Home > Archivio > 07/08 - 2000 > C’è la Provvidenza che ci guarda le spalle
LA DEVOZIONE DI GIOVANNI...
tratto dal n. 07/08 - 2000

C’è la Provvidenza che ci guarda le spalle


Così Giovanni XXIII spiegava il coraggio e l’apertura della Chiesa verso i problemi che l’umanità in trasformazione pone


del senatore Adriano Ossicini


I miei incontri con papa Giovanni XXIII sono indissolubilmente legati al mio lungo sodalizio, alla profonda amicizia che mi legò a don Giuseppe De Luca.
Don Giuseppe De Luca è stato uno straordinario uomo di cultura, che tra l’altro fondò le Edizioni di Storia e Letteratura, note in tutto il mondo per il particolare valore sul piano storico, letterario e filologico e l’Archivio di storia della pietà. Ma in particolare è stato un prete che ha influito, attraverso un rapporto profondo sul piano religioso e umano, su rilevanti personalità della cultura e della politica, non solo del nostro Paese, e che ha avuto anche un profondo legame sul piano pastorale con gente umile e in crisi, e che pur non essendo un politico, ha avuto un ruolo determinante nella storia politica del nostro Paese e nei rapporti complessi e difficili nel disgelo tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica.
La tomba di Pio IX nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura

La tomba di Pio IX nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura

Ripeto, il mio sodalizio con lui fu lunghissimo e profondo e attraverso di esso passa, almeno in parte, il mio colloquio con tre papi: Pio XII, papa Giovanni e Paolo VI.
Colloquio difficile per un cattolico come me, il cui percorso politico e culturale fu complesso e contrastato per le posizioni assunte e per i tempi in cui lo furono, perché rasentarono spesso il limite di una rottura con l’autorità ecclesiastica o comunque con quello che viene comunemente chiamato il mondo cattolico.
In verità i rapporti più assidui e in qualche modo “conflittuali” furono quelli che ebbi con Pio XII, che cominciarono per la vicinanza che questo Papa aveva con il Pontificio Istituto Sant’Apollinare nel quale mio padre, per evitare che frequentassi scuole fasciste, mi mandò a frequentare il ginnasio e il liceo.
Rapporti contrastati e difficili ma che non impedirono a Pio XII quando io ero in carcere sotto il Tribunale speciale fascista, schedato come sovversivo, di tentare di intervenire in mio favore e non gli impedirono, pur nella contrastata e polemica vicenda della Sinistra cristiana, di essere, comunque, nonostante le polemiche talvolta durissime, profondamente aperto al dialogo. E di questa apertura fu indubbiamente protagonista anche don Giuseppe De Luca, oltre che com’è noto, il mio amico Giulio Andreotti.
Differentissimo fu il mio rapporto con Paolo VI, perché da un lato ero abbastanza affascinato dalla profondità del suo vissuto religioso e, dall’altro, in sostanza “polemico” sul suo “appoggio” determinante all’unità dei cattolici in politica, da me, per ragioni ormai abbastanza note, decisamente avversata.
Ma proprio a Montini è legato il primo ricordo che io ho quando ripenso a papa Giovanni, ricordo legato a una cena offerta al cardinal Montini da don Giuseppe De Luca a casa sua, quando Montini stava partendo da Roma per diventare arcivescovo di Milano.
Si parlava allora del cardinale Roncalli arcivescovo di Venezia e del fatto che don De Luca sarebbe dovuto andare, da lui invitato, a tenere delle conferenze a Venezia.
Eravamo alla vigilia della morte di Pio XII ed io accompagnai a Venezia don Giuseppe che parlò, se non ricordo male, sulla “Pietà veneziana del Trecento”, e fui immediatamente affascinato dalla personalità del cardinal Roncalli.
In quella sede cominciò un’amicizia profonda tra don Giuseppe e colui che poco dopo sarebbe dovuto divenire papa Giovanni XXIII, amicizia che si concluse alla vigilia del Concilio Vaticano II, quando don Giuseppe prematuramente morì mentre papa Giovanni gli aveva dato un incarico decisivo in funzione del futuro Concilio e stava per nominarlo prefetto della Biblioteca Vaticana.
Appunto attraverso don De Luca mi fu possibile avvicinare papa Giovanni e conoscere, tra l’altro, quello straordinario sacerdote che fu sempre a lui vicino, monsignor Loris Capovilla.
Ma in particolare ricordo un’affermazione di don De Luca che definiva papa Giovanni nei termini nei quali mi sembra anche oggi giusto ricordarlo: «Il Papa è un uomo che guarda al futuro, che non ha alcuna paura del mondo moderno, che sente che i problemi della struttura della Chiesa, i problemi della collegialità, del rapporto della curia con i vescovi e in generale i problemi di un nuovo ecumenismo vanno affrontati con coraggio, e che i rischi si devono correre ma che, come mi ha detto più volte, c’è la Provvidenza che… ci guarda le spalle».
Alcune righe di una pagina manoscritta di papa Roncalli tratta da Il giornale dell’anima 
e altri scritti di pietà: «Questo è il mistero della mia vita. Non cercate altre spiegazioni. 
Ho sempre ripetuta la frase di san Gregorio Nazianzeno: “Voluntas tua pax nostra”. 
La tua volontà, o Signore, è la nostra pace. Lo stesso pensiero è contenuto nelle altre parole che mi tennero sempre buona compagnia: oboedientia et pax»

