Il Papa e i giovani
L’intervista che monsignor Luigi Giussani ha rilasciato al settimanale Panorama nei giorni del Giubileo dei giovani
L’intervista rilasciata a Panorama di Alessandro Sallusti
«Sì, sono commosso». Nonostante che di ragazzi ne abbia
incontrati e cresciuti a migliaia, nonostante che con il Papa abbia un
rapporto preferenziale e che financo il Padreterno, pare, lo conosca bene,
riesce ancora a stupirsi. È don Luigi Giussani, 78 anni, fondatore e
guida di Comunione e liberazione, teologo e intellettuale tra i più
importanti di fine secolo. Lui il Giubileo dei giovani lo sta seguendo in
tv, dalla sua casa di villeggiatura alle porte di Milano. Da dove ha appena
terminato di visionare il programma del Meeting di Cl, l’altro grande
appuntamento estivo dell’Italia cattolica che sta per aprire i
battenti a Rimini. Il Giubileo, dunque. Sarà per via di quei 2
milioni di giovani che fanno poco Chiesa e tanto normalità,
sarà che il Papa in mezzo a loro sembra meno vecchio e stanco di
quanto non sia in realtà. Sarà anche solo per questo, ma sta
di fatto che quelle domande sulla vita e sulla fede, sul bisogno di credere
e sul Mistero, da Roma rimbalzano senza fastidi fin sulle spiagge. E
appaiono meno noiose e lontane del solito.
Così, mentre Giovanni Paolo II porta con forza
Dio sulla ribalta dell’estate 2000, don Gius, come da sempre lo
chiamano i suoi, rompe il silenzio che ha accompagnato questi ultimi anni.
E accetta di rispondere alle domande di Panorama.
Commosso, diceva. Per che cosa?
LUIGI GIUSSANI: Mi colpisce il solo pensiero di quelle centinaia di migliaia di giovani, che poi sono l’avanguardia di una folla ancora più grande, venuti a Roma da tutto il mondo, incuriositi forse di vedere il Papa e stare con lui. Ma mi sono commosso anche e più ancora per la capacità di questo Papa di entrare in rapporto con i giovani, consumando con essi tutta la sua instancabilità nel parlare di Cristo nella vita dell’uomo.
Crede che il fascino e i trionfi di Giovanni Paolo II coincidano con quelli della Chiesa?
GIUSSANI: Se si identifica la Chiesa col Papa, ciò è bello, ma...
Ma?
GIUSSANI: Il problema è che la Chiesa, meglio, i cristiani possono non essere come il Papa! La questione accennata nella sua domanda corrisponde alla visione della Chiesa di tutti coloro che, fedeli o no, ascoltano questo Papa, così umano e insistente nel mettere in guardia l’uomo d’oggi dall’escludere Cristo dal novero degli appassionati del destino dell’uomo.
La questione è, quindi, se proprio tutti i movimenti cattolici e coloro che li dirigono sono in ascolto serio e fattivo d’ogni mossa che il Papa compie o suggerisce.
E lo sono?
GIUSSANI: I movimenti ecclesiali di oggi dimostrano una volontà di seguire la voce e il rapporto che Giovanni Paolo II ha con tutto ciò che lo circonda. Di trionfo, perciò, si potrebbe parlare se tutti noi fossimo come il Papa.
Non crede che la Chiesa oggi parli un po’ troppo di morale e un po’ poco di fede?
GIUSSANI: Mi pare di sì, perché capisco che molti, anche tra i cristiani, specialmente gli intellettuali o i soggetti che svolgono un influsso educativo, sono intasati dalla preoccupazione che i fedeli siano “buoni”. Ma così l’etica può essere interpretata in funzione di quel che pare e piace, mentre la fede per il cristiano è nel riconoscimento di un fatto accaduto e quindi l’assetto morale è l’obbedienza a ciò che quel fatto esige.
Il filosofo Umberto Galimberti sostiene che il cristianesimo, così come lo conosciamo, durerà ancora per due generazioni. Gianni Vattimo, meno pessimista, si limita a prevedere che tra qualche anno la Chiesa farà autocritica in materia di sesso e costume. È possibile?
