«Il beato Giovanni Wang non ha che sedici anni…
…è quasi un fanciullo, si diverte e giuoca nel cortile della sua prigione; allo stupore del suo superiore, risponde meravigliato egli stesso: “Padre, perché? Se ci uccideranno, non andremo forse in Paradiso?”». Un discorso di Pio XII del 1946 pronunciato in occasione della beatificazione di ventinove dei 120 martiri cinesi canonizzati il 1° ottobre
Un discorso di Pio XII in occasione della beatificazione di 29 martiri cinesi nel 1946
Riceverete la virtù
dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni
in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e sino
all’estremità del mondo» (At 1, 8). Queste parole del divino Maestro ai suoi apostoli
erano dirette ad esprimere il carattere universale del suo regno; ma il
senso cristiano comprese altresì, come per istinto, di quale
testimonianza in modo particolare il Redentore parlasse; intese cioè
che la testimonianza per eccellenza era quella del sangue, fino al
sacrificio della vita, in omaggio alla «parola di
verità» (Ef 1, 13). Da allora la Chiesa, suggellando il suffragio del senso
cristiano, ha, in spirito di profondo e religioso rispetto, riservato a
questa testimonianza del sangue il nome di «martirio». Ma anche
da allora la Chiesa ha applicato quelle parole, rivolte da Cristo
direttamente agli apostoli, a quanti gli rendono la medesima testimonianza.
Questa doveva ben presto estendersi a tutti i tempi e a tutti i luoghi
sulla faccia della terra; testimonianza universale, continua, permanente;
varia per la molteplicità delle sue forme, come per la
diversità dei testimoni; e l’apostolo Giovanni (Ap 7, 9. 14) vide nel cielo
una innumerevole schiera di eletti, di tutte le tribù e di tutte le
nazioni, venuti dalla grande tribolazione, dopo aver lavato le loro stole
nel sangue dell’Agnello, componendo coi loro svariati colori la
bellezza del manto della Sposa di Cristo, la santa Chiesa.
Perché dunque si parla tanto spesso
dell’era dei martiri, della terra del martirio, quasi non si
riconoscesse che questa testimonianza e questi testimoni sono di tutti i
tempi e di tutti i luoghi? Gli è perché, quantunque
permanente, continua, universale, formante la trama di tutti gli annali
della Chiesa, la storia del martirio offre nondimeno a vicenda, sulle
plaghe più distanti, punti più luminosi, focolari più
vasti e più intensi: Roma e l’Oriente, l’Italia e la
Francia, la Spagna e la Germania, l’Inghilterra e l’America,
l’Africa e le Indie, la Polonia e l’Ungheria, il Giappone e la
Cina, hanno rischiarato successivamente il mondo col loro sfolgorante
splendore, per «illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e
nell’ombra della morte e per guidare i loro passi nei sentieri della
pace» (Lc 1,
79).
Il principio del nostro secolo e la terra di Cina segnano uno dei momenti più fulgidi nella storia del martirio. Raramente è apparsa così ricca la varietà mirabile dell’esercito dei martiri: Te Martyrum candidatus laudat exercitus. Tutta la superficie di quel vasto impero fu imporporata del sangue dei testimoni di Cristo: religiosi e religiose, missionari venuti da lontane regioni e sacerdoti indigeni, uomini e donne, vecchi, giovani e fanciulli, dei ceti più elevati come dei più umili.
Oggi la grande famiglia di san Francesco è al posto d’onore coi ventinove dei suoi figli, delle sue figlie, dei suoi terziari, dei suoi discepoli, dei suoi collaboratori. La storia del martirio negli annali francescani è di una ampiezza e di una bellezza meravigliose, così antica come la storia dell’inclito Ordine, così giovane com’è esso stesso.
