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NUOVI BEATI
tratto dal n. 03 - 2000

Io speriamo che me la cavo


Le fughe dalla gente e dai preti che volevano interrogarli, la voglia di continuare a giocare, l’ingenuità e i capricci. I bambini analfabeti di Fatima, che nel 1917 videro quella che poi chiamarono «la signora», vissero questo incontro sempre da bambini. Francesco e Giacinta saranno beatificati il prossimo 13 maggio


di Stefania Falasca


Uno scorcio del tipico paesaggio delle <I>serras</I>, dove i tre pastorelli di Fatima conducevano al pascolo il gregge

Uno scorcio del tipico paesaggio delle serras, dove i tre pastorelli di Fatima conducevano al pascolo il gregge

Avevano escogitato il modo più semplice per cavarsi d’impaccio: svignarsela. Da quando si era sparsa la voce, sempre più gente andava a cercarli... così correvano a nascondersi dietro qualche muretto, in soffitta o sotto il letto.
«Lo vedi, se tu ti fossi stata zitta, tutto questo adesso non sarebbe successo! La colpa è tutta tua...», diceva Francesco a sua sorella Giacinta. E la piccola singhiozzando in un cantuccio: «Ho fatto male... ho fatto male a dire che abbiamo visto quella signora... ma non dirò più niente a nessuno, ve lo prometto!». Anche Lucia era risentita con i suoi compagni di giochi: «Ditemi adesso voi che cosa devo fare. Vogliono per forza che io dica che ho mentito e mia madre non mi ha risparmiato neppure il bastone!». «Oh, insomma! Vediamo un po’... Cosa sarebbe questa roba che voi vedete giù di lì?», chiedeva spazientita la madre di Lucia a sua figlia; eu não sei, mãe, eu não sei, «non lo so, mamma, non lo so». I tre bambini non potevano neppure immaginare, lontanamente immaginare di quale cosa erano diventati testimoni e che cosa quel fatto avrebbe comportato. Già, perché il fatto è, e su questo non si poteva mentire, questo non si poteva proprio negare, che loro quel 13 maggio 1917 a Cova da Iria, mentre stavano giocando, lì al pascolo, in cima a quel pendio, loro «quella signora» l’avevano vista davvero. E gli aveva pure parlato, «quella signora»... e non sapevano proprio dire chi fosse.
Giacinta e Francesco, insieme alla cugina Lucia, sono i pastorelli di Fatima a cui è apparsa la Madonna. Il prossimo 13 maggio Giacinta e Francesco Marto saranno proclamati beati. Due bambini di appena nove e dieci anni, analfabeti. La loro beatificazione sarà la prima di bambini di questa età non martiri. La prima nella storia della Chiesa degli ultimi secoli.
Il decreto della Congregazione delle cause dei santi che riconosce il miracolo ottenuto per loro intercessione è stato emesso il 28 giugno dello scorso anno e la solenne cerimonia di beatificazione, che sarà presieduta da Giovanni Paolo II, si svolgerà a Fatima, dove riposano i resti mortali dei due fratellini. La fama di santità dei due pastorinhos aveva già fatto il giro del mondo subito dopo la loro morte. Ma se non fosse stato per i ricordi scritti lasciati da Lucia sulla loro breve vita, forse nessuno avrebbe pensato di aprire una causa di beatificazione, anche perché a quei tempi la Congregazione delle cause dei santi non aveva ancora decretato il riconoscimento di «esercizio delle virtù in grado eroico» per i bambini. I processi vennero infatti avviati solamente nel 1952. Francesco era morto il 4 aprile 1919 e Giacinta dieci mesi più tardi, il 20 febbraio 1920. Giacinta venne sepolta a Vila Nova de Ourém, il comune a cui appartiene il villaggio di Fatima, e di Francesco si perse addirittura la memoria del punto esatto della sepoltura. Nel settembre 1935 i resti mortali della piccola Giacinta furono rimossi da Vila Nova de Ourém e portati a Fatima. Aperta la bara si vide che il corpo della bambina era rimasto incorrotto. Venne scattata una fotografia e il vescovo di Leiria-Fatima, José Alves Correira da Silva, ne mandò una copia a Lucia, divenuta nel frattempo suora dorotea. Fu questa occasione che indusse il vescovo a ordinare a Lucia di scrivere tutto quello che sapeva sulla vita di Giacinta. Nacque così la Prima memoria, che era pronta a Natale del 1935. Successivamente lo stesso vescovo le ordinò di scrivere anche i suoi ricordi su Francesco e sui fatti avvenuti a Fatima. Il linguaggio di queste memorie è semplicissimo, a volte sgrammaticato, così come semplicissimi e assolutamente normali i due ragazzini.

