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STATI UNITI
tratto dal n. 07/08 - 2000

CHIESA CATTOLICA. Incontro con il nuovo arcivescovo di New York

La stessa fede dei martiri di Roma


«Durante l’omelia, il giorno del mio insediamento, ho parlato soprattutto di Roma, della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Le fondamenta di questa chiesa romana sono costituite dalla casa dei due santi che non vollero adorare un dio pagano e per questo vennero martirizzati. E ho ribadito che a fondamento della nostra diocesi ci deve essere la stessa fede di Giovanni e Paolo». Intervista con Edward Michael Egan


Intervista con il cardinale Edward Michael Egan di Gianni Cardinale


Ha passato più della metà della sua vita sacerdotale a Roma. È stato il segretario di due cardinali. Ha vissuto dall’interno i due conclavi del ’78. Ma il ricordo cui tiene di più è quello di una reliquia della Santa Croce che apparteneva a un prete da lui ordinato e che ora si trova incastonata nella sua croce pettorale. Stiamo parlando di Edward Michael Egan, che lo scorso 11 maggio è stato nominato nuovo arcivescovo di New York, in sostituzione del cardinale John Joseph O’Connor, scomparso una settimana prima. Il 18 giugno Egan ha preso possesso della diocesi nella Cattedrale di San Patrizio, ove il giorno successivo ha celebrato la sua prima messa da arcivescovo. Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II gli ha imposto il pallio da metropolita e pochi giorni dopo lo ha ricevuto in udienza “singola”. New York, con i suoi 2,4 milioni di fedeli distribuiti in 413 parrocchie, è la terza diocesi statunitense per numeri. Ma la prima per importanza.
Abbiamo approfittato di questa sua prima permanenza a Roma da arcivescovo, per chiedere un colloquio con monsignor Egan. Subito concesso. Con lui ripercorriamo la sua storia.
«Sono nato ad Oak Park», racconta Egan, «sobborgo di Chicago, dove hanno abitato Ernest Hemingway e il famoso architetto Frank Lloyd Wright. Nel ’54 ero a Roma come seminarista. Ho passato quattro anni al Collegio nordamericano, dove era rettore l’arcivescovo Martin O’Connor, e nel ’58 ho preso la licenza alla Gregoriana. Tornato a Chicago, sono stato aiutante del parroco della Cattedrale Holy Name e poco dopo segretario del nuovo arcivescovo Albert Gregory Meyer, che prima era metropolita di Milwaukee. Nel ’60 monsignor O’Connor chiese due sacerdoti e tornai nella Città eterna con Carl Peter, importante teologo dell’Università cattolica di Washington. Insieme svolgevamo l’attività di ripetitori [assistenti agli studi, ndr] ai seminaristi, io per morale e diritto canonico, lui per la dogmatica. Durante questi anni presi la laurea in diritto canonico alla Gregoriana».

L’arcivescovo di New York, Edward Michael Egan, saluta i fedeli davanti alla Cattedrale di San Patrizio subito dopo la cerimonia 
di presa di possesso canonico della diocesi, il 18 giugno 2000

L’arcivescovo di New York, Edward Michael Egan, saluta i fedeli davanti alla Cattedrale di San Patrizio subito dopo la cerimonia di presa di possesso canonico della diocesi, il 18 giugno 2000