Alla testa di quei ventinove eroi procedono tre vescovi, venerandi per età, per saggezza e per diuturno lavoro apostolico: li seguono cinque religiosi, di cui quattro sacerdoti e un fratello laico; cinque giovani seminaristi, tutti terziari di san Francesco; e nove fedeli servi, di cui sei appartenenti egualmente al Terz’Ordine. Un mirabile gruppo di sette religiose Francescane Missionarie di Maria spicca in candida veste in mezzo a loro. Essi provengono da nazioni e Paesi diversi: otto dall’Italia, cinque dalla Francia, una dal Belgio, una dall’Olanda; quattordici sono figli della Cina, che per la salvezza della loro amata patria si lasciano immolare dai loro compatrioti. Il capo di questa trionfante milizia, il beato vescovo Gregorio Grassi, ha sessantasette anni, la beata Maria della Pace ne ha soltanto venticinque e il beato Giovanni Wang non ne ha che sedici; è quasi un fanciullo, si diverte e giuoca nel cortile della sua prigione; allo stupore del suo superiore, risponde meravigliato egli stesso: «Padre, perché? Se ci uccideranno, non andremo forse in Paradiso?». Come è diverso questo piccolo seminarista dalla dolorosa beata Maria di San Giusto, di cui tutta la vita fu una lotta eroica contro la ribellione dell’amor proprio e le tempeste interiori! Mentre altri crescevano in una pietà tranquilla e timida, il beato Teodorico Balat era nella sua fanciullezza un bricconcello che il suo curato dovette più di una volta correggere severamente.
Tutti e tutte sono pronti al martirio. La superiora, beata Maria Ermellina di Gesù, e la beata Maria Amandina pregavano ambedue il Signore di «dar forza ai martiri, ma non di risparmiare il martirio». E come multiforme apparisce questa grazia dello Spirito nelle anime! Ciò che aveva attratto la beata Maria Adolfina alla vita religiosa, era «il desiderio di soffrire per nostro Signore». La beata Maria Chiara partì per la Cina con entusiasmo. A chi le parlava di un lungo sacrificio e di una lenta immolazione nel servizio dei lebbrosi, rispose: «Preferisco andare in Cina e farmi uccidere per Gesù». Il futuro vicario apostolico Antonino Fantosati, ancora giovane religioso, ha un tutt’altro carattere; egli dichiara con ingenua franchezza che non se la sentirebbe molto di andare a farsi trucidare da quei bravi cinesi, ma, poiché il suo superiore lo desiderava, vi si recherebbe prontamente. Difatti andò e fu martirizzato come i suoi confratelli. Diverso è anche il portamento di quel padre di famiglia, servo avventizio dei missionari, che volle essere unito a loro, dacché li seppe in pericolo, e corse dritto alla prigione, lasciando i suoi figlioletti alle cure della Provvidenza divina.
Potremmo continuare a lungo la rassegna dei contrasti che distinguono le figure dei martiri, anche restringendoli a questi ventinove, elevati testé agli onori degli altari.
Per qual motivo dunque mettiamo in rilievo tali differenze, se non per far risaltare anche meglio i lineamenti comuni, grazie ai quali tutti si rassomigliano incomparabilmente più di quanto si diversifichino per le loro originarie sembianze?
Per tutti la grazia del martirio, questa forma sopra ogni altra eccellente della grazia della perseveranza finale, è generalmente, da parte di Dio, il coronamento di tutta una serie di grazie scaglionate nel corso della vita; come, da parte dell’uomo, la testimonianza del sangue è, d’ordinario, la gemma terminale di una lunga catena di corrispondenze alla grazia. Mostrerebbe quindi di non conoscere che in modo assai superficiale il senso del martirio chi troppo facilmente lo attribuisse a qualche circostanza fortuita o a qualche colpo di folgore sulla via di Damasco. Una simile illusione suppone che s’ignorino, da un lato, il lungo e segreto cammino dell’azione divina nell’anima e nel cuore degli eletti, dall’altro, la successione degli atti generosi che, durante una vita in cui non sono forse mancate le ombre, segna arcanamente l’itinerario per il quale recenti convertiti, peccatori penitenti, si trovano inopinatamente trasformati in eroici confessori di Cristo.