GIUSSANI: Mi pare che Vattimo dica così perché forse non ha fede in nulla, se non in quello che pare a lui anche del cristianesimo. E Galimberti probabilmente non ha ancora preso coscienza critica del contenuto originale dell’esperienza cristiana.
Con Cl ha incontrato giovani degli anni delle ideologie, poi quelli degli anni delle utopie e ora quelli degli anni del cinismo del mercato. Quali dei tre fattori è stato più pericoloso?
GIUSSANI: Quello delle ideologie, un rischio presente dalla Rivoluzione francese in poi.
Perché?
GIUSSANI: L’ideologia sviluppa un fattore dell’esperienza della vita, del cosmo e della società umana, facendolo esorbitare dai suoi limiti, e lo sostituisce al Mistero che ha fatto tutte le cose, proclamando qualche suo aspetto a regola di vita o giustizia per l’uomo.
Nella misura in cui l’ideologia è generata come punto di vista ultimo cui l’uomo giunge, investe sentimenti e criteri dell’uomo, determinandone la mentalità sì che diventa sempre di più un pregiudizio universale.
I giovani che oggi sono davanti al Papa vivono immersi nel virtuale. Uno come lei che ha predicato la storicità del cristianesimo non corre il rischio di non farsi più capire dalle generazioni di Internet?
GIUSSANI: Innanzitutto la possibilità di creare e di animare un movimento che suscita richiamo, speranza e certezza in tutti gli strati della società e in settanta Stati del mondo, e fin nei quartieri di New York, non è certo un fenomeno virtuale, ma concretissimo. Se tanta gente ci segue, mi pare dimostrare che il modulo della nostra proposta può entusiasmare anche coloro che stampa e tv chiamano “generazione virtuale”.
Parlare del fatto cristiano e della carnalità della fede può essere proposta affermata come radice dell’attuazione della propria personalità ai giovani, e ai non più giovani, anche oggi. Quindi, per me, nessuna paura.
Lei ha appena scritto un saggio su potere e opere.
Quale è oggi, o quale dovrebbe essere, il rapporto tra potere e
Chiesa, tra affari e fede?
GIUSSANI: Direi che deve essere quello che si stabilisce tra due persone: il dialogo. Ma per dialogare occorre che si persegua sinceramente un unico scopo, senza tacere un aiuto vicendevole: la Chiesa cosciente che attraverso tante situazioni contingenti il Mistero di Cristo vuole qualche cosa, e lo Stato operando con principi d’umanità. A me pare che l’unica condizione perché questo avvenga è che Chiesa e Stato siano guidati da persone che prima dell’attuazione dei loro disegni sentano l’umanità.
E ciò accade?
GIUSSANI: Qui avrei la tentazione di dire, di affermare che è difficile trovare persone autorevoli che misurino i propri progetti a partire da una mortificazione dei loro vantaggi personali, anche di pensiero.
Il cosiddetto “braccio politico” di Cl è passato dalla Dc al Psi e ora a Forza Italia. Non ha mai avuto paura di una strumentalizzazione politica del mix fede-politica?
GIUSSANI: A parte il fatto che non esistono “bracci politici” fra noi, ma persone educate alla responsabilità in famiglia, sul lavoro e verso gli altri (società, Paese, Stato e mondo). Comunque, in tanti anni abbiamo cercato di snellire le cose, mirando al cuore e alla testa dei giovani (e non più giovani) con la nostra proposta umana.
Evidentemente, una strumentalizzazione di una realtà che vive nella società può essere sempre ricercata dall’esterno proprio quanto più si tratti di una realtà viva, bella e utile. Ma un movimento come tale, anche politico, non nasce se non in ciò che lo anima.
Cioè?
GIUSSANI: Per noi il rapporto con la politica nasce da una preoccupazione educativa al destino di ogni persona.
Cl fu tra le prime organizzazioni, nel ’92, a mettere in guardia da Mani pulite, una operazione che fu subito definita una finta rivoluzione, un tradimento del popolo. Sono parole ancora valide?
GIUSSANI: Per rispondere a questa domanda bisogna saper leggere ciò che è accaduto con attenzione, sincerità e con assenza di pregiudizio.