Era l’epoca del Concilio Vaticano II...
EDWARD MICHAEL EGAN: Lo seguivamo ogni giorno molto attentamente. La maggior parte dei cardinali statunitensi che partecipavano alle assise abitavano con noi al Collegio nordamericano. Il cardinale Meyer abitava alla Chicago House di via Sardegna, Spellman a volte in albergo a volte con noi, James Francis McIntyre di Los Angeles sempre con noi, e con noi stava anche il delegato apostolico Egidio Vagnozzi. È come se avessi avuto un posto in prima fila. Ho sentito parlare del Concilio a pranzo e cena con cinque, sei cardinali, con il nunzio e con monsignor Martin O’Connor, un uomo straordinario, che era il capo della commissione che si occupò del primo documento del Concilio, quello sui mezzi di comunicazione sociale. Il cardinale Meyer invece era molto interessato alla questione della libertà religiosa. Ero un giovane sacerdote: ascoltavo, non parlavo molto. Un giorno forse scriverò un libro su questi ricordi.
Nel ’65 è di nuovo a Chicago, segretario del nuovo arcivescovo, John Cody, che nel ’67 viene creato cardinale.
EGAN: In questo periodo ho lavorato molto nel dialogo con i protestanti, con gli ebrei e con gli afro-americani. Ho contribuito ad avviare l’attività della Commissione diocesana per l’ecumenismo e quella per le relazioni sociali con la città. Era l’epoca di Martin Luther King, che veniva spesso a Chicago ad organizzare delle marce per chiedere l’uguaglianza razziale.
Lo incontrò?
EGAN: Sì, molte volte, insieme a Andy Young, perché volevamo assicurarci che le dimostrazioni avessero un carattere pacifico. Ero vicepresidente della “Chicago Conference on Religion and Race”. Questa era la mia vita in quel tempo. Lavoravo sempre con Cody, un arcivescovo che si è occupato di giustizia con grande forza e coraggio.
Nel novembre ’71, poi, il nunzio apostolico, Raimondi, mi telefonò per comunicarmi che volevano il mio ritorno a Roma. Fu una completa sorpresa.
Era più dispiaciuto di abbandonare la sua città o più contento di tornare a Roma?
EGAN: Vorrei sempre fare ciò che la Chiesa domanda. Non ho mai chiesto niente. E non ho mai detto di no. Sono rimasto a Roma per quasi 14 anni. Vivevo a Villa Stritch, in via della Nocetta; all’inizio eravamo, se non ricordo male, quattordici sacerdoti statunitensi a lavorare nella curia romana. Adesso sono di più [solo a Villa Stritch sono 25, ndr].
È stato scritto che nel ’78 lei fu uno dei sacerdoti ammessi all’interno dei due conclavi...
EGAN: I fatti sono questi. Nel ’78, in base alle costituzioni vigenti, un certo numero di uditori della Sacra Rota dovevano assistere al conclave per verificare, diciamo così, la regolarità delle operazioni elettorali. Ricordo che al primo conclave eravamo in otto, tra gli altri c’era anche monsignor Eduardo Davino, oggi vescovo di Palestrina, al secondo eravamo in quattro. È stata un’esperienza molto interessante.
Cosa può dire di quella esperienza?
EGAN: È stata un’esperienza affascinante. Con Karol Wojtyla, Dio ci ha dato un personaggio, un Papa veramente incredibile, un uomo coraggioso, un tipo straordinario.
E di papa Luciani?
EGAN: Sono andato a sentirlo in un paio di cerimonie. Era un’anima bella, veramente pastorale, un tipo originale. Sarebbe stato interessante quel pontificato, ma è successo quello che è successo...
Lei è stato uditore della Rota Romana dal ’71 all’85. I tribunali diocesani statunitensi sono noti per riconoscere la nullità di un alto numero di matrimoni. Qual è il suo giudizio su questa tendenza?
EGAN: Le mie sentenze di quattordici anni sono pubblicate. La mia posizione è abbastanza chiara, ed è espressa in quelle sentenze. Lei può leggerle e farsene un’idea. Non mi sembra giusto entrare nel merito.
Può risparmiarci la fatica?
EGAN: No, no. Studi, studi le sentenze... [Non abbiamo letto le sentenze. Ma un presule statunitense che lo ha fatto ci ha assicurato: «È nota la posizione critica di Egan nei confronti della tendenza dei tribunali ecclesiastici statunitensi a riconoscere nullo un alto numero di matrimoni, specie per “motivi psicologici”», ndr].