«Ci disse che la grazia di Dio sarebbe stata il nostro conforto»
Ecco come inizia il racconto di Lucia: «Eccellenza reverendissima, prima dei fatti del 1917, tranne i legami di parentela che ci univano, nessun altro affetto speciale mi faceva preferire la compagnia di Giacinta e Francesco a quella di qualsiasi altro bambino. Anzi, la compagnia di Giacinta diventava a volte assai sgradevole, per il suo carattere troppo permaloso. Il minimo screzio, di quelli che nascono tra bambini quando giocano, era sufficiente per farla restare immusonita, come noi si diceva. Francesco invece non pareva fratello di Giacinta, se non nei tratti del volto. Non era come lei capriccioso e vivace. Era, al contrario, di natura pacifica e arrendevole. Giocava con le lucertole e i serpenti che trovava, li faceva arrotolare attorno a un bastone e poi li infilava nelle cavità delle pietre. Gli piaceva suonare il piffero e anche giocare a briscola, ma perdeva quasi sempre. “Credi di aver vinto tu? E va bene... a me che m’importa!”. Diceva sempre: “Lascia perdere... a me che m’importa!”. E la sua natura pacifica eccitava a volte i nervi della mia eccessiva vivacità».
La vecchia chiesa parrocchiale dove furono battezzati i tre ragazzini; fu demolita nel 1921
e sostituita da una nuova chiesa

La vecchia chiesa parrocchiale dove furono battezzati i tre ragazzini; fu demolita nel 1921 e sostituita da una nuova chiesa

