Dall’omelia pronunciata durante la presa di possesso canonico della diocesi nella Cattedrale di San Patrizio
«Ho bisogno di far parte di ciò che ho visto con i miei occhi»
Dall’omelia tenuta dell’arcivescovo Edward Michael Egan il 18 giugno, giorno della presa di possesso canonico della diocesi di New York nella Cattedrale di San Patrizio. Il neoarcivescovo di New York non fa nomi, ma il sacerdote cui si riferisce è padre Jon Bokron, ordinato sacerdote nel ’91 e morto di leucemia l’anno successivo.
di Gianni Cardinale
«Questo pomeriggio, qui, nella Cattedrale di San Patrizio, in
occasione della cerimonia della presa di possesso canonica, mi piace
raccontarvi un fatto su un giorno, in particolare, di quei tre anni e mezzo
[da vescovo ausiliare di New York]. Spiegherò, forse, perché
considero una grazia immensamente meravigliosa il mio ritorno in questa
arcidiocesi come vostro vescovo .
Era un infuocato sabato pomeriggio. Mi recai ad Highbridge, nel South Bronx, a ordinare cinque giovani diaconi per la Congregazione di religiosi fondata da Madre Teresa di Calcutta. Madre Teresa aveva stabilito una residenza per i suoi futuri diaconi in uno dei nove stabili che formavano la parrocchia del Sacro Cuore in Highbridge. Quelli di voi che conoscono New York capiscono perché Madre Teresa abbia scelto Highbridge: perché è una delle comunità più bisognose della città.
Subito dopo l’omelia sul Vangelo del giorno, ci
fu la cerimonia dell’ordinazione, e quindi mi avvicinai
all’altare per l’offertorio. Il caldo era intenso. Tutte le
porte della chiesa neogotica erano spalancate, nel tentativo di cogliere
anche la più piccola brezza. Improvvisamente, dal fondo della chiesa
vennero una serie di grida. Tutti si girarono e videro un uomo di circa 30
anni che veniva avanti nella navata. Il suo volto era coperto di sangue.
Sventolava in aria una maglietta insanguinata, e nel frattempo implorava
aiuto tra grida e pianti. Alla fine della navata inciampò, cadde e
batté la testa sul primo gradino che porta al tabernacolo. Madre
Teresa e due sue suore si alzarono e con l’aiuto di due uomini che mi
assistevano all’altare sollevarono l’uomo e lo portarono
gentilmente in sacrestia.
Io temporeggiai meglio che potetti fino a che le grida e i pianti si placarono. A cose fatte Madre Teresa e le due suore tornarono al loro posto e la cerimonia andò avanti come se nulla fosse successo.
Alla fine della messa presi con me le mie cose e andai nella sacrestia per congratularmi con i nuovi diaconi, per salutare Madre Teresa e per ringraziare il parroco della cortese assistenza sua e dei due uomini che mi avevano aiutato sull’altare.
Un giovane mi seguì mentre stavo andando via verso una uscita laterale della chiesa. “Ha la macchina?” mi chiese. “No”, risposi, “sono venuto in metropolitana”. “Dove abita?” continuò. “Sulla First Avenue, all’altezza della 34ma strada”, replicai. “Posso darle un passaggio?”. “Certamente”, replicai, “questo caldo è tremendo”.
Quando arrivammo di fronte alla mia residenza il giovane mi chiese se potevamo conversare.
“Devo parlare con qualcuno” mi disse. “Ero nella sacrestia quando vi hanno portato quell’uomo insanguinato. Era stato picchiato duramente e il suo linguaggio era terribile. Ma mai nella mia vita avevo visto qualcosa di simile al modo in cui è stato trattato. Madre Teresa e le due suore, il parroco e i due laici sono stati meravigliosi. Hanno calmato l’uomo. Gli hanno lavato via il sangue. Gli hanno trovato una maglietta pulita e gli hanno procurato un posto per dormire la notte. Tutto quello che Gesù Cristo aveva insegnato. Era tutto quello, padre, che Gesù Cristo aveva insegnato”.
Egli si fermò un attimo per controllare le sue emozioni e continuò: “Sto facendo un mucchio di soldi in Borsa”, disse. “Ma ho bisogno di far parte di ciò che ho visto con i miei occhi in quella sacrestia. Il denaro non basta. Ho bisogno di qualcosa di più”.
