Il “Trofeo” di Paolo
In occasione dei restauri della Basilica sorta a Roma sulla tomba dell’Apostolo delle genti, sono state compiute alcune esplorazioni sotterranee. Dopo la fine dell’anno giubilare sarà forse possibile studiare il modo di rendere visibile e visitabile per i fedeli il luogo preciso della sepoltura
di Lorenzo Bianchi
Nella seduta pubblica della
Pontificia Accademia romana di Archeologia del 27 aprile scorso, è
stata presentata da Giorgio Filippi, assistente per la raccolta epigrafica
dei Monumenti, musei e gallerie pontificie, una relazione su alcune
indagini compiute durante gli scorsi anni nell’area della Basilica di
San Paolo fuori le Mura in occasione dei lavori di restauro per
l’anno giubilare. Si è trattato di una sintetica illustrazione
delle esplorazioni avvenute in cinque distinti luoghi: tre sotto il
pavimento della navata destra, uno sotto quello della navata sinistra e uno
sotto la zona del transetto, a sinistra dell’altare. Non si è
trattato di veri e propri scavi archeologici, ma di ripulitura e riesame di
alcune cavità in parte già note in conseguenza di lavori che
vennero effettuati nel 1959 e nel 1971. I risultati esposti nella relazione
rivestono ancora carattere preliminare e provvisorio, mentre sono previste
nuove indagini dopo la fine dell’anno giubilare, che saranno forse
integrate da qualche saggio di scavo. Si attende inoltre, per una
più dettagliata considerazione di quanto rilevato, la pubblicazione
degli atti della seduta. Da questa prima illustrazione si è comunque
potuto comprendere che alcuni nuovi dati, anche se ancora frammentari,
potranno ora essere disponibili per lo studio della storia della Basilica,
della topografia antica del luogo, della consistenza del sepolcreto attorno
al luogo della memoria di Paolo e del suo sviluppo nei primi secoli
dell’era cristiana, quale luogo privilegiato di sepoltura accanto
alla tomba dell’Apostolo delle genti. In particolare, sono stati
verificati i rapporti tra la quota attuale e una serie di quote antiche,
che sarà interessante confrontare con quanto conosciamo da fonte
archivistica, cioè in particolare dagli schizzi tracciati nel 1838
dall’architetto Virginio Vespignani in occasione dei lavori di
ricostruzione della Basilica.
Si riaprono così, anche se in maniera per ora
occasionale e limitata, le indagini materiali sulla storia edilizia della
Basilica sorta sulla sepoltura di Paolo di Tarso lungo la via Ostiense, da
circa due millenni meta del continuo pellegrinaggio di fedeli. La Basilica
attuale, come è noto, è la ricostruzione quasi fedele di
quella che fu distrutta dall’incendio scoppiato il 26 luglio del
1823, e sostanzialmente, nello schema architettonico, lo stesso edificio
risalente alla fine del IV secolo, epoca in cui gli imperatori Valentiniano
II, Teodosio e Arcadio lo edificarono. La Basilica dei tre imperatori
sostituì, con un nuovo assetto, quella costruita ai tempi di
Costantino, della quale in realtà sappiamo molto poco, nonostante
l’ipotesi ricostruttiva fattane dall’architetto Paolo Belloni
nel 1853 (ipotesi che si basa unicamente sul ritrovamento di una parte di
struttura absidale di corto raggio nell’area dell’attuale
transetto). E molto poco sappiamo anche della memoria di Paolo, sepolto
sotto l’attuale altare dopo il martirio subìto ad Aquas
Salvias. Della sua presenza vi è testimonianza nelle parole del
presbitero Gaio che, alla fine del II secolo, nominano (come per la
sepoltura di Pietro) un trópaion, termine che allude alle spoglie
fisiche del martire, che sono “trofeo di vittoria”. La
catastrofe dell’incendio avrebbe certo potuto essere un’ottima
occasione per una migliore conoscenza del sepolcro di Paolo, che, a quanto
sembra, non fu danneggiato dal fuoco; ma questo non avvenne. Durante i
lavori di ricostruzione, Vespignani, che ebbe modo di vedere che cosa si
trovava in quel luogo, si limitò (prima che la zona venisse chiusa e
sistemata come si vede adesso) a tracciare degli schizzi con appunti che,
seppur numerosi, sono in vario modo confusi e non permettono certo di
comprendere esattamente a quale quota si colloca l’arca sepolcrale da
lui disegnata, e che rapporti precisi abbia con le murature e la topografia
circostante. I disegni di Vespignani sono conservati nella Biblioteca di
Palazzo Venezia; e tutta la situazione da lui vista, se si dà
credito alle sue misurazioni, dovrebbe essersi conservata intatta a una
quota di meno di due metri e mezzo da quella dell’ultimo gradino
dell’altare maggiore. A partire dal basso, dovrebbero trovarsi il
«loculo difeso da inferriata» (la quale forse potrebbe essere
in connessione con il sacco dei Saraceni dell’846, dopo il quale
Benedetto III, come dice il Liber Pontificalis [ed. Duchesne, II, p. 245],
«sepulcrum, quod a Saracenis destructum fuerat, perornavit»,
«adornò magnificamente il sepolcro, che era stato distrutto
dai Saraceni»), che appare poggiare, negli schizzi, su di una base
che all’esterno reca l’iscrizione SALUS POPULI («salvezza
del popolo»); sopra di esso, la lastra di marmo in più pezzi
con l’iscrizione, forse del IV secolo, che reca l’iscrizione
PAULO APOSTOLO MART («a Paolo apostolo e martire») e tre fori
(praticati in tempi diversi e probabilmente utilizzati nel corso dei secoli
per ottenere un contatto diretto con le reliquie del martire). È
augurabile che, come proposto più volte, e in tempi recenti anche su
queste pagine (cfr. gli articoli apparsi nei numeri di aprile 1997, pp.