Alcune righe di una pagina manoscritta di papa Roncalli tratta da Il giornale dell’anima e altri scritti di pietà: «Questo è il mistero della mia vita. Non cercate altre spiegazioni. Ho sempre ripetuta la frase di san Gregorio Nazianzeno: “Voluntas tua pax nostra”. La tua volontà, o Signore, è la nostra pace. Lo stesso pensiero è contenuto nelle altre parole che mi tennero sempre buona compagnia: oboedientia et pax»

Papa Giovanni dava indubbiamente una straordinaria impressione di sicurezza, accanto a un singolare coraggio e a una apertura verso i problemi che la società in trasformazione poneva alla Chiesa.
La sicurezza di chi da un lato è profondamente legato alla sua fede ma, dall’altro, non ha paura di affrontare, anche ai limiti di rischi non modesti, i problemi che si pongono alla Chiesa di fronte ad un’umanità in trasformazione, problemi drammatici e spesso, come disse anche Pio XII, «ignoti ad altre età». Inoltre fu aperto anche quotidianamente nei rapporti interpersonali ad un dialogo profondo, vivo e spesso spregiudicato.
Mi ricordo gli incontri tra lui, don Giuseppe De Luca e Manzù, quando fu affidato a Manzù l’incarico di scolpire quella straordinaria porta alla Basilica di San Pietro.
Ma debbo dire che l’incontro più toccante per molti motivi, decisivo almeno per me sul piano umano e anche religioso, fu quello che ebbi con papa Giovanni presso l’ospedale Fatebenefratelli quando venne a trovare don Giuseppe De Luca, morente.
Io, oltre che amico, ero stato per molti aspetti vicino a don Giuseppe anche sul piano medico e psicologico, e quando fu ricoverato per essere operato d’urgenza al Fatebenefratelli, che era stato del resto l’ospedale nel quale mi ero formato come medico, lo assistetti giorno e notte per tutto il tempo della sua drammatica agonia.
Erano le primissime ore di sabato pomeriggio, quando si sparse la voce che stava per arrivare il Papa. Glielo dissi, lo preparai, ma quasi stentava a crederci e tra l’emozione generale avvenne appunto un lungo incontro tra don Giuseppe e papa Giovanni.
Assistetti solo ad una parte dell’incontro per strette ragioni di carattere sanitario.
Gran parte del colloquio stesso riuscii a comprenderlo dai commenti emozionati ed intensi di don Giuseppe.
Ripeto, l’incontro fu lungo, e monsignor Capovilla, anche lui in parte costretto ad aspettare al di fuori della stanza dove don Giuseppe era ricoverato, rimase in silenzio ma profondamente emozionato, dati i grandi legami di amicizia che c’erano tra lui e don Giuseppe.
Poi il Papa uscì ed era commosso. Comunque mi fece una grande impressione la straordinaria sicurezza e serenità che infondeva quest’uomo, oltre il suo indubbio “carisma” religioso; ma in particolare, per quel poco che sentii, in quella camera d’ospedale… incominciava il Concilio!
Quando rimasi solo con don Giuseppe mi resi conto di quanto fosse stato determinante in tutti i sensi per lui questo incontro. Me lo disse esplicitamente: «Vedi, questo è il coronamento di tutta la mia vita non solo perché questo Papa è venuto da me, a trovare un prete che sta male, ma per quel che mi ha detto, per quello che gli ho potuto dire e per come ha accolto le mie parole».
Soggiunse: «Il Concilio sarà proprio lo strumento attraverso il quale un grandissimo Papa aprirà nuovi orizzonti non solo alla Chiesa, ma a tutta l’umanità».
Queste parole, dette con particolare lucidità da questo straordinario prete che stava per morire, mi pare che definiscano in modo chiarissimo la personalità di papa Giovanni.
Per quanto mi riguarda, non solo, come ho detto, questo Papa, con la profonda radicazione della sua fede, con la sua serenità ma anche con il suo coraggio, ha influito in modo determinante sulla mia esistenza, ma debbo dire che sul piano affettivo mi ha profondamente segnato e non posso non ripensarci con grande commozione, come quando con mio figlio Luca, molto piccolo, issato sulle spalle, sentii “quella sera” l’affascinante saluto di un Papa che pur sapeva che la sua giornata terrena si stava per spegnere, ma che stringeva in un grande abbraccio tutti noi romani e non, che stavamo lì ad ascoltarlo guardando, come lui, una bellissima luna che illuminava piazza San Pietro; e ci invitava ad andare a casa a portare ai nostri figli l’abbraccio di un papa.
In fondo, di questo grande Papa tante cose rimangono, ma più di tutto il grande abbraccio con il quale volle che la cristianità si rivolgesse all’umanità sofferente per sostenerne le speranze.


Español English Français Deutsch Português