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A VENT’ANNI...
tratto dal n. 04 - 2000

Ucciso da cristiani


Spiega Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador: «La Chiesa ha canonizzato martiri del comunismo e del nazismo. Romero, come tanti altri sacerdoti dell’America Latina, è stato ucciso da persone che si dicevano cristiane e che vedevano in lui un nemico dell’ordine sociale occidentale. Romero è un martire della civiltà occidentale cristiana. Riconoscere questo sarebbe una novità»


di Davide Malacaria


L’altare nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador, dove Romero fu assassinato

L’altare nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador, dove Romero fu assassinato

«Monsignor Oscar Arnulfo Romero sarà beatificato dalla Chiesa tra qualche anno, secondo i suoi tempi. Ma per il popolo è già un santo, san Romero d’America». Così dice monsignor Ricardo Urioste (presidente della Fondazione Romero, per anni collaboratore dell’arcivescovo di San Salvador) a un folto gruppo di sacerdoti, vescovi e missionari intervenuti in occasione dei venti anni dalla morte del presule salvadoregno. E che le parole di monsignor Urioste fotografino la realtà lo si vede nelle strade di San Salvador in questi giorni di memoria e di festa. Murales raffiguranti l’immagine di Romero colorano i palazzi della città centroamericana, che la sera dell’anniversario scende in piazza per ricordare il suo vescovo. Come se quella pallottola esplosiva, che il 24 marzo 1980 ha tolto la vita a monseñor, fosse solo un capitolo, drammatico, di una storia che, anche grazie a quel sangue prezioso (che ancora fa mostra di sé sulla veste sacerdotale di monseñor conservata all’hospedalito), ha continuato a crescere e vivere nel cuore del popolo. Ma se per il popolo di Dio questo riconoscimento è semplice, immediato, la Chiesa ha i suoi tempi, dettati dalla tradizione e dalle procedure. Così il processo di beatificazione, annunciato ufficialmente nel ’90, è ancora in divenire. Padre Rafael Urrutia, che ha lavorato come cancelliere fianco a fianco di Romero nell’ultimo anno della sua vita, e che ha raccolto la documentazione per avviare la causa, ne spiega le tappe. Lo incontriamo nella parrocchia de la Resurreción, la chiesa di cui era parroco padre Alfonso Navarro, ucciso nel 1977, come racconta tra il vociare dei bambini che affollano i locali della chiesa. «Questo processo finora ha seguito un percorso privilegiato, procedendo con celerità. La documentazione raccolta è stata giudicata positivamente dalla Congregazione delle cause dei santi ed ora è giunta al vaglio della Congregazione per la dottrina della fede. Qui ha preso un iter meno veloce, ma questi sono i tempi normali della Chiesa, ed è giusto così». Non fa drammi Urrutia, come non fa drammi per il fatto che, ancora, sulla figura di Romero ci sia una sorta di battaglia sotterranea, ostilità anche, da parte di cristiani che vedono in lui un vescovo politico, un “comunista”. «Anche ieri alla messa con il cardinale Mahony, celebrata per i vent’anni dalla morte, c’erano due cartelli contro la beatificazione di Romero. Ma il fatto che si siano potuti innalzare quei cartelli è indice della libertà che oggi si respira nella nostra Chiesa. Anche chi li innalzava è stato invitato alla messa. Il fatto che vi siano resistenze alla beatificazione è normale, sempre ci saranno resistenze; ma se qualcuno fa questo per motivi ideologici, è un suo peccato». Di questa resistenza parla anche monsignor Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador, amico di Romero. Ricorda: «Recentemente i vescovi del Salvador hanno redatto un comunicato congiunto in favore della beatificazione di Romero. E questo perché avevamo avuto notizia che in Vaticano si stava diffondendo l’opinione di rimandare per motivi di opportunità».