32-39, e di giugno 1997, pp. 56-63), si possa affrontare nuovamente, una
volta terminato l’anno giubilare, il problema di una puntuale
conoscenza delle primitive fasi della Basilica e della memoria paolina. Una
conoscenza che, naturalmente dopo una precisa riconsiderazione dei problemi
topografici della zona, della documentazione di Vespignani, di quella
relativa ai lavori di ricostruzione e ai piccoli interventi che sono stati
compiuti nel corso di questo secolo, degli studi geologici sull’area
in questione, e infine arricchita dai dati emersi nelle indagini presentate
ad aprile, potrebbe ottenere definitive conferme da alcuni saggi
nell’area del transetto della Basilica, da compiersi dopo attenta e
meditata progettazione.
Ma prima ancora di questo, potrebbe veramente essere utile a tutta la comunità dei fedeli indicare e rendere il più possibile visibile il luogo preciso della sepoltura di Paolo; un luogo che, dopo essere stato per secoli meta di continui pellegrinaggi, è oggi trascurato, perché ignoto, anche dalla maggior parte di coloro che si recano in visita alla Basilica. Dunque renderlo visibile; e contemporaneamente dare ai fedeli, come nel passato, la possibilità di una maggior vicinanza alla memoria dell’Apostolo. Per questo sarebbero sufficienti alcuni semplici interventi, già da lungo tempo proposti dai maggiori studiosi dell’antichità cristiana: il primo, sostituire le lastre marmoree e le grate ai lati dell’altare centrale con dei cristalli, così che si possa vedere l’epigrafe che copre il sepolcro di Paolo; il secondo, la rimozione dell’altarino di San Timoteo che copre, nell’attuale cripta semianulare, la memoria paolina (il corpo di san Timoteo si trova nella Cattedrale di Termoli, e di lì proviene l’altarino, che quindi non è pertinente alla Basilica); infine, permettere l’accesso alla cripta anche riaprendone eventualmente l’intero percorso circolare, che, come noto, venne chiuso nella maniera che oggi si vede a seguito della ricostruzione ottocentesca dopo l’incendio.
L’altare della Confessione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura
Ma prima ancora di questo, potrebbe veramente essere utile a tutta la comunità dei fedeli indicare e rendere il più possibile visibile il luogo preciso della sepoltura di Paolo; un luogo che, dopo essere stato per secoli meta di continui pellegrinaggi, è oggi trascurato, perché ignoto, anche dalla maggior parte di coloro che si recano in visita alla Basilica. Dunque renderlo visibile; e contemporaneamente dare ai fedeli, come nel passato, la possibilità di una maggior vicinanza alla memoria dell’Apostolo. Per questo sarebbero sufficienti alcuni semplici interventi, già da lungo tempo proposti dai maggiori studiosi dell’antichità cristiana: il primo, sostituire le lastre marmoree e le grate ai lati dell’altare centrale con dei cristalli, così che si possa vedere l’epigrafe che copre il sepolcro di Paolo; il secondo, la rimozione dell’altarino di San Timoteo che copre, nell’attuale cripta semianulare, la memoria paolina (il corpo di san Timoteo si trova nella Cattedrale di Termoli, e di lì proviene l’altarino, che quindi non è pertinente alla Basilica); infine, permettere l’accesso alla cripta anche riaprendone eventualmente l’intero percorso circolare, che, come noto, venne chiuso nella maniera che oggi si vede a seguito della ricostruzione ottocentesca dopo l’incendio.