C’era stata una promessa
Nel 1996 il summit della Fao a Roma aveva stabilito un obiettivo chiaro: dimezzare le vittime della fame nel mondo entro il 2015. Sono passati quattro anni e quest’obiettivo è sempre più lontano. E ogni mese un milione di bambini sotto i cinque anni muore per gli effetti della malnutrizione
di Stefano Maria Paci
Roma, 17 novembre 1996,
palazzo della Fao. I “dirigenti del pianeta”, riuniti in un
summit mondiale sull’alimentazione, stanno firmando una dichiarazione
solenne nella quale si impegnano a dimezzare il numero delle vittime della
fame entro il 2015.

La promessa sarà amplificata dai media, e
l’impegno non sembra nemmeno troppo gravoso. Tanto che il carismatico
leader di Cuba, Fidel Castro, a nome dei Paesi del terzo mondo, definisce
codardo quell’obiettivo. «Se già oggi il nostro pianeta
permetterebbe di nutrire tutti i suoi abitanti» si chiede Fidel
Castro «perché i Paesi ricchi non decidono di eliminarla del
tutto, la fame, entro i prossimi vent’anni?». Sono trascorsi
quattro anni, ma è sufficiente fare un giro nei piani alti del
palazzo della Fao di Roma per capire che non solo non si avvererà il
sogno di Fidel Castro ma, a meno di improvvisi – e purtroppo
imprevisti – cambi di rotta, nemmeno l’impegno solenne dei capi
del pianeta sarà rispettato. Al contrario, in questi anni sembra che
nulla, proprio nulla, sia cambiato. E lo sterminio per fame si perpetua.
Inesorabile.
Quaranta milioni? Troppo pochi!
Jacques Vercueil è il direttore della Divisione agricoltura ed è responsabile del Dipartimento analisi dello sviluppo economico della Fao. Nel suo ufficio vengono convogliate dai cinque continenti le cifre degli affamati del mondo, e si monitorizza costantemente lo stato dell’insicurezza alimentare del pianeta.
Nella stanza ingombra di dossier ci illustra i confini attuali del continente della fame. Le sue parole, per quanto pacate, pesano come macigni, perché dietro le aride cifre si nasconde un’ecatombe su scala planetaria. Un esempio tra tanti: oltre un milione di bambini sotto i cinque anni viene ucciso ogni mese, nel mondo, dagli effetti, diretti o indiretti, della malnutrizione. «Durante il summit mondiale sull’alimentazione» spiega Vercueil «avevamo indicato in 841 milioni il numero di individui sottoalimentati nel mondo. La cifra, però, non era corretta, e più tardi ci siamo accorti che in realtà avremmo dovuto parlare di 830 milioni. I dati più recenti ci indicano che questa cifra è diminuita e, nei cinque anni successivi ai rilevamenti indicati durante il summit, 40 milioni di persone sono uscite dalla soglia della sottoalimentazione. Attualmente, sono 790 milioni gli individui che nel mondo non hanno abbastanza da mangiare».
In cinque anni, insomma, ben 40 milioni di persone – uomini, donne e bambini – sono stati strappati a un destino terribile. Un successo? Macché. Lo stesso direttore generale della Fao, il senegalese Jacques Diouf, non si fa illusioni. «Il ritmo attuale di regresso della fame – in media, una riduzione di circa otto milioni di vittime l’anno – corrisponde esattamente al “corso normale” delle cose. Se questa diminuzione non si accelera, nel 2015 circa 650 milioni di individui andranno ancora a dormire con la pancia vuota». Insomma, per rispettare l’obiettivo fissato durante il summit, sarebbe necessario un tasso di progressione più rapido. «In effetti» continua Diouf «occorre arrivare a una diminuzione di affamati di almeno 20 milioni per anno nei Paesi in via di sviluppo».
Venti milioni invece di otto, una diminuzione accelerata invece del “corso normale delle cose”. Ma perché l’obiettivo indicato dal summit sembra allontanarsi a così grandi passi?
«Non esistono metodi miracolosi per combattere la fame» spiega Jacques Vercueil. «Per raggiungere quell’obiettivo occorrono politiche mirate su scala locale, nazionale e regionale. Occorrerebbe compiere sforzi particolari, per cambiare il corso degli eventi. E questo non è stato fatto. O meglio, non dappertutto».