Come i martiri dei primi secoli?
La causa di beatificazione in corso dovrà sciogliere parecchi nodi connessi alla storia di Romero. Urrutia ne elenca tre: «Si dovrà affrontare il problema della persecuzione contro la Chiesa salvadoregna: è esistita o non è esistita?». E per rendersi conto che la domanda non è retorica, basta rileggere quanto scriveva al tempo del conflitto civile monsignor Alvarez Ramírez, vescovo di San Miguel con discreti agganci in Vaticano, nel foglio della sua diocesi: «Non esiste una Chiesa perseguitata. Ci sono solo alcuni figli della Chiesa che, volendo servirla, hanno perso la strada e si sono posti fuori dalla legge». Il secondo problema da affrontare riguarda l’obiezione che vuole Romero persona fragile e manipolabile, tanto da essere gestito dai Gesuiti. Urrutia sorride: «È evidente che Romero fu manipolato, ma dallo Spirito Santo: ha avuto il dono della profezia. Non a tutti i vescovi è stato dato questo dono, a Romero sì». Ma il vero problema, forse quello sul quale più si farà sentire il morso della resistenza, è un altro: Romero è stato ucciso a causa della fede, in odium fidei, o per motivi politici? La risposta di Urrutia è semplice: «Militari, professori, medici, sacerdoti, tutti abbiamo a che fare con la polis. I problemi di cui soffriva il Salvador ai tempi di Romero non li ha creati lui: la povertà, la fame, l’ingiustizia, la violazione dei diritti umani, non li ha creati Romero. Lui, come arcivescovo, non faceva altro che illuminare con la Parola di Dio e quella del Magistero della Chiesa questa realtà». Ma, allo stesso tempo, Urrutia si chiede: «Si è martiri solo perché si testimonia fino alla morte la fede, la speranza e la carità? Oppure anche quando si è uccisi a causa della testimonianza evangelica nel praticare la giustizia?». Una domanda che riecheggia anche nelle parole di Rosa Chávez, che afferma: «Il concetto di martirio, che si esprime con le parole latine in odium fidei, ucciso per odio alla fede, dovrebbe essere inteso in modo diverso da come è stato applicato dalla Chiesa negli ultimi secoli. Occorre una cosa nuova: ovvero guardare, più che alla intenzione del persecutore, a quello che muove, ciò che sta a cuore a chi viene ucciso. E del resto era questo il concetto di martirio che è stato applicato a molti dei martiri cristiani dei primi secoli: non tutti erano uccisi esplicitamente in odium fidei, ma perché quello che vivevano urtava contro una mentalità, un ordine costituito. Questa ottica, anzi questo sguardo potrebbe aiutare a comprendere la vicenda di Romero e di tanti sacerdoti e cristiani uccisi in America Latina in questi anni». Ma ancor più significativamente Rosa Chávez accenna al motivo principale per cui questa causa è così controversa: «La Chiesa ha canonizzato martiri del comunismo e del nazismo. Romero, come tanti altri sacerdoti dell’America Latina, è stato ucciso da persone che si dicevano cristiane e che vedevano in lui un nemico dell’ordine sociale occidentale. Romero è un martire della civiltà occidentale cristiana. Riconoscere questo sarebbe una novità».
Ma tra le difficoltà che incontra la beatificazione di Romero c’è anche una specie di battaglia sulla sua figura personale, sull’uomo Romero. Ne accenna Carmen Elena Hernández, suora, animatrice delle comunità di base: «Abbiamo il fondato timore che questo processo di beatificazione serva solo a fare di Romero un’icona, un uomo di miracoli e di preghiera, facendo attenzione a eliminare dalla storia il Romero profeta, “la voce di quelli che non hanno voce”, come diceva di se stesso». Una possibilità avvertita anche da Rosa Chávez che spiega come tanti hanno avvertito il rischio che Romero, dopo morto, fosse “sequestrato”: beato sì, ma… Anche per questo è stata avviata una raccolta di firme, in tutto il mondo, a sostegno della causa di Romero. Un’iniziativa che, insieme alle manifestazioni svoltesi per i venti anni dalla morte, hanno fugato ogni timore, perché hanno testimoniato un consenso diffuso ed internazionale attorno alla beatificazione di monseñor, pastore dei poveri e degli oppressi. «Ora siamo più tranquilli» conclude Rosa Chávez. Spiega Urrutia: «Ognuno vede Romero come vuole, chi ne ammira la spiritualità, chi invece la sua attenzione ai poveri e alla ingiustizia sociale. Per descrivere la figura di Romero io farei il paragone con un vulcano che ha una base amplissima, e questa è la profonda spiritualità di Romero; e un apice, la bocca del vulcano, che rappresenta il suo dono profetico, “la voce di quelli che non hanno voce”. E questo è il Romero che vogliamo sia riconosciuto beato, sapendo anche che il Romero che ha attirato la gente è quello della profezia».

