimonianza immediata che esso ci offre sulla figura del sovrano committente, Basilio II. Le fonti storiche – in primo luogo la Cronografia che fu scritta qualche decennio più tardi da quel cortigiano senza scrupoli che fu Michele Psello – ci presentano Basilio come un asceta del governo. Ne esce il ritratto di un imperatore severo e pragmatico, dal tratto ruvido. Un uomo profondamente impegnato nell’amministrazione dello Stato, e implacabile nell’azione militare: passato alla storia, non per nulla, come lo “sterminatore dei Bulgari” (o Bulgaroktónos) per antonomasia. Un uomo, al contrario, poco interessato – così ci viene riferito – alla letteratura, soprattutto alla fiorita retorica dominante ai suoi giorni, e poco amante delle arti in generale. Eppure il Menologio della Biblioteca Vaticana, oltre a illuminarcene, per quanto è possibile, la religiosità, ce lo rivela – si direbbe – sensibile all’arte e al bello.
E questo ci introduce al secondo elemento di eccezionalità del nostro manoscritto: si tratta, infatti, del libro bizantino più riccamente miniato che si conosca. A ogni santo, a ogni festa liturgica del Sinassario corrisponde, nel manoscritto, una miniatura. In questa sorta di “galleria di pittura in un libro solo”, ciascuna pagina è occupata per metà da una scena miniata di ampio formato (18x12 cm circa), mentre il resto dello spazio è riservato al relativo testo scritto. Le miniature superstiti sono ben 430: eppure raffigurano i soli santi festeggiati da settembre a febbraio (i primi sei mesi del calendario bizantino, che cominciava col 1° settembre e terminava col 31 agosto). Deve essere esistito, infatti, anche un secondo tomo del Menologio, con i mesi da marzo ad agosto, arricchito da altrettante centinaia di preziose miniature: un tomo che dové andare perduto in un’epoca che non sappiamo precisare, e in circostanze sconosciute. Probabilmente nei convulsi e tormentati secoli finali di Bisanzio. Forse, chissà, al momento della rovinosa presa di Costantinopoli, la capitale dell’Impero caduta in mano ai Turchi nel 1453.
Ma il vivo interesse di Basilio II per le arti sembra attestato non solo dalla grande quantità di miniature di questo manoscritto, né soltanto dalla loro qualità eccellente, che le situa ai vertici della pittura bizantina. Un’altra caratteristica esclusiva di questo manoscritto consiste nel fatto che accanto a ciascuna delle miniature si può leggere la “firma”, cioè il nome del pittore che l’ha eseguita. Non, però, scritto dall’artista stesso, ma annotato dalla mano di un anonimo calligrafo.
È questo un caso unico a Bisanzio, dove gli artisti si nascondono quasi sempre nel più totale anonimato. Per una forma di cerimoniosa umiltà, specialmente se monaci o ecclesiastici. Oppure, più spesso, perché enorme è il divario sociale che separa gli artisti dai committenti dell'opera d'arte, che sono in genere di rango aristocratico, quando non addirittura, come in questo caso, imperiale. Anche questo elemento – la volontà di registrare i nomi dei pittori – pare insomma testimonianza, da parte di Basilio II, di un interesse personale, e tutt’altro che convenzionale, per l'arte e per gli artisti.
A questa inusuale attenzione per le singole personalità dei pittori dobbiamo, dunque, una volta tanto, la conoscenza dei loro nomi. Sappiamo così che al manoscritto – o almeno al primo tomo, l'unico conservatosi sino a noi – lavorarono otto artisti, capeggiati da un Pantaleone che dové essere il più celebre pittore del suo tempo, il cui nome risuona anche in fonti letterarie coeve. E grazie alle “firme” possiamo individuare, in queste miniature, le peculiarità della maniera pittorica di ciascuno degli artisti coinvolti nel lavoro. Riusciamo così a farci un'idea precisa della coesistenza di tendenze e di talenti in parte diversi – pur nella sostanziale unità di stile – all’interno di un solo, straordinario atelier di pittura della Costantinopoli dell'anno Mille.
Di un manoscritto tanto prezioso era urgente promuovere la pubblicazione di una moderna riproduzione fotografica integrale: un facsimile, come dicono gli addetti ai lavori. E non solo per diffonderne la conoscenza.