Lo invitai nella residenza dei preti a riposo dove vivevo e continuammo a parlare. Gli dissi della necessità di catechisti per le parrocchie della diocesi, di aiutanti per le nostre scuole, di volontari per le nostre opere di carità, di ministri per l’eucarestia negli ospedali e negli ospizi. Egli trascrisse alcuni dei miei suggerimenti, e poi se ne andò. Non mi aspettavo di vederlo più.
Qualche anno dopo fui trasferito alla diocesi di Bridgeport. E un giorno il giovane che mi aveva dato un passaggio dopo quella ordinazione si fece vivo nel mio ufficio. Non aveva potuto dimenticare quello che aveva visto nella sacrestia della parrocchia del Sacro Cuore del Bronx. Aveva ancora bisogno di far parte di quella realtà. Aveva visto con i suoi occhi una realtà di compassione, tolleranza, comprensione evangelica.
Ci siamo incontrati parecchie volte. Alla fine lo mandai al seminario e l’ho ordinato sacerdote della diocesi di Bridgeport. Un sacerdote portato all’altare di Dio dalla gentilezza e dalla santità di cui si era stupito in una parrocchia dell’arcidiocesi di New York.
Questa è la comunità di fede che ho avuto modo di conoscere durante i tre anni e mezzo qui tra voi: un popolo le cui realizzazioni possono non ottenere le prime pagine dei quotidiani e i servizi di apertura dei tg serali, ma nondimeno un popolo di immensa, tranquilla, umile bontà.
Ed ecco ciò di cui sto entrando a far parte: una comunità di fede la cui compassione e il cui offrirsi in sacrificio può colpire il cuore di un giovane che sta facendo una fortuna a Wall Street; una comunità di fede che combatte a caro prezzo per educare i propri figli non solo in campo accademico ma anche e specialmente in campo spirituale; una comunità di fede che offre le sue risorse finanziarie e umane per assistere i bisognosi di ogni tipo; una comunità di fede che conserva gli insegnamenti del Figlio di Dio con fiducia e tenacia; una comunità di fede che resiste contro forze immensamente potenti e difende eroicamente il bambino nel seno della madre, l’anziano nell’ospizio, il malato e il disabile; una comunità di fede che vede ogni essere umano come una immagine di Dio e rigetta tutte le forme di discriminazioni, maltrattamenti e crudeltà; una comunità di fede che si raccoglie attorno ai 413 altari delle sue parrocchie per adorare Dio, per ringraziarlo delle benedizioni ricevute, per cercare la sua premura, per implorare il suo perdono. In poche parole: un popolo nobile, una Chiesa santa.
Sono tentato di credere che san Paolo aveva in mentre voi quando scrisse le parole della Lettura odierna. Voi state veramente perseverando in una splendida unità. Voi siete veramente un corpo fondato su una sola speranza in un solo Signore, una sola fede, un solo Dio e Padre di tutti noi. E sono immensamente privilegiato di unirmi a voi in tutto ciò.
Non c’è da meravigliarsi che il mio cuore sia pieno di gratitudine al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo per la grande grazia di venire a servire nell’arcidiocesi di New York. Non c’è da meravigliarsi se colgo l’occasione ogni volta che posso di ringraziare il nostro Santo Padre Giovanni Paolo II per la sua nomina. Non c’è da meravigliarsi se sto umilmente davanti a tutti e a ciascun sacerdote, diacono, religioso, laico in questa bella cerimonia per annunciare che vengo solo per servire voi e tutte le comunità dei tre distretti [Manhattan, Bronx e Staten Island, ndr] e delle sette contee dell’arcidiocesi di New York. Vengo con gioia per servire al meglio delle mie possibilità. Ho visto il vostro lavoro meraviglioso. Sono onorato di diventare una parte di voi in Gesù Cristo, nostro Signore.