Qui si vede la differenza di concezione dell’uomo tra la Chiesa e l’educazione meramente naturalistica. Se l’uomo è soggetto responsabile delle sue azioni, ogni azione non può dimenticare l’estrema debolezza di ciò che la fa nascere. Nel salmo De profundis si dice: «Signore, se fissi lo sguardo sulle nostre mancanze, chi potrà mai resistere?».
Tangentopoli fu solo una debolezza umana?
GIUSSANI: La debolezza dell’uomo è riconoscibile come cosa che sta al limite estremo del nulla. Questo rende eminentemente vera la scena che, nel momento più acuto del IV atto di Brand, il dramma di Ibsen, il protagonista grida: «Per raggiungere la salvezza non basta tutta la volontà umana?». Chi è quell’uomo che non sente la stolidità di frasi come quelle che s’udirono nel ’92 e ancora dopo gridate (o anche scritte su giornali) di taluni gestori di Mani pulite, che si ritenevano tra le persone più perfette della società? È per questo che allora dicemmo che un’azione che per punire colpevoli distrugge un popolo, come coscienza unitaria e come raggiunto benessere, ha almeno nella sua modalità di attuazione qualcosa di ingiusto. I suggeritori di Mani pulite forse potrebbero appartenere a una società di uomini che pretendono fissare loro il sommo bene per la società, identificato normalmente col favore dato a un assetto sociale in cui il bene salvaguardato si identificasse con quello che vogliono essi stessi.
Il bilancio di quella stagione?
GIUSSANI: Potrei semplificarlo con l’immagine di una crepa apertasi nel fondamento della nostra società, un imbroglio nel cui polverone non si può certo riconoscere il mattino di un giorno più benevolo. Anche se così ci è stato lasciato in eredità il richiamo ad una onestà “sociale”; e per questo c’è un grazie da dire anche alla fatica da loro sostenuta.
Lei ha sostenuto che con la vecchiaia è cambiato
il suo modo di essere cristiano. In che senso? Ha mai dubitato?
GIUSSANI: Il tempo che passa ottiene nella realtà umana cordialmente vissuta, come biologicamente così anche come coscienza, una evoluzione, che nel bene e nel male fa apparire più chiaramente le decisioni. Sorge così la certezza più chiara delle forme del bene e del male, dove stia il bene e dove stia il male. Ma irrobustisce, di conseguenza, anche la volontà dell’uno o dell’altro.
Io credo di avere imparato che ciò che appare dubbioso è solo un invito ad essere più chiari e coerenti.
Lei ha più volte parlato della morte, dell’angoscia del sentire il “corpo che va in disfacimento”. Indro Montanelli parla apertamente di eutanasia. Il non accanimento terapeutico e la genetica sono davvero inconciliabili con la fede?
GIUSSANI: Il non accanimento terapeutico e la genetica mi sembra siano inconciliabili con la fede solo quando pretendessero eliminare o rifiutare l’obbedienza al Mistero di Cristo.
Quando scatta questo rifiuto?
GIUSSANI: La morte è il punto in cui ogni ideologia segna il passo o ha il fiato corto, stabilendo un limite oltre il quale c’è solo il Mistero.
È il segno più evidente che la vita non ci appartiene. Per questo non possiamo disporne come ci pare e piace, tantomeno fissare ad essa un limite noi.
E allora le chiedo: che cosa è il Mistero?
GIUSSANI: È insulto ad ogni ragione che vive il dire: «Dopo la morte non c’è più niente». Perché «tutta la vita chiede l’eternità» e «la nostra voce canta con un perché», così dice la prima canzone nella storia del nostro movimento.
La parola “Mistero” è l’unica che il vocabolario umano abbia per indicare ciò che è dopo la morte e tutte le conseguenze del male. Ma il Mistero ha assunto tutta la forma umana nel seno della Madonna. Se è Mistero, anche questo il Mistero può fare. E di questa risposta nessuna ragione può sentirsi insoddisfatta. Anzi, di fronte a questo annuncio, deve innanzitutto tacere e il meccanismo di una logica razionale potrà ritrovarlo solo quando la coscienza dell’uomo che è ragionevole sarà stata colpita dall’esistenza di Cristo morto e risorto.