Francesco (che all’epoca aveva nove anni) accompagnava Giacinta (di appena sette) a portare insieme a Lucia le pecore al pascolo; ma lo faceva un po’ per non mandare la sorella da sola, perché si sentiva in dovere di badare a lei essendo più piccola, un po’ perché sapeva che lei voleva più bene a lui che al loro fratello Giovanni. Al pascolo, i bambini, dopo lo spuntino di mezzogiorno, spesso, come si usava, dicevano il rosario, «ma siccome era troppo lungo» ricorda Lucia «e questo ci rubava troppo tempo da dedicare al gioco, avevamo trovato il modo di cavarcela in fretta: si passava i grani dicendo soltanto: “Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria...”. Arrivati alla fine del mistero, dicevamo, con una buona pausa, la semplice parola: “Padre nostro”. Così, in un batter d’occhio, il nostro rosario era bell’e detto!».
Quel 13 maggio era un giorno come tanti altri. Avevano portato le pecore in un campo chiamato Cova da Iria, di proprietà della famiglia di Lucia e, come al solito, tra qualche screzio, stavano giocando a costruire un muretto. Lucia racconta così quello che accadde: «Vedemmo all’improvviso qualcosa come un lampo. “È meglio che ce ne andiamo a casa” dissi ai miei cugini “perché sta lampeggiando. Potrebbe venire un temporale”. “Sì. Andiamo”. E cominciammo a scendere il pendio, spingendo le pecore verso la strada. Arrivati all’incirca a metà pendio, quasi vicino a un grande leccio che c’era lì, vedemmo un altro lampo e, fatti alcuni passi più avanti, vedemmo sopra un’elce una signora, era vestita di bianco e diffondeva una luce più chiara del sole... Sorpresi, ci fermammo. Eravamo così vicini che ci trovavamo dentro alla luce che la circondava o che lei diffondeva. Forse a un metro e mezzo, più o meno, di distanza. Allora quella signora ci disse: “Non abbiate paura. Io non voglio farvi del male”. “Di dove siete?”, le domandai. “Sono del cielo”. “E che cosa volete?”. “Sono venuta a chiedervi che veniate qui sei mesi di fila, il giorno 13 a questa stessa ora. Poi vi dirò chi sono e che cosa voglio. Tornerò qui ancora una settima volta”. “E anch’io andrò in cielo?”. “Sì. Ci andrai”. “E Giacinta?”. “Sì. Ci andrà anche lei”. “E Francesco?”. “Pure, ma dovrà recitare molti rosari”. Poi ci disse di recitare il rosario tutti i giorni e che avremmo avuto molto da soffrire ma che la grazia di Dio sarebbe stata il nostro conforto».
«Nei giorni seguenti» continua Lucia «Giacinta non faceva che ripetere: “Oh ma che bella signora! Quant’era bella! Hai visto com’era buona! Subito ci ha promesso di portarci in cielo...” e poi aggiungeva: “Ora quando diciamo il rosario dovremo dire l’Ave Maria intera e pure il Padre nostro intero”. Solo che non riuscì a tenere per sé quest’affare e lo disse a casa, rompendo così il nostro accordo di non dire niente a nessuno e suscitando la curiosità di tutti».
Francesco invece, che non aveva sentito quello che «la signora» aveva detto, quando le due bambine gli riferirono le sue parole esclamò: «Se mi porta in cielo, io di rosari ne dico quanti gliene pare!».
Durante tutte le apparizioni, infatti, solo Lucia poteva sentire e parlare, Giacinta solo sentiva, Francesco né parlava né poteva sentire, vedeva soltanto. Per questo scrive Lucia: «Francesco pareva non avere al momento la comprensione dei fatti, forse perché non gli era dato di udire le parole che li accompagnavano». Perciò dopo domandava: «Giacinta, senti: a Lucia io ho visto che ha dato l’ostia... ma a noi che ci ha dato?». E quando gli riferivano le cose dette chiedeva, ad esempio: «Chi è l’Altissimo? Che vuol dire: “I cuori di Gesù e Maria sono attenti alla voce delle vostre suppliche”?». «Ottenuta la risposta» commenta Lucia «stava a pensare, ma subito dopo incalzava con un’altra domanda. A volte non sapevamo neanche noi che rispondere, perciò gli dicevamo: “Questo te lo dico domani...” e il giorno appresso, alla prima occasione, ricominciava... Alla fine Giacinta tagliava corto: “Senti, di queste cose qui, parla poco!”». Povero Francesco. Ed è vero che spesso di quello che gli riferivano non capiva un’acca, tanto che quando gli dissero che «la signora» aveva parlato della Russia, lui rispose: «Ma perché mai gli importerà dell’asina di José». Pensava infatti si riferisse all’asina di un tale del paese, che per l’appunto era chiamata “Russia”. Nonostante tutto, mai ebbe il minimo scrupolo: «A me mi basta quello che ho visto. A me mi basta andare in cielo». E fu lui a rassicurare Lucia quando lei ebbe il dubbio che quella visione fosse opera del demonio.