Permettetemi una breve postilla. Il giovane che ordinai per la diocesi di Bridgeport, prevenendo spiritualmente dall’arcidiocesi di New York, era una delle persone più sane che abbia mai incontrato. Tuttavia, un anno dopo la sua ordinazione fu colpito dalla leucemia e dopo mesi di sofferenza, tornò a Dio. Gli sono stato vicino per ore in un ospedale di New Haven durante i suoi ultimi giorni, e ho sentito intensamente la sua perdita. Un anno dopo, nel quarantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, i seminaristi della diocesi di Bridgeport mi hanno regalato questa croce pettorale. Vi hanno incastonato una reliquia della vera croce di Gesù Cristo, che era appartenuta al giovane sacerdote e che egli voleva farmi avere.
Indosso questa croce solo nelle cerimonie liturgiche più importanti della mia vita. Essa mi ricorda quel giovane che pochi anni fa decise con la grazia di Dio di scegliere una vita di santità e compassione. Ma di più, mi ricorda un altro giovane, che quasi duemila anni fa ha reso queste scelte possibili con la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione. È la mia ispirazione. È la mia forza. È, soprattutto, ciò che io porto con me all’arcidiocesi di New York».
Era un infuocato sabato pomeriggio. Mi recai ad Highbridge, nel South Bronx, a ordinare cinque giovani diaconi per la Congregazione di religiosi fondata da Madre Teresa di Calcutta. Madre Teresa aveva stabilito una residenza per i suoi futuri diaconi in uno dei nove stabili che formavano la parrocchia del Sacro Cuore in Highbridge. Quelli di voi che conoscono New York capiscono perché Madre Teresa abbia scelto Highbridge: perché è una delle comunità più bisognose della città.
Egan pronuncia l’omelia durante la celebrazione della presa di possesso canonico della diocesi di New York nella Cattedrale di San Patrizio
Io temporeggiai meglio che potetti fino a che le grida e i pianti si placarono. A cose fatte Madre Teresa e le due suore tornarono al loro posto e la cerimonia andò avanti come se nulla fosse successo.
Alla fine della messa presi con me le mie cose e andai nella sacrestia per congratularmi con i nuovi diaconi, per salutare Madre Teresa e per ringraziare il parroco della cortese assistenza sua e dei due uomini che mi avevano aiutato sull’altare.
Un giovane mi seguì mentre stavo andando via verso una uscita laterale della chiesa. “Ha la macchina?” mi chiese. “No”, risposi, “sono venuto in metropolitana”. “Dove abita?” continuò. “Sulla First Avenue, all’altezza della 34ma strada”, replicai. “Posso darle un passaggio?”. “Certamente”, replicai, “questo caldo è tremendo”.
Quando arrivammo di fronte alla mia residenza il giovane mi chiese se potevamo conversare.
“Devo parlare con qualcuno” mi disse. “Ero nella sacrestia quando vi hanno portato quell’uomo insanguinato. Era stato picchiato duramente e il suo linguaggio era terribile. Ma mai nella mia vita avevo visto qualcosa di simile al modo in cui è stato trattato. Madre Teresa e le due suore, il parroco e i due laici sono stati meravigliosi. Hanno calmato l’uomo. Gli hanno lavato via il sangue. Gli hanno trovato una maglietta pulita e gli hanno procurato un posto per dormire la notte. Tutto quello che Gesù Cristo aveva insegnato. Era tutto quello, padre, che Gesù Cristo aveva insegnato”.
Egli si fermò un attimo per controllare le sue emozioni e continuò: “Sto facendo un mucchio di soldi in Borsa”, disse. “Ma ho bisogno di far parte di ciò che ho visto con i miei occhi in quella sacrestia. Il denaro non basta. Ho bisogno di qualcosa di più”.
Lo invitai nella residenza dei preti a riposo dove vivevo e continuammo a parlare. Gli dissi della necessità di catechisti per le parrocchie della diocesi, di aiutanti per le nostre scuole, di volontari per le nostre opere di carità, di ministri per l’eucarestia negli ospedali e negli ospizi. Egli trascrisse alcuni dei miei suggerimenti, e poi se ne andò. Non mi aspettavo di vederlo più.
Qualche anno dopo fui trasferito alla diocesi di Bridgeport. E un giorno il giovane che mi aveva dato un passaggio dopo quella ordinazione si fece vivo nel mio ufficio. Non aveva potuto dimenticare quello che aveva visto nella sacrestia della parrocchia del Sacro Cuore del Bronx. Aveva ancora bisogno di far parte di quella realtà. Aveva visto con i suoi occhi una realtà di compassione, tolleranza, comprensione evangelica.