Come moltissimi altri manoscritti dell’età mediobizantina, anche il Menologio soffre di delicati problemi di conservazione, in particolare dei pigmenti. Nonostante l’impiego delle più avanzate metodologie, i processi di decadimento, pur lentissimi, sono talora difficili da contrastare con efficacia e, soprattutto, evitando al manoscritto altri dannosi “effetti collaterali” per il futuro. Spesso si può solamente rallentare il degrado, ma non fermarlo del tutto.
La riproduzione in facsimile è, in questo senso, una misura conservativa importante. Essa documenta fotograficamente, con le più raffinate tecniche di ripresa digitale, lo stato presente. Soprattutto, permetterà di rendere molto più rara la consultazione diretta dell’originale, già ora limitata ai soli casi indispensabili alla ricerca, mantenendo così il manoscritto in migliori condizioni per le generazioni future. Intanto, le centinaia di esemplari del facsimile che sono state stampate, e che in buona parte saranno disseminate fra le maggiori biblioteche di documentazione e nei centri di ricerca di tutto il mondo, rilanceranno certamente lo studio di questo capolavoro, i cui tanti segreti sono ben lungi dall’essere stati tutti svelati.
Un comune patrimonio
Da libro gelosamente riservato al potente sovrano che ne ordinò la confezione, il Menologio si trasforma oggi idealmente, attraverso le sue copie facsimilari, in un comune patrimonio dell’umanità. In questa nostra epoca dominata dalla riproducibilità dell’arte, l’affinarsi delle tecniche fotografiche e di stampa permette la creazione di “copie” talmente perfezionate che solo pochi specialisti saprebbero distinguerle dall’originale. Ciò anche grazie alla grande competenza tecnologica e, allo stesso tempo, sapienza “artigianale” della casa editrice spagnola incaricata dell’esecuzione del progetto, la Testimonio Compañia Editorial, da tempo specializzatasi in simili pubblicazioni.
Ma queste raffinate “repliche” del prezioso manoscritto non si pongono solamente al servizio degli studi: rappresentano soprattutto il segno di una rinnovata condivisione, tra Chiese d’Oriente e d’Occidente, della memoria di un comune, millenario tesoro di santità. Le centinaia di sante e di santi – martiri, monaci, vescovi, semplici laici – che sono ritratti nella galleria di immagini sacre del Menologio non sono, infatti, oggetto della venerazione della sola Chiesa greca, ma della Chiesa universale. Perché questo libro prezioso fu scritto e miniato solo qualche decennio prima che, nel 1054, si consumasse lo scisma, restato poi definitivo, fra Costantinopoli e Roma. Quella separazione e opposizione tra cattolicesimo e ortodossia in materia dottrinale e disciplinare, sulle cui fondamenta un vero e proprio muro d’odio sarà costruito da eventi successivi: si pensi alla presa e al sacco di Costantinopoli da parte dei crociati, gli odiati “Latini”, nel 1204. Un’ostilità che non sarà mai più superata, nonostante i diversi tentativi percorsi dalle due parti fino alla precaria “unione” decretata dal Concilio di Firenze (1439), e oltre. Con conseguenze che hanno continuato a pesare gravemente sui rapporti fra sede petrina e mondo ortodosso fino a oggi.
Se la si colloca sullo sfondo di questa storia millenaria è, perciò, un evento di profondo significato la collaborazione oggi messa in atto fra la Diaconia apostolica della Chiesa di Grecia e la Biblioteca Apostolica Vaticana per la realizzazione congiunta del facsimile di questo manoscritto. È un segno di ritrovata fiducia reciproca, tra le inevitabili difficoltà. È la testimonianza, in ogni caso, della continuità e della vivacità di un dialogo che gli ultimi decenni hanno visto rinvigorirsi: per merito di uomini di Chiesa che, in ciascuno dei due schieramenti, ritengono il superamento dell’antico “scandalo” della separazione un presupposto ineludibile per dare oggi, del Vangelo, una testimonianza universalmente credibile.
Il clima di cordialità e di apertura, il dialogo fiducioso che si è instaurato nella collaborazione fra le parti coinvolte nel lungo progetto – avviato nel 2002 –, hanno trovato coronamento nella cerimonia di prima presentazione ufficiale del facsimile realizzato, svoltasi il 16 novembre dello scorso anno ad Atene. Cerimonia che, in un’atmosfera di fraternità che alimenta le speranze, ha visto raccogliersi intorno al facsimile, fra le altre autorità ecclesiastiche e laiche, l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, sua beatitudine Christodoulos, e il bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa, cardinal Jean-Louis Tauran.
