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ITALIA, ORA DI RELIGIONE
tratto dal n. 10 - 2000

SCUOLA. La nuova legge per equiparare gli insegnanti di religione agli altri docenti

Due lauree per una cattedra


Li nomina il vescovo ma li assume lo Stato. La nuova legge per regolarizzare lo stato giuridico degli insegnanti di religione è attualmente in discussione alla Camera. Il testo però prevede che l’insegnante, per ottenere una cattedra, debba avere una laurea statale, oltre ai titoli rilasciati dalle scuole e dalle facoltà teologiche. Risultato: solo il venti per cento degli attuali insegnanti di religione può partecipare al concorso a cattedre


di Giovanni Ricciardi


Il 19 luglio scorso il Senato ha approvato il disegno di legge che disciplina lo stato giuridico degli insegnanti di religione. Il testo è attualmente all’esame della Commissione lavoro della Camera.
Relegati nel limbo di un “precariato permanente”, con incarichi rinnovati di anno in anno, gli insegnanti di religione attendevano da anni una normativa che offrisse al loro lavoro una stabilità equiparabile a quella degli altri docenti. Ma la soluzione offerta dall’aula del Senato, anche se per motivi diversi, ha scontentato un po’ tutti: le organizzazioni degli insegnanti, la Conferenza episcopale italiana e i sindacati confederali. Vediamo il perché.

Ora di religione in un liceo

Ora di religione in un liceo

Due lauree per una cattedra
Dopo la revisione del Concordato, con l’Intesa del 1985 il Ministero della Pubblica istruzione e la Conferenza episcopale italiana avevano concordato i titoli di studio che consentono l’accesso all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole: dottorato o licenza in Teologia, magistero in Scienze religiose (durata minima quattro anni) per medie e superiori; baccellierato in Teologia o diploma in Scienze religiose (minimo tre anni) per le elementari. All’epoca non tutti gli insegnanti possedevano questi titoli. Furono concessi loro cinque anni per mettersi in regola, pena l’esclusione dall’insegnamento.
La proposta di legge giunta in aula del Senato lo scorso luglio dalla Commissione istruzione, relatore il senatore Guido Brignone (Lega Nord), aveva anzitutto lo scopo di regolamentare l’accesso al ruolo (cioè al contratto a tempo indeterminato) degli insegnanti attualmente in servizio, istituendo il primo concorso a cattedre per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Il testo approvato in Commissione prevedeva logicamente che per accedere alla selezione fossero sufficienti i titoli accademici a suo tempo stabiliti dall’Intesa. Ma all’ultimo momento la legge è stata approvata con l’aggiunta di un emendamento – presentato a firma dei senatori Folloni (Riformatori), Manis (Rinnovamento italiano), Poggiolini (Democratici), Monticone (Ppi), Napoli (Udeur), Pagano (Ds) e Pingera (Svp) – che introduce una modifica sostanziale: per partecipare al concorso per le scuole superiori non basta più il titolo specifico, ma occorre anche essere in possesso di una qualunque laurea statale valida per insegnare altre discipline.

Il problema dell’idoneità
Il motivo di questa modifica sembra essere legato al problema dell’idoneità.
Gli insegnanti di religione, per prestare servizio nelle scuole, devono essere in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dal vescovo del luogo, che ha valore per la diocesi di competenza e dal 1990 carattere permanente, ma può essere revocato dall’autorità ecclesiastica per motivi canonici. Il possesso di una laurea statale (e della relativa abilitazione) che dia accesso a un altro tipo di insegnamento permetterebbe all’insegnante cui fosse revocata l’idoneità di transitare in modo “indolore” a un’altra cattedra. L’articolo 4 della legge recita infatti: «L’insegnante di religione cattolica con contratto di lavoro a tempo indeterminato al quale sia stata revocata l’idoneità ha titolo a fruire della mobilità professionale nel comparto del personale della scuola».
Ma la preoccupazione di creare una “rete” che salvaguardi il lavoratore dalla perdita del posto di lavoro conseguente alla eventuale revoca dell’idoneità finisce per ricadere pesantemente su tutta la categoria, perché degli attuali insegnanti di religione solo una minoranza è in possesso anche di laurea statale. Senza contare che i casi di revoca dell’idoneità in Italia dal 1985 ad oggi rappresentano una percentuale minima, che ammonta allo 0,4 per cento sul totale degli insegnanti.