Ci siamo incontrati parecchie volte. Alla fine lo mandai al seminario e l’ho ordinato sacerdote della diocesi di Bridgeport. Un sacerdote portato all’altare di Dio dalla gentilezza e dalla santità di cui si era stupito in una parrocchia dell’arcidiocesi di New York.
Questa è la comunità di fede che ho avuto modo di conoscere durante i tre anni e mezzo qui tra voi: un popolo le cui realizzazioni possono non ottenere le prime pagine dei quotidiani e i servizi di apertura dei tg serali, ma nondimeno un popolo di immensa, tranquilla, umile bontà.
Ed ecco ciò di cui sto entrando a far parte: una comunità di fede la cui compassione e il cui offrirsi in sacrificio può colpire il cuore di un giovane che sta facendo una fortuna a Wall Street; una comunità di fede che combatte a caro prezzo per educare i propri figli non solo in campo accademico ma anche e specialmente in campo spirituale; una comunità di fede che offre le sue risorse finanziarie e umane per assistere i bisognosi di ogni tipo; una comunità di fede che conserva gli insegnamenti del Figlio di Dio con fiducia e tenacia; una comunità di fede che resiste contro forze immensamente potenti e difende eroicamente il bambino nel seno della madre, l’anziano nell’ospizio, il malato e il disabile; una comunità di fede che vede ogni essere umano come una immagine di Dio e rigetta tutte le forme di discriminazioni, maltrattamenti e crudeltà; una comunità di fede che si raccoglie attorno ai 413 altari delle sue parrocchie per adorare Dio, per ringraziarlo delle benedizioni ricevute, per cercare la sua premura, per implorare il suo perdono. In poche parole: un popolo nobile, una Chiesa santa.
Sono tentato di credere che san Paolo aveva in mentre voi quando scrisse le parole della Lettura odierna. Voi state veramente perseverando in una splendida unità. Voi siete veramente un corpo fondato su una sola speranza in un solo Signore, una sola fede, un solo Dio e Padre di tutti noi. E sono immensamente privilegiato di unirmi a voi in tutto ciò.
Non c’è da meravigliarsi che il mio cuore sia pieno di gratitudine al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo per la grande grazia di venire a servire nell’arcidiocesi di New York. Non c’è da meravigliarsi se colgo l’occasione ogni volta che posso di ringraziare il nostro Santo Padre Giovanni Paolo II per la sua nomina. Non c’è da meravigliarsi se sto umilmente davanti a tutti e a ciascun sacerdote, diacono, religioso, laico in questa bella cerimonia per annunciare che vengo solo per servire voi e tutte le comunità dei tre distretti [Manhattan, Bronx e Staten Island, ndr] e delle sette contee dell’arcidiocesi di New York. Vengo con gioia per servire al meglio delle mie possibilità. Ho visto il vostro lavoro meraviglioso. Sono onorato di diventare una parte di voi in Gesù Cristo, nostro Signore.
Permettetemi una breve postilla. Il giovane che ordinai per la diocesi di Bridgeport, prevenendo spiritualmente dall’arcidiocesi di New York, era una delle persone più sane che abbia mai incontrato. Tuttavia, un anno dopo la sua ordinazione fu colpito dalla leucemia e dopo mesi di sofferenza, tornò a Dio. Gli sono stato vicino per ore in un ospedale di New Haven durante i suoi ultimi giorni, e ho sentito intensamente la sua perdita. Un anno dopo, nel quarantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, i seminaristi della diocesi di Bridgeport mi hanno regalato questa croce pettorale. Vi hanno incastonato una reliquia della vera croce di Gesù Cristo, che era appartenuta al giovane sacerdote e che egli voleva farmi avere.
Indosso questa croce solo nelle cerimonie liturgiche più importanti della mia vita. Essa mi ricorda quel giovane che pochi anni fa decise con la grazia di Dio di scegliere una vita di santità e compassione. Ma di più, mi ricorda un altro giovane, che quasi duemila anni fa ha reso queste scelte possibili con la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione. È la mia ispirazione. È la mia forza. È, soprattutto, ciò che io porto con me all’arcidiocesi di New York».