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SANTA TERESA DI LISIEUX
tratto dal n. 10 - 2000

«Se l’amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo»


Pio XI aveva proclamato Teresa di Lisieux «patrona di tutti i missionari, uomini e donne, al pari di san Francesco Saverio»: queste due ultime precisazioni rivelano l’audacia e l’umorismo del Papa delle missioni


del cardinale Roger Etchegaray


Teresa di Lisieux in una foto del 7 giugno 1897

Teresa di Lisieux in una foto del 7 giugno 1897

Percorrendo in lungo e in largo il mondo intero come missionario della pace, quante volte ho potuto verificare, in tutti i continenti, la presenza della “piccola” e così grande Teresa di Lisieux. Rimane veramente quella che Pio XI aveva proclamato «patrona di tutti i missionari, uomini e donne, al pari di san Francesco Saverio»: queste due ultime precisazioni rivelano l’audacia e l’umorismo del Papa delle missioni. Se la giovane carmelitana ha meritato questo titolo, non è solo perché ha vissuto in un clima missionario, ma perché ha vissuto lei pure come una vera missionaria.
Non vi è vocazione missionaria senza clima missionario. Nella sua casa “Les Buissonnets”, Teresa leggeva gli Annali della Propagazione della Fede, vedeva suo padre riservare una parte del bilancio familiare per le missioni.
Al Carmelo, Teresa entra nella grande corrente missionaria dei Carmeli riformati da santa Teresa d’Avila. E il Carmelo di Lisieux, non è stato nel 1861 il primo Carmelo di Francia a fondare un monastero in terra di missione, a Saigon, da dove sono germogliati un po’ ovunque più di ventiquattro Carmeli?
Quando, non potendosi accontentare di un dialogo interiore con il martire Théophane Vériard, beatificato più tardi, riceve l’impegno spirituale di due futuri missionari, destinati l’uno all’Africa l’altro alla Cina, esulta di gioia. «Mai, da anni, avevo assaporato questo genere di felicità. Sentivo che da questo lato la mia anima era nuova: era come se si fossero toccate per la prima volta delle corde musicali rimaste fino allora nell’oblio». Fa di quei due missionari i suoi “fratellini”.
Per tutta la sua vita, così sembra, Teresa è tirata di qua e di là: non sapeva se dovesse realizzare la sua vocazione missionaria con l’azione itinerante o ritirandosi in clausura.
A quattordici anni, all’epoca del suo pellegrinaggio a Roma, interrompe la lettura di una rivista missionaria che accendeva troppo il suo desiderio di partire in missione, dicendo: «Voglio essere carmelitana»; «era» lo ha spiegato in seguito «per soffrire di più nella monotonia di una vita austera e, attraverso quella sofferenza, salvare più anime». Ma, un anno prima della sua morte, arde ancora dal desiderio di andare lontano. Nel sorprendente manoscritto B (8 settembre 1896), comincia a “sragionare”, come dice lei stessa. Senza nulla rinnegare della sua vocazione carmelitana, si mette a desiderare altre vocazioni: «Mi sento la vocazione di guerriero, di prete, di apostolo, di dottore e di martire... O Gesù, vorrei percorrere la terra, predicare il tuo Nome e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo... Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei esserlo stata sin dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli...». E, nella scia, sogna il martirio, ogni genere di martirio. Poi, bruscamente, esclama con una punta di umorismo: «O mio Gesù, a tutte le mie follie, cosa risponderai?». La risposta di Gesù la cito alla fine, poiché essa vale per ciascuno di noi.
Un brano della preghiera scritta da Teresa l’8 settembre1896 (manoscritto B)

Un brano della preghiera scritta da Teresa l’8 settembre1896 (manoscritto B)

Seguiamo ancora Teresa missionaria. Camminando faticosamente nel chiostro, confida: «Sapete chi mi dà forza? Ebbene, cammino per un missionario. Penso che laggiù, molto lontano, uno dei due è forse sfinito nelle sue corse apostoliche». Appena cinque mesi prima di morire (19 marzo 1897), scrive a padre Roulland: «Se Gesù non viene presto a cercarmi per il Carmelo del cielo, partirò un giorno per quello di Hanoi». Ma la malattia riprende definitivamente il sopravvento e Teresa si arrangia allora con il buon Dio per accreditare a favore dei missionari malati i rimedi che giudica ormai inutili per la sua guarigione.
La vocazione missionaria di Teresa non si riduce alla preghiera e al sacrificio per le missioni. Si esprime soprattutto con la volontà ostinata di partire verso le terre lontane, e solo la malattia ha trattenuto Teresa nella cella di Lisieux. Se sapessimo condividere tutti i suoi slanci apostolici che lei chiamava «le mie follie», forse anche noi, qualunque sia la nostra condizione e professione, intenderemmo la risposta che lei ricevette da Cristo meditando i capitoli 12 e 13 della prima Epistola ai Corinzi: «Considerando il Corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuna delle membra descritte da san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutte... La carità mi dà la chiave della mia vocazione. Ho capito che, se la Chiesa avesse un corpo composto da differenti membra, non gli mancherebbe il più necessario di tutti, ho capito che la Chiesa aveva un cuore e che quel cuore era ardente d’amore. Ho capito che l’amore solo faceva agire le membra della Chiesa, che, se l’amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il sangue. Ho capito che l’amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e i luoghi. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, ho esclamato: “O Gesù, la mia vocazione è l’amore!”. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa... nel cuore della Chiesa Madre mia, sarò l’amore...: così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato».
Che quel sogno missionario si realizzi, per mezzo dell’amore, anche in ciascuno di noi in quest’anno giubilare all’inizio del terzo millennio...


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