Non bisogna temere la morte?
GIUSSANI: No, di fronte alla morte non sarà annullato il timore del fatto che essa colpisce distruggendo un’esistenza cosciente. Ma il pensiero di quell’uomo che ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita» sarà punto d’appoggio per un respiro nuovo.
Torniamo ai giovani. Che cosa significa oggi insegnare a un ragazzo ad aver fede?
GIUSSANI: Nel nostro movimento lo sforzo educativo sta proprio imperniato sul modo con cui si può giungere oggi alla certezza su Cristo, così da sviluppare nella propria coscienza la grande certezza cristiana, in modo che tutta la propria vita si appoggi al Mistero di Cristo, con tutte le aspirazioni positive, dentro la consapevolezza sempre più chiara della propria debolezza e incapacità o cattiveria.
Il Papa e i giovani: alcuni momenti delle Giornate mondiali della gioventù svoltesi a Roma dal 15 al 20 agosto 2000
Commosso, diceva. Per che cosa?
LUIGI GIUSSANI: Mi colpisce il solo pensiero di quelle centinaia di migliaia di giovani, che poi sono l’avanguardia di una folla ancora più grande, venuti a Roma da tutto il mondo, incuriositi forse di vedere il Papa e stare con lui. Ma mi sono commosso anche e più ancora per la capacità di questo Papa di entrare in rapporto con i giovani, consumando con essi tutta la sua instancabilità nel parlare di Cristo nella vita dell’uomo.
Crede che il fascino e i trionfi di Giovanni Paolo II coincidano con quelli della Chiesa?
GIUSSANI: Se si identifica la Chiesa col Papa, ciò è bello, ma...
Ma?
GIUSSANI: Il problema è che la Chiesa, meglio, i cristiani possono non essere come il Papa! La questione accennata nella sua domanda corrisponde alla visione della Chiesa di tutti coloro che, fedeli o no, ascoltano questo Papa, così umano e insistente nel mettere in guardia l’uomo d’oggi dall’escludere Cristo dal novero degli appassionati del destino dell’uomo.
La questione è, quindi, se proprio tutti i movimenti cattolici e coloro che li dirigono sono in ascolto serio e fattivo d’ogni mossa che il Papa compie o suggerisce.
E lo sono?
GIUSSANI: I movimenti ecclesiali di oggi dimostrano una volontà di seguire la voce e il rapporto che Giovanni Paolo II ha con tutto ciò che lo circonda. Di trionfo, perciò, si potrebbe parlare se tutti noi fossimo come il Papa.
Non crede che la Chiesa oggi parli un po’ troppo di morale e un po’ poco di fede?
GIUSSANI: Mi pare di sì, perché capisco che molti, anche tra i cristiani, specialmente gli intellettuali o i soggetti che svolgono un influsso educativo, sono intasati dalla preoccupazione che i fedeli siano “buoni”. Ma così l’etica può essere interpretata in funzione di quel che pare e piace, mentre la fede per il cristiano è nel riconoscimento di un fatto accaduto e quindi l’assetto morale è l’obbedienza a ciò che quel fatto esige.
Il filosofo Umberto Galimberti sostiene che il cristianesimo, così come lo conosciamo, durerà ancora per due generazioni. Gianni Vattimo, meno pessimista, si limita a prevedere che tra qualche anno la Chiesa farà autocritica in materia di sesso e costume. È possibile?
GIUSSANI: Mi pare che Vattimo dica così perché forse non ha fede in nulla, se non in quello che pare a lui anche del cristianesimo. E Galimberti probabilmente non ha ancora preso coscienza critica del contenuto originale dell’esperienza cristiana.
Con Cl ha incontrato giovani degli anni delle ideologie, poi quelli degli anni delle utopie e ora quelli degli anni del cinismo del mercato. Quali dei tre fattori è stato più pericoloso?
GIUSSANI: Quello delle ideologie, un rischio presente dalla Rivoluzione francese in poi.
Perché?