Nell’82 era uno dei sei canonisti prescelti per aiutare il Papa nel dare un’ultima revisione al Codice di diritto canonico, promulgato l’anno successivo...
EGAN: È stata un’esperienza molto importante, l’occasione di stare a stretto contatto col Papa. In quella circostanza non ho mancato di dire la mia. Le parti che ho revisionato in particolare sono quelle riguardanti i processi, i sacramenti e il clero. Se qualcuno lo vorrà scrivere e il Vaticano lo concederà, potrebbe essere pubblicato un volume su questa attività, ma probabilmente questo non avverrà.
Nell’85 è stato nominato vescovo ausiliare di New York. Kenneth Woodward su Newsweek ha scritto, maliziosamente, che il cardinale Joseph Bernardin non la volle nella sua Chicago, e che anche il cardinale John Joseph O’Connor a New York non era entusiasta...
EGAN: Sì l’ho letto anch’io. Chissà se questo è vero. Chi può dirlo. Sono andato a New York come vicario per l’educazione. Tutto è andato benissimo. Il cardinale e io abbiamo lavorato insieme senza nessuna difficoltà.
Woodward e altri si rifanno a una lettera di O’Connor al clero di New York...
EGAN: O’Connor forse spiegava in questa lettera che era stato fatto ausiliare un sacerdote che veniva da un’altra diocesi. Ma questi sono scherzi da giornalista. Sul piano della realtà posso ribadire che il cardinale O’Connor era molto contento e molto grato per la mia attività.
Tre anni dopo, nell’88, viene nominato vescovo della diocesi di Bridgeport.
EGAN: È una piccola diocesi che coincide con la contea di Fairfield e che confina con New York. Il 45% della popolazione è registrata nelle parrocchie e i cattolici complessivamente sono più del 60 per cento, 368mila distribuiti in 88 parrocchie. Questa piccola diocesi ha due università cattoliche, entrambe con circa seimila studenti. Il polo di attrazione naturale di questa contea è New York: gran parte dei suoi abitanti lavora nella metropoli, la gente legge il New York Times, le tv sono quelle di New York, per assistere ad un concerto si va a New York... insomma, è quasi un sobborgo di New York, ma in un altro Stato, il Connecticut, dove, come arcivescovo di Hartford c’è monsignor Daniel Anthony Cronin, un mio caro amico da anni, che prima di essere nominato vescovo lavorava a Roma, in Segreteria di Stato. Bridgeport ha un clero straordinario, in undici anni ho ordinato poco meno di sessanta sacerdoti. Quest’anno la diocesi invierà quattro seminaristi al Pontificio Collegio nordamericano. Ci sono settecento laici che si alternano davanti al Santissimo Sacramento, nella cappella del “pre-seminario”, giorno e notte, ogni ora, per pregare per le vocazioni. Anche in altre parrocchie sta crescendo il culto dell’eucarestia.
Lo scorso anno a Washington, durante la riunione della Conferenza episcopale statunitense, c’è stata una lunga discussione sull’importanza della centralità del tabernacolo all’interno delle chiese. Negli ultimi decenni si è assistito al tentativo di relegarlo in posizione marginale all’interno degli edifici sacri.
EGAN: All’inizio e alla fine di ogni celebrazione eucaristica ricordo ai fedeli che durante il sacrificio della messa il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo sono realmente e veramente presenti sull’altare. E ho cominciato a fare questo anche nella Cattedrale di San Patrizio a Manhattan. Riguardo alla questione della posizione del tabernacolo: in Connecticut non è un problema importante perché nella maggior parte delle chiese le cose sono state lasciate come erano. È vero comunque che per il resto degli Stati Uniti, per l’Ovest e il Midwest, è un problema.
Il New York Times ha fatto notare che lei è uno dei cinque vescovi che fanno parte del Bishops Advisory Board della Catholic Alliance, la costola cattolica della conservatrice Christian Coalition...