Già, perché la possibilità di raggiungere l’obiettivo del summit non è astratta. E ci sono dei dati, di cui dispone il direttore della Divisione agricoltura della Fao, che sono sorprendenti. In realtà, sono molto più di 40 milioni gli affamati che sono usciti dal tunnel della fame. In questi anni, 100 milioni di persone hanno abbandonato il continente degli affamati, e sono giunte alla sicurezza alimentare. Stando a queste cifre l’ambizioso obiettivo fissato dal vertice per il 2015 verrebbe facilmente raggiunto. Anzi, potrebbe essere addirittura superato.
«Uno stato di cose inaccettabile»
E allora? Cosa è accaduto in questi anni che ha reso così difficile lo sradicamento, o almeno la diminuzione sostanziale, degli affamati del mondo? E perché, se ben 100 milioni di persone sono uscite dall’incubo della fame, la cifra totale di diminuzione degli affamati è di soli 40 milioni?
Il problema è che il calo del numero delle persone sottoalimentate si è registrato in sole 37 nazioni. Nel frattempo, una cifra esorbitante di persone, nel resto del mondo in via di sviluppo, è caduta, improvvisamente, vittima della denutrizione: oltre 60 milioni.
Si tratta di Paesi nei quali la fame, invece di diminuire, è drammaticamente aumentata. Il motivo principale sono i conflitti civili e militari che sono esplosi nel pianeta. In Africa, in Asia e altrove le guerre hanno prodotto gravissimi danni sia alle persone sia ai beni. E, senza la pace, non si può sperare in progressi sociali. Ma i dati che il dottor Vercueil scorre sotto i nostri occhi indicano altri punti di crisi. «Le cifre in nostro possesso non sono buone. E non ci fanno ben sperare per il futuro. L’aumento della produzione agricola è meno rapido del previsto, alla fine del decennio. Inoltre si sono registrati severi shock economici, soprattutto nel Sudest asiatico. Tranne l’Indonesia e pochi altri, la maggior parte di quei Paesi si è ripresa, ma gli effetti negativi continuano. E, attualmente, nel Corno d’Africa si sta vivendo una situazione drammatica».

Eppure, il panorama economico globale del pianeta
potrebbe far ben sperare. Non c’è recessione, il tasso di
crescita delle popolazioni è diminuito, e questo vuol dire che ci
sono meno bocche da nutrire e più adulti attivi per il lavoro.
«Io ne sono convinto: non c’è nessun motivo per il quale
il mondo non debba essere completamente libero dalla fame nel corso del
prossimo secolo» afferma deciso il direttore generale della Fao,
Jacques Diouf. «La produzione alimentare è già
sufficiente per nutrire tutti coloro che oggi sono in vita, e potrebbe
ancora aumentare. Eppure, a meno che non siano prese delle misure a tutti i
livelli, è probabile che la fame e la malnutrizione si conserveranno
ancora per molto tempo». E a farne le spese saranno gli abitanti
più deboli del pianeta. Per gran parte di loro la fame non è
una condizione temporanea. Si tratta di una condizione cronica,
debilitante, spesso mortale. Nei Paesi in cui la situazione è
endemica, cioè nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, non
solo nuoce allo sviluppo e all’economia, ma svilisce gravemente la
vita di tutti quelli che ne sono colpiti. «Un gran numero di essi
finiranno per morire di fame» accusa Diouf «perché il
loro diritto umano fondamentale all’alimentazione è stato
irriso. Questo stato di cose è inaccettabile».
In molte regioni la fame aumenta
Sembra paradossale: nonostante l’impegno solenne preso dai leader di tutto il mondo durante il summit di Roma, sono molte le regioni nelle quali il numero di affamati, invece di diminuire, aumenta. E le scelte politiche globali non paiono in grado di imprimere un deciso cambiamento di rotta: il divario tra Nord e Sud del mondo non fa che crescere. Sul pianeta, un miliardo e trecento milioni di persone vive con meno di un dollaro al giorno, tre miliardi con meno di due. E la lista dei Paesi che non riescono a nutrire tutti i loro abitanti sembra interminabile: la maggior parte di loro si concentra in Asia e nelle nazioni del Pacifico. In questa zona si contano ben 526 milioni di persone malnutrite, circa i due terzi di tutto il mondo. Da sola, l’India ha 204 milioni di affamati, più di tutta l’Africa subsahariana, in cui sono 180 milioni.