La stanza di Romero nell’hospedalito; sul comodino una fotografia di Paolo VI

La stanza di Romero nell’hospedalito; sul comodino una fotografia di Paolo VI

Ucciso da un sistema
Per tanti Romero è un martire. Anche il cardinale Mahony nella celebrazione eucaristica lo dice esplicitamente. E dal Salvador hanno voluto che la canonizzazione di Romero seguisse la procedura impiegata per il riconoscimento del martirio, come spiega padre Jesús Delgado, che ha portato in Vaticano la documentazione e ne continua a seguire la causa. Alle sue spalle, mentre parla, spicca il ritratto di Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, opera con la quale Romero ha avuto rapporti buoni, ma anche incomprensioni. A complicare la causa potrebbe essere un dettaglio: non è stato mai identificato l’assassino del vescovo, malgrado le molte piste investigative seguite. Un particolare importante per chiarire il motivo dell’omicidio. «Un ostacolo superabile» afferma padre Delgado; «infatti le canonizzazioni di Edith Stein e di padre Massimiliano Kolbe hanno aperto nuove strade. Neanche gli assassini materiali di questi due martiri del nazismo sono stati individuati. In questi casi è stato evidente che la loro morte è stata causata da un sistema, e questo per la Chiesa è sufficiente». La procedura seguita nelle cause riguardanti il riconoscimento del martirio comporta una diversità rispetto a quella della beatificazione tout court. Delgado la descrive quando chiediamo dei miracoli operati per intercessione di monseñor. «Abbiamo raccolto materiale riguardante alcuni miracoli attribuiti a Romero, ma questa documentazione non è ancora inoppugnabile, occorrono ulteriori verifiche. Però per il riconoscimento del martirio questo non è molto importante. Se Romero sarà riconosciuto martire non c’è bisogno di documentare miracoli perché sia canonizzato. Certo, se ci fosse qualche dubbio, documentare un miracolo sarebbe utile».