Questa serie di grazie, mediante le quali Dio conduce i suoi eletti verso il martirio, è spesso accompagnata da una preparazione, in cui il carattere naturale, la nascita; le condizioni di vita, l’educazione nella famiglia hanno la loro parte. In fondo al cuore del ragazzo irrequieto, come del giovanetto timido o della delicata fanciulla, arde la fiamma di un puro amore di Dio e delle anime, la brama generosa – vivace o calma – di vincersi, di dominare tutti i capricci della natura. Poco importa che i particolari prosaici della computisteria curvino per lunghe giornate sugli austeri registri la fronte della beata Maria Ermellina e apparentemente isteriliscano nell’allineamento delle colonne di cifre lo zelo apostolico che la divora; o che la beata Maria di Santa Natalia, la contadina robusta, lieta di andare ad impiegare in rudi lavori la forza delle sue braccia, non giunga in Cina che per trovarvi, in luogo delle belle fatiche a cui aspira, l’apostolato della continua sofferenza. Ma sotto i morsi del dolore ella si diceva felice, perché, esclamava, «quando si soffre, il cuore si distacca dalla terra», e fra le torture largamente inflittele da una terapia che non apportava alcun sollievo al suo male, faceva il suo tirocinio per il martirio. Altri lo fanno in maniera diversa; ma è ben raro che esso manchi del tutto.
La maggior parte di loro hanno iniziato questa formazione alla sofferenza, questa preparazione al martirio nella scuola di genitori cristiani; l’hanno proseguita nella vita religiosa o almeno in stretto contatto con questa; il che avvenne per i cinesi non meno che per gli europei. Tutti hanno vissuto in un’aura veramente francescana di semplicità, di generosità, di rinunzia e di costante mortificazione, nella perfetta letizia del patriarca di Assisi; i seminaristi, ed anche i servi, sono animati dal suo spirito, i più divenuti membri della sua grande famiglia con la loro appartenenza al Terz’Ordine. Che dire di quelle sante religiose, formate al sacrificio e all’amore nell’Istituto di Maria della Passione? Questo non aveva ancora venticinque anni di vita; era al principio del suo sviluppo che doveva essere magnifico; un immenso campo di lavoro si presentava già al suo zelo; aveva bisogno di religiose in gran numero e di straordinario valore; ed ecco che in un sol colpo sette vittime si offrono al cielo, e quali vittime! vittime che promettevano per la Chiesa di Cristo una mirabile messe.
Gli è che esse avevano conosciuto la grande fecondità dell’immolazione, l’invincibile autorità della testimonianza del sangue. E l’avevano compresa a loro modo, dotto o ingenuo, anche quei martiri indigeni, e specialmente quegli adolescenti, dinanzi ai quali la vita apostolica apriva le più larghe e favorevoli previsioni.
Spighe cariche di speranza, sembravano dover essere le primizie del clero della loro cara patria. Le spighe sono state falciate; il loro sangue ha bagnato il suolo ma, seme di cristiani ha fecondato la terra. Ed ecco che questo clero, il quale umanamente avrebbe dovuto soccombere nelle persecuzioni e nei cataclismi, che si sono succeduti da più di quarant’anni, ha germogliato e fiorito, ha fruttificato; ecco che ha veduto di recente costituita in Cina la gerarchia episcopale; ecco che nel suo grembo brilla, quasi riflesso del sangue dei martiri, la porpora di un principe della Chiesa, accolto trionfalmente da tutto il suo popolo.
Unito al sangue di Cristo, il sangue dei martiri grida verso il cielo più altamente che il sangue di Abele, sale al cospetto del Signore come incenso di soave odore per far discendere sull’immenso suolo cinese e sulla terra intiera le grazie del Padre dei lumi e delle misericordie, in auspicio delle quali impartiamo di gran cuore a voi tutti, diletti figli e figlie, la nostra paterna apostolica benedizione.
Pio XII e la prima pagina dell’Osservatore Romano del 28 novembre 1946, dove apparve il discorso pronunciato dal Papa durante l’udienza del giorno precedente, mercoledì 27
Il principio del nostro secolo e la terra di Cina segnano uno dei momenti più fulgidi nella storia del martirio. Raramente è apparsa così ricca la varietà mirabile dell’esercito dei martiri: Te Martyrum candidatus laudat exercitus. Tutta la superficie di quel vasto impero fu imporporata del sangue dei testimoni di Cristo: religiosi e religiose, missionari venuti da lontane regioni e sacerdoti indigeni, uomini e donne, vecchi, giovani e fanciulli, dei ceti più elevati come dei più umili.