GIUSSANI: L’ideologia sviluppa un fattore dell’esperienza della vita, del cosmo e della società umana, facendolo esorbitare dai suoi limiti, e lo sostituisce al Mistero che ha fatto tutte le cose, proclamando qualche suo aspetto a regola di vita o giustizia per l’uomo.
Nella misura in cui l’ideologia è generata come punto di vista ultimo cui l’uomo giunge, investe sentimenti e criteri dell’uomo, determinandone la mentalità sì che diventa sempre di più un pregiudizio universale.
I giovani che oggi sono davanti al Papa vivono immersi nel virtuale. Uno come lei che ha predicato la storicità del cristianesimo non corre il rischio di non farsi più capire dalle generazioni di Internet?
GIUSSANI: Innanzitutto la possibilità di creare e di animare un movimento che suscita richiamo, speranza e certezza in tutti gli strati della società e in settanta Stati del mondo, e fin nei quartieri di New York, non è certo un fenomeno virtuale, ma concretissimo. Se tanta gente ci segue, mi pare dimostrare che il modulo della nostra proposta può entusiasmare anche coloro che stampa e tv chiamano “generazione virtuale”.
Parlare del fatto cristiano e della carnalità della fede può essere proposta affermata come radice dell’attuazione della propria personalità ai giovani, e ai non più giovani, anche oggi. Quindi, per me, nessuna paura.
GIUSSANI: Direi che deve essere quello che si stabilisce tra due persone: il dialogo. Ma per dialogare occorre che si persegua sinceramente un unico scopo, senza tacere un aiuto vicendevole: la Chiesa cosciente che attraverso tante situazioni contingenti il Mistero di Cristo vuole qualche cosa, e lo Stato operando con principi d’umanità. A me pare che l’unica condizione perché questo avvenga è che Chiesa e Stato siano guidati da persone che prima dell’attuazione dei loro disegni sentano l’umanità.
E ciò accade?
GIUSSANI: Qui avrei la tentazione di dire, di affermare che è difficile trovare persone autorevoli che misurino i propri progetti a partire da una mortificazione dei loro vantaggi personali, anche di pensiero.
Il cosiddetto “braccio politico” di Cl è passato dalla Dc al Psi e ora a Forza Italia. Non ha mai avuto paura di una strumentalizzazione politica del mix fede-politica?
GIUSSANI: A parte il fatto che non esistono “bracci politici” fra noi, ma persone educate alla responsabilità in famiglia, sul lavoro e verso gli altri (società, Paese, Stato e mondo). Comunque, in tanti anni abbiamo cercato di snellire le cose, mirando al cuore e alla testa dei giovani (e non più giovani) con la nostra proposta umana.
Evidentemente, una strumentalizzazione di una realtà che vive nella società può essere sempre ricercata dall’esterno proprio quanto più si tratti di una realtà viva, bella e utile. Ma un movimento come tale, anche politico, non nasce se non in ciò che lo anima.
Cioè?
GIUSSANI: Per noi il rapporto con la politica nasce da una preoccupazione educativa al destino di ogni persona.
Cl fu tra le prime organizzazioni, nel ’92, a mettere in guardia da Mani pulite, una operazione che fu subito definita una finta rivoluzione, un tradimento del popolo. Sono parole ancora valide?
GIUSSANI: Per rispondere a questa domanda bisogna saper leggere ciò che è accaduto con attenzione, sincerità e con assenza di pregiudizio.
Qui si vede la differenza di concezione dell’uomo tra la Chiesa e l’educazione meramente naturalistica. Se l’uomo è soggetto responsabile delle sue azioni, ogni azione non può dimenticare l’estrema debolezza di ciò che la fa nascere. Nel salmo De profundis si dice: «Signore, se fissi lo sguardo sulle nostre mancanze, chi potrà mai resistere?».
Tangentopoli fu solo una debolezza umana?