La statua della Madonna condotta in processione davanti al santuario di Fatima

La statua della Madonna condotta in processione davanti al santuario di Fatima

«Il demonio dicono che è bruttissimo e sta sotto terra. Lei è così bella… e l’abbiamo vista salire in cielo!»
Il dubbio a Lucia lo aveva fatto venire il parroco, dopo l’interrogatorio. Ed aveva deciso che al prossimo appuntamento lei non sarebbe andata. «“No. Io non ci vengo. E se quella signora chiede di me, ditele che non vengo perché ho paura che sia il demonio”. Li piantai lì e andai a nascondermi. Dopo cena» racconta Lucia «Francesco ritornò a casa mia, mi chiamò nella vecchia aia e mi disse: “Senti, tu vieni domani?”. “No. Non ci vengo. Ho già detto di no”. “Ma come facciamo ad andare io e Giacinta senza di te? E poi come fai a pensare che è il demonio? Il demonio dicono che è bruttissimo e sta sotto terra. Lei è così bella... e l’abbiamo vista salire in cielo! E poi è già tanto triste per i peccati e se non vieni sarà ancora più triste. Dai, vieni!”. Passati alcuni giorni Francesco mi disse: “Ricordi quella sera? Io non ho dormito per niente. Ho passato tutta la notte a piangere e a pregare la Madonna che ti facesse venire”».
Durante questi mesi, con il diffondersi della notizia, andava sempre più aumentando il numero di persone che si recava sul luogo delle apparizioni e con esso la curiosità ossessiva della gente, le opposizioni, le pressioni, gli interrogatori. «Eravamo come una palla in mano a dei ragazzi» ricorda Lucia «e a tutto questo cercavamo di sottrarci con ogni astuzia e con la fuga». Gli interrogatori poi, specialmente quando a farli erano dei sacerdoti («se ci vedevamo alla presenza di un sacerdote ci preparavamo per offrire a Dio uno dei nostri maggiori sacrifici»), erano per i ragazzini una vera e propria tortura, anche perché la Madonna aveva confidato loro segreti chiedendo di non rivelarli a nessuno. Le loro stesse famiglie cominciarono a mostrarsi ostili. La più infuriata era la madre di Lucia. Spesso rimproverava e picchiava la figlia: «Ma ti pare una cosa da farsi?! Tutta questa gente che corre a Cova da Iria a pregare davanti a un leccio! Imbrogliata dalle vostre fantasie!». E la madre aveva pure le sue ragioni. La gente, infatti, per radunarsi là, calpestava i raccolti che servivano per il sostegno della povera e numerosa famiglia che in seguito a questi fatti fu costretta a vendere il gregge, piombando nella più nera miseria. Così, spesso erano gli stessi familiari a trascinarli davanti alle autorità: «Non dateci più grattacapi! Adesso andate là, dite che avete mentito e tutto finisce qui». Francesco nei momenti più difficili cercava di consolare Lucia: «Lucia, non te la prendere, non ti scoraggiare, la Madonna ha detto che avremmo sofferto... saranno questi i sacrifici... dobbiamo contentarci così». Ma più il tempo passava, più crescevano le pressioni e le minacce, fino a che le autorità civili, che non vedevano di buon occhio simili raduni, preoccupate dei disordini, prima dell’appuntamento del 13 agosto rinchiusero i bambini in prigione con la minaccia di ucciderli. «“Se ci ammazzano che importa” diceva Francesco “e poi non dobbiamo temere, quella signora è nostra amica, ci aiuterà lei...”. Arrivati alla prigione, vedendo che sua sorella piangeva a dirotto si tolse il berretto e si inginocchiò a terra. L’agente di custodia, a vederlo in questo atteggiamento, gli disse: “Cosa stai facendo?”. “Sto dicendo un’Ave Maria perché Giacinta non abbia paura”. I detenuti presenti a questa scena s’intenerirono e restarono in silenzio, qualcuno si mise in ginocchio, mentre noi dicevamo il rosario».
Era intanto arrivato il giorno 13. «Ma ora che non possiamo andare all’appuntamento» diceva Giacinta, «che dite: la Madonna verrà qui in prigione? E se non verrà più... Io voglio tanto rivederla...». Il sindaco alla fine, dopo tante domande capziose per costringerli a rivelare i segreti, dopo tante minacce, spiazzato dalla disarmante semplicità dei bambini, li rispedì a casa.
All’appuntamento del 13 luglio la Madonna aveva mostrato loro la visione dell’inferno. Questa visione impressionò molto i tre bambini, specialmente Giacinta. «Con frequenza» racconta Lucia «si sedeva per terra o su qualche masso e, pensierosa, cominciava a dire: “Come mi fanno pena le anime che vanno all’inferno! E le persone vive lì a bruciare come legna al fuoco...”. E, un po’ tremante, s’inginocchiava con le manine giunte, a dire la preghiera che la Madonna ci aveva insegnato: “O mio Gesù, perdonateci, liberateci dal fuoco dell’inferno, portate in cielo tutte le anime specialmente quelle che hanno più bisogno”». «Francesco invece pareva non pensare ad altro che a consolare la Madonna e nostro Signore che gli erano sembrati tanto tristi. E diceva: “Non hai visto, non hai notato che la Madonna anche nell’ultimo mese era tanto triste, quando ci ha detto che non offendessero Dio nostro Signore, che è già molto offeso? Oh! Quanto vorrei consolarla un po’! Oh! Potessi farli io almeno un po’ contenti!”. Non poche volte lo sorprendevamo dietro un muretto o una macchia dove se n’era andato di nascosto, in ginocchio a pregare, o a “pensare”, come lui diceva, a nostro Signore triste. E se lo chiamavamo lui alzava il braccio e mostrava la corona».
La folla radunatasi il 13 ottobre 1917 
presso il luogo dell’apparizione