E già si attende la prossima occasione di incontro, e un prossimo passo nel cammino di dialogo. Ovvero la presentazione – che sarà organizzata stavolta a Roma, nella tarda primavera 2007 – del volume di studi e di commento destinato ad accompagnare il facsimile del Menologio. Volume che, proprio in questi mesi, sta nascendo dalle ricerche originali di un’équipe di specialisti: storici dell’arte, filologi, liturgisti, restauratori, tutti chiamati per l’occasione a collaborare, ciascuno per le sue competenze, a un vasto progetto di studio interdisciplinare. In un’iniziativa di ricerca che è anch’essa, necessariamente, di livello internazionale, vedendo impegnati esperti soprattutto dall’Italia e dalla Grecia, ma anche dalla Russia e dagli Stati Uniti.
Lo studio e la ricerca non conoscono confini geo-politici, né steccati confessionali. E anzi possono a loro modo facilitare il superamento, in altri ambiti, di incomprensioni e contrapposizioni antiche. Perché la strada per il dialogo può passare, anche oggi, per gli studi. E per le pagine di un manoscritto greco di mille anni fa.
Non un manoscritto qualunque, questo è vero. Anzi, si potrebbe dire, il “principe” dei manoscritti greci, e il capolavoro assoluto dell’arte della miniatura bizantina. Un libro “imperiale”, innanzitutto, che fu copiato a mano – più di quattrocento anni prima dell’invenzione della stampa – e sontuosamente illustrato per conto di Basilio II: l’imperatore che, regnando fra il 976 e il 1025, fu a Costantinopoli l’ultimo rappresentante di spicco di quella gloriosa dinastia macedone che tenne il potere tra la metà del IX secolo e la metà dell’XI, portando l’Impero di Bisanzio, grande potenza mediterranea di allora, al suo apogeo.
Un libro, insomma, appartenuto a un grande potente del suo tempo, e da lui direttamente commissionato. Eppure, si tratta di un libro “di chiesa”, anzi, di un manoscritto strettamente liturgico. Con la consueta commistione e sovrapposizione di piani, tipica del Medioevo greco, fra divino e profano: fra il Regno dei cieli e quell’Impero terreno, dalle pretese universalistiche, che della monarchia celeste voleva essere l’immagine nel mondo visibile. Perché a Bisanzio l’imperatore era, di Dio, la figura e il rappresentante in terra.
Non è un caso, allora, che in questo manoscritto l’imperatore Basilio si sia fatto allestire un esemplare di gran lusso del Sinassario: cioè di quel libro liturgico che contiene le brevi notizie sui santi del giorno, destinate a essere lette quotidianamente nei riti del “mattutino” (l’órthros, come si dice in greco). Un manoscritto, dunque, che rientra in una classe precisa, e ben nutrita, di testimoni della liturgia bizantina. E tuttavia, molti sono gli aspetti che rendono questo manoscritto un esemplare unico, e del tutto straordinario.
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1613, f. 152: i santi Cosma e Damiano, medici, ricevono dal cielo la cassetta degli strumenti
In primo luogo, la testimonianza immediata che esso ci offre sulla figura del sovrano committente, Basilio II. Le fonti storiche – in primo luogo la Cronografia che fu scritta qualche decennio più tardi da quel cortigiano senza scrupoli che fu Michele Psello – ci presentano Basilio come un asceta del governo. Ne esce il ritratto di un imperatore severo e pragmatico, dal tratto ruvido. Un uomo profondamente impegnato nell’amministrazione dello Stato, e implacabile nell’azione militare: passato alla storia, non per nulla, come lo “sterminatore dei Bulgari” (o Bulgaroktónos) per antonomasia. Un uomo, al contrario, poco interessato – così ci viene riferito – alla letteratura, soprattutto alla fiorita retorica dominante ai suoi giorni, e poco amante delle arti in generale. Eppure il Menologio della Biblioteca Vaticana, oltre a illuminarcene, per quanto è possibile, la religiosità, ce lo rivela – si direbbe – sensibile all’arte e al bello.