E in Africa, la gravità del problema della fame varia da nazione a nazione. Benché l’Africa dell’ovest sia più popolata di ogni altra regione del continente, essa ha un minor numero di vittime della fame dell’Africa dell’est, dove invece gli affamati sono il doppio. Ma le cifre più alte di affamati del continente nero si registrano nell’Africa centrale e in quella australe.
Purtroppo, a livello locale, a parte alcuni meritevoli casi, i governi non riescono a adottare soluzioni economiche e sociali che possano portare a cambiamenti importanti e duraturi. E nei Paesi più deboli la globalizzazione dell’economia non porta che a un peggioramento delle situazioni.
Ma se i Paesi ricchi sembrano disinteressarsi del problema della fame nel mondo, tra i tanti dati allarmanti che escono dall’ufficio del responsabile del Dipartimento analisi dello sviluppo economico, uno potrebbe scuoterli. Per la prima volta la Fao è in grado di fornire anche le cifre delle persone affamate che risiedono nei Paesi sviluppati. Si tratta di ben 34 milioni di individui, che quotidianamente debbono affrontare il problema della denutrizione in nazioni a sviluppo economico accelerato. E se nel 1974 il segretario di Stato americano Henry Kissinger aveva incautamente promesso ai membri della Fao che «entro un decennio nessun bambino andrà più a letto affamato», nel 2000 si è obbligati a costatare che, in realtà, la fame non solo non è scomparsa, ma non ha risparmiato nessun angolo del pianeta. Nemmeno gli angoli più ricchi.

Testimonianza della drammatica realtà quotidiana della popolazione del Sudan
Quaranta milioni? Troppo pochi!
Jacques Vercueil è il direttore della Divisione agricoltura ed è responsabile del Dipartimento analisi dello sviluppo economico della Fao. Nel suo ufficio vengono convogliate dai cinque continenti le cifre degli affamati del mondo, e si monitorizza costantemente lo stato dell’insicurezza alimentare del pianeta.
Nella stanza ingombra di dossier ci illustra i confini attuali del continente della fame. Le sue parole, per quanto pacate, pesano come macigni, perché dietro le aride cifre si nasconde un’ecatombe su scala planetaria. Un esempio tra tanti: oltre un milione di bambini sotto i cinque anni viene ucciso ogni mese, nel mondo, dagli effetti, diretti o indiretti, della malnutrizione. «Durante il summit mondiale sull’alimentazione» spiega Vercueil «avevamo indicato in 841 milioni il numero di individui sottoalimentati nel mondo. La cifra, però, non era corretta, e più tardi ci siamo accorti che in realtà avremmo dovuto parlare di 830 milioni. I dati più recenti ci indicano che questa cifra è diminuita e, nei cinque anni successivi ai rilevamenti indicati durante il summit, 40 milioni di persone sono uscite dalla soglia della sottoalimentazione. Attualmente, sono 790 milioni gli individui che nel mondo non hanno abbastanza da mangiare».
In cinque anni, insomma, ben 40 milioni di persone – uomini, donne e bambini – sono stati strappati a un destino terribile. Un successo? Macché. Lo stesso direttore generale della Fao, il senegalese Jacques Diouf, non si fa illusioni. «Il ritmo attuale di regresso della fame – in media, una riduzione di circa otto milioni di vittime l’anno – corrisponde esattamente al “corso normale” delle cose. Se questa diminuzione non si accelera, nel 2015 circa 650 milioni di individui andranno ancora a dormire con la pancia vuota». Insomma, per rispettare l’obiettivo fissato durante il summit, sarebbe necessario un tasso di progressione più rapido. «In effetti» continua Diouf «occorre arrivare a una diminuzione di affamati di almeno 20 milioni per anno nei Paesi in via di sviluppo».
Venti milioni invece di otto, una diminuzione accelerata invece del “corso normale delle cose”. Ma perché l’obiettivo indicato dal summit sembra allontanarsi a così grandi passi?
«Non esistono metodi miracolosi per combattere la fame» spiega Jacques Vercueil. «Per raggiungere quell’obiettivo occorrono politiche mirate su scala locale, nazionale e regionale. Occorrerebbe compiere sforzi particolari, per cambiare il corso degli eventi. E questo non è stato fatto. O meglio, non dappertutto».