EGAN: Monsignor James Thomas McHugh, ora vescovo di Rockville Centre e prima a Camden, un giorno mi ha chiesto per telefono se ero disposto ad aiutarlo nell’appoggiare non la Christian Coalition ma un’Alleanza cattolica impegnata specialmente sulla questione dell’aborto e dell’eutanasia. Lui è un mio amico da anni e gli ho detto telefonicamente: se posso aiutarti lo faccio senz’altro. Non ho dato più peso a questo fatto fino a quando, tempo dopo, ho visto in una rivista il mio nome tra i vescovi che appoggiano questa Alleanza.
I mass media hanno sottolineato la parte antiabortista della sua omelia tenuta durante la sua prima messa da arcivescovo di New York a San Patrizio, il 19 giugno.
EGAN: Non è proprio così. Durante l’omelia ho parlato soprattutto di Roma e della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Ho ricordato che le fondamenta di questa chiesa romana sono costituite dalla casa di questi due santi che non vollero adorare un dio pagano e per questo vennero martirizzati. E ho ribadito che a fondamento della nostra diocesi ci deve essere la stessa fede di Giovanni e Paolo. Poi ho fatto alcune domande, e una di queste era: possiamo noi accettare che l’essere dentro la mamma possa essere ucciso anche se nessuno può provare che non è un essere umano con un inalienabile diritto a vivere? La risposta a questa domanda era: no. Questo è stato l’unico riferimento alla questione dell’aborto nell’omelia.
A questo punto, raccontano le cronache, ci sono stati 45 secondi di applausi con alcune eccezioni: sono state notate quella del senatore Chuck Schumer e del candidato-senatore Hillary Rodham Clinton...
EGAN: Non ho fatto caso a chi applaudiva e a chi no. Un applauso più importante, però, lo ha avuto il cardinale Law nella stessa Basilica durante l’omelia per i funerali di O’Connor [quando Law ha ricordato la convinzione di O’Connor che la Chiesa deve essere «pro-life senza ambiguità», quella volta ci fu una standing ovation di due minuti, ndr].
Lei venne ordinato vescovo, unico statunitense ad avere questo onore, dal cardinale Bernardin Gantin, allora prefetto della Congregazione per i vescovi. La cerimonia fu celebrata nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio. Perché questa scelta?
EGAN: Era quasi una scelta obbligata. Perché era la chiesa titolare degli ultimi tre cardinali di New York: Francis Spellman, Terence Cooke e O’Connor. La mia prima messa la celebrai a Sant’Agnese fuori le Mura, di cui era titolare il cardinale Samuel Stritch, arcivescovo di Chicago fino al ’58.
Lei ha avuto tre grandi predecessori. Quali sono le caratteristiche di ciascuno che più l’hanno impressionata?
EGAN: Ho conosciuto tutti e tre. Tre personalità diversissime, ma ciascuna ha dato qualcosa alla Chiesa. Spellman era un ottimo amministratore: si può dire che lui, in un certo senso, ha costruito l’arcidiocesi. Cooke era un sant’uomo, tanto che è stato iniziato il processo di beatificazione. O’Connor era un uomo forte, parlava apertamente.
Il suo predecessore ha introdotto la causa di beatificazione di Dorothy Day, una delle figure più significative del laicato cattolico statunitense impegnato nel sociale.
EGAN: Tra le molte lettere (più di duemila) che ho ricevuto per la mia nomina, c’è anche chi mi ha scritto su questo argomento. Non ho studiato bene la questione. Dorothy Day è stato un personaggio molto importante. Ricordo quando, giovane sacerdote, ho letto la sua biografia. La sua figura è un esempio dell’importanza della giustizia sociale non solo nelle parole ma nei fatti. Dorothy Day viveva la giustizia. L’America è ricca, ma quanti poveri!
Quello che colpisce chi visita gli Stati Uniti e New York in particolare è lo stridore tra la grande opulenza e le sacche di povertà e di emarginazione che pure esistono. Un fenomeno che, per ora, in Italia ancora non si verifica, almeno in questi termini.
EGAN: Vero. Il giorno della presa di possesso canonica ho tenuto un’altra omelia e l’ho dedicata ad un giovane sacerdote che ha ricevuto la vocazione dopo aver assistito ad un episodio di violenza e di pietà accaduto proprio a New York. Credo che questo sia più importante di tutte le domande sui cardinali e sulla Catholic Alliance.


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