E questo ci introduce al secondo elemento di eccezionalità del nostro manoscritto: si tratta, infatti, del libro bizantino più riccamente miniato che si conosca. A ogni santo, a ogni festa liturgica del Sinassario corrisponde, nel manoscritto, una miniatura. In questa sorta di “galleria di pittura in un libro solo”, ciascuna pagina è occupata per metà da una scena miniata di ampio formato (18x12 cm circa), mentre il resto dello spazio è riservato al relativo testo scritto. Le miniature superstiti sono ben 430: eppure raffigurano i soli santi festeggiati da settembre a febbraio (i primi sei mesi del calendario bizantino, che cominciava col 1° settembre e terminava col 31 agosto). Deve essere esistito, infatti, anche un secondo tomo del Menologio, con i mesi da marzo ad agosto, arricchito da altrettante centinaia di preziose miniature: un tomo che dové andare perduto in un’epoca che non sappiamo precisare, e in circostanze sconosciute. Probabilmente nei convulsi e tormentati secoli finali di Bisanzio. Forse, chissà, al momento della rovinosa presa di Costantinopoli, la capitale dell’Impero caduta in mano ai Turchi nel 1453.
Ma il vivo interesse di Basilio II per le arti sembra attestato non solo dalla grande quantità di miniature di questo manoscritto, né soltanto dalla loro qualità eccellente, che le situa ai vertici della pittura bizantina. Un’altra caratteristica esclusiva di questo manoscritto consiste nel fatto che accanto a ciascuna delle miniature si può leggere la “firma”, cioè il nome del pittore che l’ha eseguita. Non, però, scritto dall’artista stesso, ma annotato dalla mano di un anonimo calligrafo.
È questo un caso unico a Bisanzio, dove gli artisti si nascondono quasi sempre nel più totale anonimato. Per una forma di cerimoniosa umiltà, specialmente se monaci o ecclesiastici. Oppure, più spesso, perché enorme è il divario sociale che separa gli artisti dai committenti dell'opera d'arte, che sono in genere di rango aristocratico, quando non addirittura, come in questo caso, imperiale. Anche questo elemento – la volontà di registrare i nomi dei pittori – pare insomma testimonianza, da parte di Basilio II, di un interesse personale, e tutt’altro che convenzionale, per l'arte e per gli artisti.
A questa inusuale attenzione per le singole personalità dei pittori dobbiamo, dunque, una volta tanto, la conoscenza dei loro nomi. Sappiamo così che al manoscritto – o almeno al primo tomo, l'unico conservatosi sino a noi – lavorarono otto artisti, capeggiati da un Pantaleone che dové essere il più celebre pittore del suo tempo, il cui nome risuona anche in fonti letterarie coeve. E grazie alle “firme” possiamo individuare, in queste miniature, le peculiarità della maniera pittorica di ciascuno degli artisti coinvolti nel lavoro. Riusciamo così a farci un'idea precisa della coesistenza di tendenze e di talenti in parte diversi – pur nella sostanziale unità di stile – all’interno di un solo, straordinario atelier di pittura della Costantinopoli dell'anno Mille.
Di un manoscritto tanto prezioso era urgente promuovere la pubblicazione di una moderna riproduzione fotografica integrale: un facsimile, come dicono gli addetti ai lavori. E non solo per diffonderne la conoscenza.
Come moltissimi altri manoscritti dell’età mediobizantina, anche il Menologio soffre di delicati problemi di conservazione, in particolare dei pigmenti. Nonostante l’impiego delle più avanzate metodologie, i processi di decadimento, pur lentissimi, sono talora difficili da contrastare con efficacia e, soprattutto, evitando al manoscritto altri dannosi “effetti collaterali” per il futuro. Spesso si può solamente rallentare il degrado, ma non fermarlo del tutto.
La riproduzione in facsimile è, in questo senso, una misura conservativa importante. Essa documenta fotograficamente, con le più raffinate tecniche di ripresa digitale, lo stato presente. Soprattutto, permetterà di rendere molto più rara la consultazione diretta dell’originale, già ora limitata ai soli casi indispensabili alla ricerca, mantenendo così il manoscritto in migliori condizioni per le generazioni future. Intanto, le centinaia di esemplari del facsimile che sono state stampate, e che in buona parte saranno disseminate fra le maggiori biblioteche di documentazione e nei centri di ricerca di tutto il mondo, rilanceranno certamente lo studio di questo capolavoro, i cui tanti segreti sono ben lungi dall’essere stati tutti svelati.