Già, perché la possibilità di raggiungere l’obiettivo del summit non è astratta. E ci sono dei dati, di cui dispone il direttore della Divisione agricoltura della Fao, che sono sorprendenti. In realtà, sono molto più di 40 milioni gli affamati che sono usciti dal tunnel della fame. In questi anni, 100 milioni di persone hanno abbandonato il continente degli affamati, e sono giunte alla sicurezza alimentare. Stando a queste cifre l’ambizioso obiettivo fissato dal vertice per il 2015 verrebbe facilmente raggiunto. Anzi, potrebbe essere addirittura superato.
«Uno stato di cose inaccettabile»
E allora? Cosa è accaduto in questi anni che ha reso così difficile lo sradicamento, o almeno la diminuzione sostanziale, degli affamati del mondo? E perché, se ben 100 milioni di persone sono uscite dall’incubo della fame, la cifra totale di diminuzione degli affamati è di soli 40 milioni?
Il problema è che il calo del numero delle persone sottoalimentate si è registrato in sole 37 nazioni. Nel frattempo, una cifra esorbitante di persone, nel resto del mondo in via di sviluppo, è caduta, improvvisamente, vittima della denutrizione: oltre 60 milioni.
Si tratta di Paesi nei quali la fame, invece di diminuire, è drammaticamente aumentata. Il motivo principale sono i conflitti civili e militari che sono esplosi nel pianeta. In Africa, in Asia e altrove le guerre hanno prodotto gravissimi danni sia alle persone sia ai beni. E, senza la pace, non si può sperare in progressi sociali. Ma i dati che il dottor Vercueil scorre sotto i nostri occhi indicano altri punti di crisi. «Le cifre in nostro possesso non sono buone. E non ci fanno ben sperare per il futuro. L’aumento della produzione agricola è meno rapido del previsto, alla fine del decennio. Inoltre si sono registrati severi shock economici, soprattutto nel Sudest asiatico. Tranne l’Indonesia e pochi altri, la maggior parte di quei Paesi si è ripresa, ma gli effetti negativi continuano. E, attualmente, nel Corno d’Africa si sta vivendo una situazione drammatica».

In molte regioni la fame aumenta
Sembra paradossale: nonostante l’impegno solenne preso dai leader di tutto il mondo durante il summit di Roma, sono molte le regioni nelle quali il numero di affamati, invece di diminuire, aumenta. E le scelte politiche globali non paiono in grado di imprimere un deciso cambiamento di rotta: il divario tra Nord e Sud del mondo non fa che crescere. Sul pianeta, un miliardo e trecento milioni di persone vive con meno di un dollaro al giorno, tre miliardi con meno di due. E la lista dei Paesi che non riescono a nutrire tutti i loro abitanti sembra interminabile: la maggior parte di loro si concentra in Asia e nelle nazioni del Pacifico. In questa zona si contano ben 526 milioni di persone malnutrite, circa i due terzi di tutto il mondo. Da sola, l’India ha 204 milioni di affamati, più di tutta l’Africa subsahariana, in cui sono 180 milioni.
E in Africa, la gravità del problema della fame varia da nazione a nazione. Benché l’Africa dell’ovest sia più popolata di ogni altra regione del continente, essa ha un minor numero di vittime della fame dell’Africa dell’est, dove invece gli affamati sono il doppio. Ma le cifre più alte di affamati del continente nero si registrano nell’Africa centrale e in quella australe.
Purtroppo, a livello locale, a parte alcuni meritevoli casi, i governi non riescono a adottare soluzioni economiche e sociali che possano portare a cambiamenti importanti e duraturi. E nei Paesi più deboli la globalizzazione dell’economia non porta che a un peggioramento delle situazioni.
Ma se i Paesi ricchi sembrano disinteressarsi del problema della fame nel mondo, tra i tanti dati allarmanti che escono dall’ufficio del responsabile del Dipartimento analisi dello sviluppo economico, uno potrebbe scuoterli. Per la prima volta la Fao è in grado di fornire anche le cifre delle persone affamate che risiedono nei Paesi sviluppati. Si tratta di ben 34 milioni di individui, che quotidianamente debbono affrontare il problema della denutrizione in nazioni a sviluppo economico accelerato. E se nel 1974 il segretario di Stato americano Henry Kissinger aveva incautamente promesso ai membri della Fao che «entro un decennio nessun bambino andrà più a letto affamato», nel 2000 si è obbligati a costatare che, in realtà, la fame non solo non è scomparsa, ma non ha risparmiato nessun angolo del pianeta. Nemmeno gli angoli più ricchi.