La folla radunatasi il 13 ottobre 1917 presso il luogo dell’apparizione

Intanto la gente continuava a cercarli. Erano anche poveri cristi, gente semplice, del popolo, che si raccomandava alle loro preghiere. Giacinta mostrava pena se si trattava di qualche grande peccatore. Francesco, se lo chiamavano per parlare con qualche persona, domandava se erano malati e diceva: «Se sono malati io non ci vado. Non riesco a guardarli, ché mi fanno troppa compassione, però ditegli che io prego per loro».
Nell’ottobre del 1918, un anno dopo l’ultimo appuntamento, Francesco cadde malato. «Durante la malattia» ricorda Lucia «i bambini entravano e uscivano dalla sua stanza con la più grande libertà; gli parlavano dalla finestra... Lui non rimproverava mai nessuno. Davanti alle persone grandi che lo andavano a trovare stava in silenzio e rispondeva a quel che gli domandavano con poche parole. Alcune vicine commentavano un giorno con mia zia e mia madre, dopo essere state un bel pezzo nella stanza di Francesco: “È un mistero che non si riesce a capire! Sono bambini come gli altri, non dicono niente, e vicino a loro si sente un non so che differente da tutti gli altri!”. E questo lo diceva una vicina di mia zia di nome Romana e che diceva di non credere assolutamente nei fatti».

«Sono bambini come gli altri, non dicono niente, e vicino a loro si sente un non so che differente da tutti gli altri»
I medici diagnosticarono a Francesco la febbre spagnola. «Alla vigilia di morire» scrive Lucia «mi disse: “Senti! Io sto molto male, ormai mi manca poco”. “Allora sta bene attento” gli dissi “non ti dimenticare di pregare molto per i peccatori, per il Santo Padre, per me e per Giacinta”. “Va bene, io pregherò, ma senti, queste cose qui chiedile piuttosto a Giacinta, perché io ho paura di dimenticarmene, quando vedrò nostro Signore. E poi, prima di tutto lo voglio consolare”. Un giorno, al mattino presto, sua sorella Teresa viene a chiamarmi: “Vieni in fretta! Francesco sta molto male e dice che vuol dirti una cosa”. Mi vestii in fretta e andai da lui. Chiese alla madre e ai fratelli che uscissero dalla stanza, perché era una cosa segreta quello che voleva dirmi. Uscirono e lui mi disse: “Il segreto è che dovrò confessarmi per fare la comunione e dopo morire. Vorrei che tu mi dicessi se mi hai visto fare qualche peccato e poi che tu andassi a domandare a Giacinta se anche lei mi ha visto farne qualcuno”. “Hai disubbidito qualche volta a tua madre” gli risposi “quando lei ti diceva di stare a casa e tu scappavi e venivi da me o andavi a nasconderti”. “È vero; e questo è uno. Adesso va a domandare a Giacinta se lei ne ricorda qualche altro”. Andai da Giacinta. Dopo aver pensato un po’, mi rispose: “Digli che prima che la Madonna ci apparisse, rubò dieci centesimi al babbo per comprare un’armonica e che quando i ragazzi di Aljustrel tirarono pietre a quelli di Boleiros, anche lui ne tirò qualcuna!”. Quando gli riferii queste parole della sorella, rispose: “Questi li ho già confessati, ma li confesserò di nuovo. Può darsi che è a causa di questi che nostro Signore è così triste...”. Poi mi disse: “Adesso vai alla chiesa, prega Gesù nascosto per me e chiedi al signor priore se viene a confessarmi e a portarmi la comunione”». Francesco infatti desiderava tanto di poter ricevere la prima comunione ma il parroco gliela aveva negata. «Quando tornai dalla chiesa» ricorda Lucia «Giacinta si era alzata, e stava seduta sul suo letto. Appena Francesco mi vide, mi domandò: “Hai pregato Gesù nascosto che il signor priore mi dia oggi la comunione?”. “Sì, gliel’ho chiesto”. “Dopo, in cielo, io pregherò per te”. “Come chiederai? Se proprio l’altro giorno hai detto che non chiedevi”. “Ma quello era per farti portare in cielo tra poco! Ma, se tu vuoi, io chiedo e poi la Madonna fa come le pare”. “Io voglio sì. Tu domanda”. Li lasciai lì e andai a fare le faccende di tutti i giorni. Quando tornai da lui la sera era tanto contento per aver fatto la prima comunione, e quella per lui fu il viatico... Ormai infatti non poteva più pregare e così ci chiese di recitare noi il rosario per lui. Dopo gli chiesi: “Non vuoi nient’altro?”. “No”, rispose con un fil di voce. Poi mi prese la mano e la strinse guardandomi con le lacrime agli occhi...». Francesco morì in quella notte di aprile.
La madre di Giacinta e Francesco depone 
davanti alla commissione nominata nel 1922 
dal vescovo di Leiria all’apertura del processo canonico sugli avvenimenti di Fatima

