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LUCA RIPOSA A PADOVA
tratto dal n. 10 - 2000

Le dichiarazioni di Gianmario Molin, docente di Cristallografia

Quella cassa venuta da Cipro



di Gianmario Molin


Autore di ben due comunicazioni al congresso, Gianmario Molin, docente di Cristallografia all’Università di Padova, ha vissuto in questi due anni un appassionante “corpo a corpo” con il problema san Luca. «Appassionante dal punto di vista scientifico», tiene a precisare, «perché la mia indagine, pur se sempre mantenuta nel binario dei rigorosi dati oggettivi, ha evidenziato una insospettata quanto ricca serie di tracce legate alla storia del reperto». Molin, coadiuvato da un selezionato gruppo di collaboratori, si è concentrato in particolare sullo scheletro e sulla bara di piombo. «Ho esaminato con attenzione tutti gli oggetti di piombo dell’abbazia di Santa Giustina. Questa cassa è qualcosa di assolutamente unico tra i reperti dell’abbazia, cupole comprese. La più attendibile sorgente del piombo è ubicabile nei giacimenti di Cipro. Il reperto è costituito da un’unica lastra di piombo, omogenea per composizione chimica e isotopica, tagliata, ripiegata e saldata con piombo della stessa origine. I dati mineralogici, geochimici e paleontologici, con la fossilizzazione in carbonato di piombo di pupe di insetti necrofagi, indicano che il corpo si è decomposto nella bara plumbea che tutt’oggi ne contiene le spoglie», afferma. «Il corpo inoltre non ha subito traslazioni, essendo il piombo delle incrostazioni carbonatiche delle ossa identico per composizione isotopica a quello della cassa. È inoltre da tener presente che le incrostazioni carbonatiche hanno fossilizzato insetti necrofagi ma anche inglobato polline di mirto come osservato dal professor Paganelli». Non è tutto. Ad un’accurata indagine, è apparso evidente che la cassa è stata lungamente sommersa e ha subito ripetute alluvioni, con tutta probabilità nella stessa depressione del Prato della Valle in cui sorge l’abbazia.
Particolare attenzione il professor Molin ha dedicato al coperchio, stabilendo che l’attuale non è quello originale. In base a più motivi. «Il primo è la diversità dei rapporti isotopici, che implica uso di metallo di diversa origine», racconta il docente. «Nel coperchio inoltre sono assenti i minerali di alterazione che caratterizzano tutta la superficie della cassa. Questa è un’importante indicazione di ambienti di conservazione ben differenziati. Anche le tecniche di lavorazione della lastra sono differenti, e in particolar modo le saldature, condotte con modi e materiali ben diversi da quelle della cassa. La mia ipotesi è che il coperchio originale sia stato sostituito in un periodo successivo al disseppellimento della bara e molto probabilmente, per le strette analogie nella composizione isotopica con reperti datati, durante il Rinascimento».


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