Oggi la grande famiglia di san Francesco è al posto d’onore coi ventinove dei suoi figli, delle sue figlie, dei suoi terziari, dei suoi discepoli, dei suoi collaboratori. La storia del martirio negli annali francescani è di una ampiezza e di una bellezza meravigliose, così antica come la storia dell’inclito Ordine, così giovane com’è esso stesso.
Alla testa di quei ventinove eroi procedono tre vescovi, venerandi per età, per saggezza e per diuturno lavoro apostolico: li seguono cinque religiosi, di cui quattro sacerdoti e un fratello laico; cinque giovani seminaristi, tutti terziari di san Francesco; e nove fedeli servi, di cui sei appartenenti egualmente al Terz’Ordine. Un mirabile gruppo di sette religiose Francescane Missionarie di Maria spicca in candida veste in mezzo a loro. Essi provengono da nazioni e Paesi diversi: otto dall’Italia, cinque dalla Francia, una dal Belgio, una dall’Olanda; quattordici sono figli della Cina, che per la salvezza della loro amata patria si lasciano immolare dai loro compatrioti. Il capo di questa trionfante milizia, il beato vescovo Gregorio Grassi, ha sessantasette anni, la beata Maria della Pace ne ha soltanto venticinque e il beato Giovanni Wang non ne ha che sedici; è quasi un fanciullo, si diverte e giuoca nel cortile della sua prigione; allo stupore del suo superiore, risponde meravigliato egli stesso: «Padre, perché? Se ci uccideranno, non andremo forse in Paradiso?». Come è diverso questo piccolo seminarista dalla dolorosa beata Maria di San Giusto, di cui tutta la vita fu una lotta eroica contro la ribellione dell’amor proprio e le tempeste interiori! Mentre altri crescevano in una pietà tranquilla e timida, il beato Teodorico Balat era nella sua fanciullezza un bricconcello che il suo curato dovette più di una volta correggere severamente.
Tutti e tutte sono pronti al martirio. La superiora, beata Maria Ermellina di Gesù, e la beata Maria Amandina pregavano ambedue il Signore di «dar forza ai martiri, ma non di risparmiare il martirio». E come multiforme apparisce questa grazia dello Spirito nelle anime! Ciò che aveva attratto la beata Maria Adolfina alla vita religiosa, era «il desiderio di soffrire per nostro Signore». La beata Maria Chiara partì per la Cina con entusiasmo. A chi le parlava di un lungo sacrificio e di una lenta immolazione nel servizio dei lebbrosi, rispose: «Preferisco andare in Cina e farmi uccidere per Gesù». Il futuro vicario apostolico Antonino Fantosati, ancora giovane religioso, ha un tutt’altro carattere; egli dichiara con ingenua franchezza che non se la sentirebbe molto di andare a farsi trucidare da quei bravi cinesi, ma, poiché il suo superiore lo desiderava, vi si recherebbe prontamente. Difatti andò e fu martirizzato come i suoi confratelli. Diverso è anche il portamento di quel padre di famiglia, servo avventizio dei missionari, che volle essere unito a loro, dacché li seppe in pericolo, e corse dritto alla prigione, lasciando i suoi figlioletti alle cure della Provvidenza divina.
Potremmo continuare a lungo la rassegna dei contrasti che distinguono le figure dei martiri, anche restringendoli a questi ventinove, elevati testé agli onori degli altari.
Per qual motivo dunque mettiamo in rilievo tali differenze, se non per far risaltare anche meglio i lineamenti comuni, grazie ai quali tutti si rassomigliano incomparabilmente più di quanto si diversifichino per le loro originarie sembianze?
Per tutti la grazia del martirio, questa forma sopra ogni altra eccellente della grazia della perseveranza finale, è generalmente, da parte di Dio, il coronamento di tutta una serie di grazie scaglionate nel corso della vita; come, da parte dell’uomo, la testimonianza del sangue è, d’ordinario, la gemma terminale di una lunga catena di corrispondenze alla grazia. Mostrerebbe quindi di non conoscere che in modo assai superficiale il senso del martirio chi troppo facilmente lo attribuisse a qualche circostanza fortuita o a qualche colpo di folgore sulla via di Damasco. Una simile illusione suppone che s’ignorino, da un lato, il lungo e segreto cammino dell’azione divina nell’anima e nel cuore degli eletti, dall’altro, la successione degli atti generosi che, durante una vita in cui non sono forse mancate le ombre, segna arcanamente l’itinerario per il quale recenti convertiti, peccatori penitenti, si trovano inopinatamente trasformati in eroici confessori di Cristo.
