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A VENT’ANNI...
tratto dal n. 04 - 2000

«Lasciava alla grazia del Signore il lavoro nei cuori»


Alla fine del 1979 il Celam invia il cardinale Lorscheider da Romero, a San Salvador. In questo articolo il cardinale ricorda i giorni vissuti insieme a quel «coraggioso timido», che non era un «tribuno», ma solo un uomo di Dio


del cardinale Aloísio Lorscheider


La memoria di monsignor Oscar Romero, dopo venti anni dalla sua tragica morte, è ancora molto viva. È stato un arcivescovo, un buon pastore, che ha dato la sua vita per la difesa della giustizia nella sua terra tanto amata.
Due mesi prima del suo assassinio ero stato da lui a San Salvador. Celebrammo insieme la santa messa nella stessa cappella dell’ospedale dove lo avrebbero poi raggiunto i colpi di pistola dei sicari. Monsignor Romero faceva il cappellano in quell’ospedale ed era ben voluto da tutte le persone che lo conoscevano. Le suore mi dicevano: «È un santo!», gli ammalati vivevano contenti la loro condizione con quel cappellano che serviva tutti con estrema semplicità. Vestiva una sottana nera, un abito talare semplicissimo, senza ornamenti e simboli episcopali perché lui le persone le voleva avvicinare, e non voleva allontanare nessuno.
Romero in una baraccopoli di San Salvador nel 1980

Romero in una baraccopoli di San Salvador nel 1980

Era stata la direzione del Celam (il Consiglio episcopale latinoamericano) a chiedermi di andare a visitare monsignor Romero. Sono stato a San Salvador tra la fine del 1979 e il principio del 1980 e in quell’occasione ho potuto rendermi conto del rischio che correva il vescovo. Ricordo che la notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio mi trovavo nella piccola abitazione di monsignor Romero. A mezzanotte ho sentito tanti di quei colpi di arma di fuoco, soprattutto mortai, come mai nella mia vita. Pensavo tra me e me come mai monsignor Romero rimanesse lì da solo: i suoi avversari potevano raggiungerlo con estrema facilità.
A San Salvador le mura delle case erano coperte da scritte con minacce di morte rivolte a varie persone; vi si leggevano anche chiari riferimenti a monsignor Oscar Romero. Lo chiamavano rivoluzionario, dicevano: «Morte a monsignor Romero!». C’era un clima di autentica guerra contro l’inerme arcivescovo, cosa questa molto strana in una città dell’America Latina, dove la gente ha tanta stima e rispetto per i suoi vescovi!
Nel mio passaggio a San Salvador ho potuto contattare alcune persone rivestite di una certa autorità. Questi contatti non sempre mi sono piaciuti. Si sparlava molto dell’arcivescovo. Sembrava una vera cospirazione contro la sua vita. C’erano anche persone di Chiesa. Erano in molti a non sopportarlo. Era visto come un sovversivo, un rivoluzionario, un uomo dell’estrema sinistra. Altri dicevano che era stato uno sbaglio della Santa Sede averlo nominato arcivescovo della capitale. Lui, che a me sembrava un uomo tanto pacifico, tanto tranquillo, era invece visto da questa gente come un impaccio per la pace della nazione. E le sue prediche e i suoi interventi alla radio provocavano ancora più reazioni contro di lui. Perciò mi impegnai per leggere i suoi scritti, le sue prediche, anche i più semplici dattiloscritti. Erano una difesa continua dei poveri, dei perseguitati, delle vittime di ingiustizie. Impegno ancora più ammirevole per il fatto che monsignor Romero era una persona timida: lui stesso me lo confessò un giorno. Appariva sempre calmo, tranquillo, caratterialmente era un silenzioso e tuttavia parlava... Ma quanta fatica si imponeva quest’uomo per non tralasciare nulla! Anche da questo punto di vista lui è stato un martire. Ed è stato un uomo coraggioso, un coraggioso timido!
Le cose nel Salvador non erano mica facili! La rivoluzione, sebbene non dichiarata, infuriava in tutta la nazione. Sono stato anche all’interno del Paese e ho potuto constatare ovunque la stessa situazione tesa della capitale. A Santa Anna, per esempio, la Cattedrale – una bella e grande chiesa – era piena di scritte sulle pareti che istigavano all’odio. Pensavo: «Povera nazione! Povera gente!». In mezzo a queste contraddizioni doveva vivere monsignor Romero, e non sempre ben compreso.
Ricordo come durante la terza Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Puebla de los Angeles, in Messico (dal 27 gennaio al 13 febbraio 1979) – a cui partecipò anche monsignor Romero in qualità di delegato scelto e con una presenza sempre attenta e viva –, ad un certo punto dell’assemblea un gruppo di vescovi voleva togliere dal documento già quasi pronto il capitolo che si riferiva alla opzione evangelica, preferenziale e solidale per i poveri. Il cardinale Sebastiano Baggio, uno dei tre copresidenti di quell’assemblea, e in realtà il responsabile principale, pensò addirittura di telefonare al Santo Padre perché ordinasse l’omissione di quel capitolo. Ma un altro gruppo di vescovi, tra i quali c’era monsignor Oscar Romero, chiesero che il capitolo fosse conservato. Durante la notte rimanemmo a studiare il capitolo nei suoi minimi dettagli e il giorno seguente, insieme col cardinale Sebastiano Baggio, concordammo, con qualche piccolo cambiamento, di mantenere il capitolo, tenendo anche conto che l’argomento in questione era diventato quasi la nota caratteristica della Chiesa in America Latina.
Tornando al mio viaggio a San Salvador, ricordo come, senza rendermi conto, diedi una gioia speciale a monsignor Romero quando, al mio arrivo all’aeroporto, gli dissi che non c’era bisogno di portarmi in albergo come previsto e che se voleva poteva ospitarmi presso di lui o forse nel seminario. Rimase molto contento e mi portò alla sua povera abitazione. Mi confessò dopo che rimase colpito da quel mio gesto tanto informale. E io ancora oggi ricordo quella sua contentezza.
Vorrei tornare infine sulle prediche e sui messaggi radiofonici di monsignor Oscar Romero. È da osservare che lui poteva anche essere un po’ monotono: non era un grande oratore né tanto meno un tribuno. Era semplicemente un uomo di Dio, una persona schietta, umile, che voleva soltanto fare il bene. Lasciava alla grazia del Signore il lavoro nei cuori. Non cercava di commuovere, cercava di convertire in forza della stessa Parola di Dio.
Era un uomo con una grande anima cristiana. Un uomo di Chiesa, rispettoso verso il Santo Padre e verso tutti i suoi confratelli nell’episcopato. Con me, mai si è lagnato delle incomprensioni degli altri. Era un uomo totalmente preso dal suo ministero episcopale, dal suo ministero di pastore.


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