GIUSSANI: La debolezza dell’uomo è riconoscibile come cosa che sta al limite estremo del nulla. Questo rende eminentemente vera la scena che, nel momento più acuto del IV atto di Brand, il dramma di Ibsen, il protagonista grida: «Per raggiungere la salvezza non basta tutta la volontà umana?». Chi è quell’uomo che non sente la stolidità di frasi come quelle che s’udirono nel ’92 e ancora dopo gridate (o anche scritte su giornali) di taluni gestori di Mani pulite, che si ritenevano tra le persone più perfette della società? È per questo che allora dicemmo che un’azione che per punire colpevoli distrugge un popolo, come coscienza unitaria e come raggiunto benessere, ha almeno nella sua modalità di attuazione qualcosa di ingiusto. I suggeritori di Mani pulite forse potrebbero appartenere a una società di uomini che pretendono fissare loro il sommo bene per la società, identificato normalmente col favore dato a un assetto sociale in cui il bene salvaguardato si identificasse con quello che vogliono essi stessi.
Il bilancio di quella stagione?
GIUSSANI: Potrei semplificarlo con l’immagine di una crepa apertasi nel fondamento della nostra società, un imbroglio nel cui polverone non si può certo riconoscere il mattino di un giorno più benevolo. Anche se così ci è stato lasciato in eredità il richiamo ad una onestà “sociale”; e per questo c’è un grazie da dire anche alla fatica da loro sostenuta.
GIUSSANI: Il tempo che passa ottiene nella realtà umana cordialmente vissuta, come biologicamente così anche come coscienza, una evoluzione, che nel bene e nel male fa apparire più chiaramente le decisioni. Sorge così la certezza più chiara delle forme del bene e del male, dove stia il bene e dove stia il male. Ma irrobustisce, di conseguenza, anche la volontà dell’uno o dell’altro.
Io credo di avere imparato che ciò che appare dubbioso è solo un invito ad essere più chiari e coerenti.
Lei ha più volte parlato della morte, dell’angoscia del sentire il “corpo che va in disfacimento”. Indro Montanelli parla apertamente di eutanasia. Il non accanimento terapeutico e la genetica sono davvero inconciliabili con la fede?
GIUSSANI: Il non accanimento terapeutico e la genetica mi sembra siano inconciliabili con la fede solo quando pretendessero eliminare o rifiutare l’obbedienza al Mistero di Cristo.
Quando scatta questo rifiuto?
GIUSSANI: La morte è il punto in cui ogni ideologia segna il passo o ha il fiato corto, stabilendo un limite oltre il quale c’è solo il Mistero.
È il segno più evidente che la vita non ci appartiene. Per questo non possiamo disporne come ci pare e piace, tantomeno fissare ad essa un limite noi.
E allora le chiedo: che cosa è il Mistero?
GIUSSANI: È insulto ad ogni ragione che vive il dire: «Dopo la morte non c’è più niente». Perché «tutta la vita chiede l’eternità» e «la nostra voce canta con un perché», così dice la prima canzone nella storia del nostro movimento.
La parola “Mistero” è l’unica che il vocabolario umano abbia per indicare ciò che è dopo la morte e tutte le conseguenze del male. Ma il Mistero ha assunto tutta la forma umana nel seno della Madonna. Se è Mistero, anche questo il Mistero può fare. E di questa risposta nessuna ragione può sentirsi insoddisfatta. Anzi, di fronte a questo annuncio, deve innanzitutto tacere e il meccanismo di una logica razionale potrà ritrovarlo solo quando la coscienza dell’uomo che è ragionevole sarà stata colpita dall’esistenza di Cristo morto e risorto.
Non bisogna temere la morte?
GIUSSANI: No, di fronte alla morte non sarà annullato il timore del fatto che essa colpisce distruggendo un’esistenza cosciente. Ma il pensiero di quell’uomo che ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita» sarà punto d’appoggio per un respiro nuovo.
Torniamo ai giovani. Che cosa significa oggi insegnare a un ragazzo ad aver fede?
GIUSSANI: Nel nostro movimento lo sforzo educativo sta proprio imperniato sul modo con cui si può giungere oggi alla certezza su Cristo, così da sviluppare nella propria coscienza la grande certezza cristiana, in modo che tutta la propria vita si appoggi al Mistero di Cristo, con tutte le aspirazioni positive, dentro la consapevolezza sempre più chiara della propria debolezza e incapacità o cattiveria.