I “miracoli” di monseñor
Ma la gente qui già crede nei miracoli di Romero, e ne invoca l’intercessione. Lo testimoniano le tante targhette di ex voto che un tempo ornavano la tomba di monseñor con su scritto: «Per miracolo ricevuto». Ora queste targhette non si trovano più sulla tomba. La prudenza ecclesiastica, spiegano, ha consigliato il loro spostamento, per evitare che fossero interpretate come se la Chiesa ne riconoscesse ufficialmente la veridicità. Così ora questi ex voto ricoprono un muro presso quella che era la povera residenza del vescovo, all’hospedalito. Abbiamo raccolto alcune testimonianze di queste grazie, che riportiamo, più che per facile credulità, per tentare di descrivere la devozione che circonda la figura di monseñor.
Regina Basagoitía è una delle animatrici della Fondazione Romero, in cui si è coinvolta, spiega, dopo una grazia ricevuta da monseñor. Ai miracoli di Romero lei crede fermamente, e ne racconta uno accaduto a un amico del figlio, al quale un proiettile assassino, sparato accidentalmente, voleva togliere la vita. La corsa in ospedale e le parole dei medici: «Nessuna speranza, e se anche fosse, c’è la certezza di menomazioni permanenti». Notte di preghiera alla tomba di Romero. E accade l’imprevisto. Ci si accorge che quel proiettile assassino si è andato ad incastrare nella colonna vertebrale, e funge da sostegno alla testa. Ora il ragazzo, dopo le cure, ha ripreso la sua vita normale, con quel proiettile ancora incastrato tra le vertebre.
Anche Luz Chuevos, una delle suore che viveva all’hospedalito con Romero, ci racconta di lui e dei suoi miracoli. Anche per lei monseñor è una presenza viva e operosa. A lui si rivolge per le tante necessità dell’Opera della Divina Provvidenza e, assicura, monseñor risponde a suon di impreviste donazioni. Luz racconta queste cose, e gli occhi si fanno più luminosi. «La nostra Opera è sempre stata affidata alla Divina Provvidenza, che non ci ha mai negato il suo aiuto». Conclude, divertita al pensiero che ora ad intercedere per loro c’è anche monseñor. Ma Romero non pensa solo all’Opera. Luz ci racconta di un ragazzo in condizioni disperate a seguito di un incidente d’auto, la madre che corre dalle suore e poi, insieme a loro, va a pregare Romero. E la terribile prospettiva, morte o danni motori e cerebrali, non si avvera. «I medici» spiega Luz «non parlano ovviamente di miracolo, però hanno confidato alla madre del ragazzo che durante l’intervento, durato ore e ore, erano molto stanchi, ma una forza straordinaria, inspiegabile, gli aveva permesso di fare quello che dovevano con una facilità estrema. Di queste confidenze è testimone la madre ed esse sono state riferite a padre Urrutia». Di un’altra strana circostanza, pur confermandola, Luz non vuole parlare, spiega, perché le è stata chiesta riservatezza. La apprendiamo da monsignor Urioste, che ci racconta di come le suore abbiano ritrovato, dopo vari anni, le viscere di monseñor, interrate al momento della imbalsamazione della salma, sorprendentemente intatte. Anche questo episodio è stato documentato, e un’ampolla di quel sangue ancora fresco è stata inviata a Roma.
Per prendere visione della devozione verso Romero basta andare alla sua tomba, ora spostata nella cripta della Cattedrale. Ogni domenica una parrocchia del Salvador viene con i suoi fedeli a celebrare una messa accanto a quel luogo. Ma a pregare Romero si viene anche da soli. E quella tomba, nel tempo, è diventata un luogo di devozione, quella semplice, fatta di preghiere, fiori e lumini. Così Romero continua ad attirare quel popolo che tanto ha amato. A proposito di questa devozione, riportiamo una piccola, semplice storia, che raccogliamo da una testimonianza di Regina Basagoitía riportata nel libro di María López Vigil dal titolo Oscar Romero, un mosaico di luci (Emi). Andando alla tomba di prima mattina, Regina vede un uomo cencioso pulirla con i suoi poveri stracci. Finito, sorride soddisfatto. Regina chiede spiegazioni: «È che io non sono altro che un poveraccio». Spiega lo sconosciuto: «A volte vado in giro per il mercato caricando roba su un carretto, altre volte chiedo l’elemosina e poi magari spendo tutto nell’alcool e smaltisco la sbornia lungo disteso per strada… Però mi faccio sempre coraggio dicendomi: “Sono stronzate, io ho avuto un padre!”. Mi ha fatto sentire una persona umana. Perché a quelli come me lui voleva bene, non gli facevamo schifo. Ci parlava, ci toccava, ci faceva domande, ci dava confidenza. Glielo si vedeva in faccia l’affetto che aveva per me. Come ce l’hanno padre e madre. Per questo pulisco la sua tomba. Come fanno i figli, appunto».
Dice Rosa Chávez: «I martiri danno libertà, e questa è una grazia per la Chiesa. Ma anche per il mondo».


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