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1613, f. 237: san Daniele Stilita, asceta, sulla sua colonna
Da libro gelosamente riservato al potente sovrano che ne ordinò la confezione, il Menologio si trasforma oggi idealmente, attraverso le sue copie facsimilari, in un comune patrimonio dell’umanità. In questa nostra epoca dominata dalla riproducibilità dell’arte, l’affinarsi delle tecniche fotografiche e di stampa permette la creazione di “copie” talmente perfezionate che solo pochi specialisti saprebbero distinguerle dall’originale. Ciò anche grazie alla grande competenza tecnologica e, allo stesso tempo, sapienza “artigianale” della casa editrice spagnola incaricata dell’esecuzione del progetto, la Testimonio Compañia Editorial, da tempo specializzatasi in simili pubblicazioni.
Ma queste raffinate “repliche” del prezioso manoscritto non si pongono solamente al servizio degli studi: rappresentano soprattutto il segno di una rinnovata condivisione, tra Chiese d’Oriente e d’Occidente, della memoria di un comune, millenario tesoro di santità. Le centinaia di sante e di santi – martiri, monaci, vescovi, semplici laici – che sono ritratti nella galleria di immagini sacre del Menologio non sono, infatti, oggetto della venerazione della sola Chiesa greca, ma della Chiesa universale. Perché questo libro prezioso fu scritto e miniato solo qualche decennio prima che, nel 1054, si consumasse lo scisma, restato poi definitivo, fra Costantinopoli e Roma. Quella separazione e opposizione tra cattolicesimo e ortodossia in materia dottrinale e disciplinare, sulle cui fondamenta un vero e proprio muro d’odio sarà costruito da eventi successivi: si pensi alla presa e al sacco di Costantinopoli da parte dei crociati, gli odiati “Latini”, nel 1204. Un’ostilità che non sarà mai più superata, nonostante i diversi tentativi percorsi dalle due parti fino alla precaria “unione” decretata dal Concilio di Firenze (1439), e oltre. Con conseguenze che hanno continuato a pesare gravemente sui rapporti fra sede petrina e mondo ortodosso fino a oggi.
Se la si colloca sullo sfondo di questa storia millenaria è, perciò, un evento di profondo significato la collaborazione oggi messa in atto fra la Diaconia apostolica della Chiesa di Grecia e la Biblioteca Apostolica Vaticana per la realizzazione congiunta del facsimile di questo manoscritto. È un segno di ritrovata fiducia reciproca, tra le inevitabili difficoltà. È la testimonianza, in ogni caso, della continuità e della vivacità di un dialogo che gli ultimi decenni hanno visto rinvigorirsi: per merito di uomini di Chiesa che, in ciascuno dei due schieramenti, ritengono il superamento dell’antico “scandalo” della separazione un presupposto ineludibile per dare oggi, del Vangelo, una testimonianza universalmente credibile.
Il clima di cordialità e di apertura, il dialogo fiducioso che si è instaurato nella collaborazione fra le parti coinvolte nel lungo progetto – avviato nel 2002 –, hanno trovato coronamento nella cerimonia di prima presentazione ufficiale del facsimile realizzato, svoltasi il 16 novembre dello scorso anno ad Atene. Cerimonia che, in un’atmosfera di fraternità che alimenta le speranze, ha visto raccogliersi intorno al facsimile, fra le altre autorità ecclesiastiche e laiche, l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, sua beatitudine Christodoulos, e il bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa, cardinal Jean-Louis Tauran.
E già si attende la prossima occasione di incontro, e un prossimo passo nel cammino di dialogo. Ovvero la presentazione – che sarà organizzata stavolta a Roma, nella tarda primavera 2007 – del volume di studi e di commento destinato ad accompagnare il facsimile del Menologio. Volume che, proprio in questi mesi, sta nascendo dalle ricerche originali di un’équipe di specialisti: storici dell’arte, filologi, liturgisti, restauratori, tutti chiamati per l’occasione a collaborare, ciascuno per le sue competenze, a un vasto progetto di studio interdisciplinare. In un’iniziativa di ricerca che è anch’essa, necessariamente, di livello internazionale, vedendo impegnati esperti soprattutto dall’Italia e dalla Grecia, ma anche dalla Russia e dagli Stati Uniti.
Lo studio e la ricerca non conoscono confini geo-politici, né steccati confessionali. E anzi possono a loro modo facilitare il superamento, in altri ambiti, di incomprensioni e contrapposizioni antiche. Perché la strada per il dialogo può passare, anche oggi, per gli studi. E per le pagine di un manoscritto greco di mille anni fa.