Dieci anni di studi
Introducendo questo emendamento la legge esige infatti che il candidato al ruolo di insegnante di religione sia in possesso di ben due lauree. Si tratterebbe di un caso unico nella scuola italiana, abituata a sanare situazioni di fatto, a inserire nelle cattedre ondate di precari con abilitazioni riservate certamente meno selettive dei rarissimi concorsi a cattedre.
«Si richiede al docente di religione un periodo di studio superiore a qualsiasi altro tipo di insegnamento. Infatti tra corso teologico universitario e corso statale viene a delinearsi un periodo di studi di circa dieci anni» ha commentato Orazio Ruscica, segretario nazionale dello Snadir, il sindacato autonomo degli insegnanti di religione che vanta il 20% degli iscritti sul totale della categoria: «Chi mai vorrà insegnare religione, se per accedere all’insegnamento ci vorranno dieci anni di studio, cioè due lauree?».
Sul problema è intervenuto il cardinale Ruini, nella prolusione che ha tenuto al Consiglio permanente della Cei a Torino il 18 settembre scorso: «In un campo diverso, ma anch’esso moralmente significativo perché riguarda l’educazione e la formazione della persona, il Senato ha approvato e trasmesso alla Camera dei Deputati il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti di religione. Si tratta di una normativa molto attesa, che era giunta all’aula del Senato in un testo “unificato” assai ben congegnato; purtroppo essa è stata peggiorata dal voto dell’aula, introducendo per il conseguimento dello stato giuridico condizioni nuove e non previste, che darebbero luogo a ingiuste discriminazioni».
Anche il cardinal Martini era sceso in campo pochi giorni prima, il 12 settembre, nel corso di un incontro giubilare tenutosi a Milano: «Quello giuridico è un annoso problema e mi pare che sia stato fatto qualche passo in avanti con l’iter di un disegno di legge che in parte soddisfa e in parte no. Mi sembra soprattutto una sorpresa negativa la richiesta agli insegnanti di religione delle scuole secondarie di una laurea per partecipare già al primo concorso».

Per chi suona la campanella. Il record di adesioni all’ora di religione cattolica è detenuto dalla diocesi di Tricarico, in Basilicata, con il 99, 9 per cento di studenti frequentanti

Per chi suona la campanella. Il record di adesioni all’ora di religione cattolica è detenuto dalla diocesi di Tricarico, in Basilicata, con il 99, 9 per cento di studenti frequentanti

La sanatoria inesistente
In effetti la legge, esigendo una laurea statale oltre ai titoli previsti dall’Intesa del 1985, non prevede neppure la possibilità di sanare le situazioni di fatto. La laurea statale infatti è richiesta anche per accedere al primo concorso, concepito appositamente per permettere l’immissione in ruolo di chi insegna stabilmente da tempo. Tant’è vero che uno dei requisiti indispensabili per la partecipazione è l’essere attualmente in servizio da almeno quattro anni. Il risultato è che, per la scuola superiore, poco più del venti per cento degli insegnanti di religione potrebbe oggi partecipare al concorso. Tutti gli altri sarebbero costretti a ripiegare sulla selezione per la scuola di base, che non prevede il possesso del titolo statale, aumentando a dismisura il numero dei partecipanti e riducendo di conseguenza le possibilità di accesso al ruolo senza tenere conto dell’anzianità di servizio e della continuità didattica. Si verificherebbe inevitabilmente un valzer di cattedre e di passaggi dalle superiori alla scuola di base, creando un vuoto nella secondaria.

Altri problemi
Ma sull’emendamento di maggioranza anche la Uil Scuola, partendo da premesse ben diverse, ha espresso perplessità e riserve. Secondo la Uil Scuola la Chiesa potrebbe surrettiziamente utilizzare la revoca dell’idoneità per “sistemare” su cattedre statali non di religione un buon numero di suoi insegnanti. Il meccanismo della revoca, a detta della Uil Scuola, potrebbe rivelarsi un sistema efficacissimo per creare un canale blindato di accesso a cattedre statali senza passare per le normali procedure concorsuali: «Si potrebbe addirittura delineare una singolare modalità di accesso di questi insegnanti nelle materie curricolari della scuola statale. In tal modo – commenta Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola in un comunicato stampa del 24 luglio – tali insegnanti verrebbero agevolati escludendo altri colleghi che avevano maggiori diritti».
Insomma, esiste il rischio che l’emendamento di maggioranza, sia pure introdotto per risolvere un problema reale, crei un nodo di difficile soluzione.
Nel testo approvato al Senato sono state introdotte anche altre modifiche peggiorative rispetto al testo della Commissione.
La prima riguarda i contenuti del concorso. Dato per scontato che il candidato non poteva essere interrogato sulle conoscenze specifiche della materia da insegnare – per la quale è competente l’autorità ecclesiastica – nel testo proposto dalla Commissione il programma d’esame del primo concorso doveva essere volto esclusivamente «all’accertamento della conoscenza dell’ordinamento scolastico, degli orientamenti didattici e pedagogici relativi ai gradi di scuola ai quali si riferisce il concorso e degli elementi essenziali della legislazione scolastica». Nel testo definitivo, a questi elementi è stato aggiunto «l’accertamento della cultura posseduta dal candidato nel campo delle scienze sociali, filosofiche e storiche». Dunque, oltre alla doppia laurea, anche un esame non meglio determinato di filosofia, sociologia e storia.
La seconda modifica riguarda la percentuale dei posti messi a concorso. Essa scende nel testo definitivo dal 70 al 60 per cento del totale delle cattedre disponibili. Il restante 40 per cento rimarrebbe coperto da docenti con incarico annuale e contratto a tempo parziale. È pur vero che anche nelle altre discipline non vengono dati al ruolo tutti i posti disponibili. Occorre infatti tener conto delle possibili contrazioni del numero delle cattedre sul territorio nazionale, legate all’andamento demografico della popolazione scolastica, ma il margine del 40 per cento senza dubbio va ben oltre queste prevedibili oscillazioni.
Agli insegnanti, delusi dopo tanta attesa, non resta che sperare che la Camera apporti una correzione di rotta alla strada intrapresa.


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