Questa serie di grazie, mediante le quali Dio conduce i suoi eletti verso il martirio, è spesso accompagnata da una preparazione, in cui il carattere naturale, la nascita; le condizioni di vita, l’educazione nella famiglia hanno la loro parte. In fondo al cuore del ragazzo irrequieto, come del giovanetto timido o della delicata fanciulla, arde la fiamma di un puro amore di Dio e delle anime, la brama generosa – vivace o calma – di vincersi, di dominare tutti i capricci della natura. Poco importa che i particolari prosaici della computisteria curvino per lunghe giornate sugli austeri registri la fronte della beata Maria Ermellina e apparentemente isteriliscano nell’allineamento delle colonne di cifre lo zelo apostolico che la divora; o che la beata Maria di Santa Natalia, la contadina robusta, lieta di andare ad impiegare in rudi lavori la forza delle sue braccia, non giunga in Cina che per trovarvi, in luogo delle belle fatiche a cui aspira, l’apostolato della continua sofferenza. Ma sotto i morsi del dolore ella si diceva felice, perché, esclamava, «quando si soffre, il cuore si distacca dalla terra», e fra le torture largamente inflittele da una terapia che non apportava alcun sollievo al suo male, faceva il suo tirocinio per il martirio. Altri lo fanno in maniera diversa; ma è ben raro che esso manchi del tutto.
La maggior parte di loro hanno iniziato questa formazione alla sofferenza, questa preparazione al martirio nella scuola di genitori cristiani; l’hanno proseguita nella vita religiosa o almeno in stretto contatto con questa; il che avvenne per i cinesi non meno che per gli europei. Tutti hanno vissuto in un’aura veramente francescana di semplicità, di generosità, di rinunzia e di costante mortificazione, nella perfetta letizia del patriarca di Assisi; i seminaristi, ed anche i servi, sono animati dal suo spirito, i più divenuti membri della sua grande famiglia con la loro appartenenza al Terz’Ordine. Che dire di quelle sante religiose, formate al sacrificio e all’amore nell’Istituto di Maria della Passione? Questo non aveva ancora venticinque anni di vita; era al principio del suo sviluppo che doveva essere magnifico; un immenso campo di lavoro si presentava già al suo zelo; aveva bisogno di religiose in gran numero e di straordinario valore; ed ecco che in un sol colpo sette vittime si offrono al cielo, e quali vittime! vittime che promettevano per la Chiesa di Cristo una mirabile messe.
Gli è che esse avevano conosciuto la grande fecondità dell’immolazione, l’invincibile autorità della testimonianza del sangue. E l’avevano compresa a loro modo, dotto o ingenuo, anche quei martiri indigeni, e specialmente quegli adolescenti, dinanzi ai quali la vita apostolica apriva le più larghe e favorevoli previsioni.
Spighe cariche di speranza, sembravano dover essere le primizie del clero della loro cara patria. Le spighe sono state falciate; il loro sangue ha bagnato il suolo ma, seme di cristiani ha fecondato la terra. Ed ecco che questo clero, il quale umanamente avrebbe dovuto soccombere nelle persecuzioni e nei cataclismi, che si sono succeduti da più di quarant’anni, ha germogliato e fiorito, ha fruttificato; ecco che ha veduto di recente costituita in Cina la gerarchia episcopale; ecco che nel suo grembo brilla, quasi riflesso del sangue dei martiri, la porpora di un principe della Chiesa, accolto trionfalmente da tutto il suo popolo.
Unito al sangue di Cristo, il sangue dei martiri grida verso il cielo più altamente che il sangue di Abele, sale al cospetto del Signore come incenso di soave odore per far discendere sull’immenso suolo cinese e sulla terra intiera le grazie del Padre dei lumi e delle misericordie, in auspicio delle quali impartiamo di gran cuore a voi tutti, diletti figli e figlie, la nostra paterna apostolica benedizione.