La madre di Giacinta e Francesco depone davanti alla commissione nominata nel 1922 dal vescovo di Leiria all’apertura del processo canonico sugli avvenimenti di Fatima

Quando dopo tanti anni, nel 1952, venne ritrovata la sua tomba, fu il padre a riconoscere in quei pochi resti rimasti suo figlio. E fu proprio un rosario a permetterne il riconoscimento. In mezzo alle ossa infatti trovarono una corona di centocinquanta grani, come si usavano un tempo in Portogallo. Il padre la riconobbe come quella voluta da Francesco prima di morire, e riferì che il piccolo diceva che se per caso la Madonna si fosse dimenticata di lui, andando di là con quella corona stretta sul cuore Lei lo avrebbe di certo subito riconosciuto.
Giacinta soffrì molto per la morte del fratello. Ben presto anche lei lo avrebbe raggiunto. La febbre spagnola degenerò in pleurite purulenta e Giacinta venne portata in diversi ospedali. A Francesco, prima che lui morisse, aveva fatto questa raccomandazione: «Francesco, non ti dimenticare di fare tanti cari saluti da parte mia a nostro Signore e alla Madonna e digli che io gli voglio tanto bene e digli anche che soffro tutto quello che vogliono per convertire i peccatori e in riparazione del Cuore immacolato di Maria». Ed ebbe a soffrire molto davvero. Aveva nel petto una grande ferita aperta e benché le provocasse orribile dolore, sopportava la medicazione quotidiana senza un lamento, senza mostrare il minimo segno di malessere. «Ciò che le costava di più» ricorda Lucia «erano le visite e gli spossanti interrogatori di persone che la cercavano e dalle quali ora non poteva più nascondersi. Lei dopo mi diceva soltanto: “Oramai mi faceva male la testa a sentire quella gente! Adesso, che non posso più fuggire per nascondermi, offro a nostro Signore tanti di questi sacrifici”. E poi diceva: “Oh, se potessi arrivare fino al Cabeço a dire ancora un rosario alla nostra grotta! Ma ormai non ce la faccio più. Quando vai a Cova da Iria, prega per me. Là non ci vado più di sicuro...” e le lacrime le scorrevano sul viso». Ma la prova più dura doveva ancora venire. «Un giorno mi disse: “La Madonna mi ha detto che vado a Lisbona, in un altro ospedale, che non rivedrò più nemmeno i miei genitori, che dopo molto soffrire morirò sola, ma di non avere paura perché verrà Lei a prendermi e a portarmi in cielo” e piangendo mi abbracciava e diceva: “Non ti rivedrò mai più. Né la mamma, né il papà, né i miei fratelli, non rivedrò più nessuno! Tu là non verrai a visitarmi. Senti: prega per me che muoio sola!”. Per incoraggiarla le dicevo: “Ma che cosa t’importa di morire sola se tanto viene Lei a prenderti?”. “È vero. Ma non so com’è. A volte non mi ricordo che Lei viene a prendermi, solo mi ricordo che muoio sola”. Più volte la vidi baciare con le lacrime agli occhi il crocifisso, lo abbracciava e diceva: “O mio buon Gesù, quanto ti voglio bene! O mio buon Gesù, quanto ti voglio bene! Ora però promettimi che convertirai molti peccatori... perché questo sacrificio è molto grande”. Quando morì sola a Lisbona aveva da poco compiuto nove anni».
«Mirabilis Deus in sanctis suis» disse il vescovo di Leiria in un’omelia sulla tomba dei due bambini a Fatima: «Mirabile è veramente Dio che ha voluto glorificarsi per mezzo di questi due così piccoli bambini, due ragazzini analfabeti, eppure tanto preziosi ai Suoi occhi! A dei poveri bambini è stata concessa misericordiosamente la grazia di vedere e parlare con la Madre di Dio». E concluse non nascondendo la commozione: «Sì. Io voglio terminare con una preghiera accorata a Francesco, il consolatore... che interceda per noi davanti a Gesù Cristo nostro Signore, e un’altra supplica alla piccola Giacinta, l’amica dei peccatori, che interceda per noi presso il Cuore immacolato di Maria, per noi, poveri peccatori».


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