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MEDIO ORIENTE
tratto dal n. 11 - 1999

La questione palestinese


Una carrellata degli avvenimenti decisivi nella storia politica della Palestina in questo secolo. Pubblichiamo l’intervento del nostro direttore al terzo Congresso internazionale Il Volto dei Volti, Cristo. Roma, 30 ottobre 1999


di Giulio Andreotti


È giusto che sia stato posto tra i temi di questo terzo Congresso internazionale almeno un accenno alla situazione attuale della terra di Gesù; non certo per confondere la sacralità degli studi sul Volto di Cristo con le vicende politiche della Palestina moderna tuttora alla ricerca di un modello di convivenza pacifica.
Gioverà qui, nel brevissimo tempo di cui dispongo, ricapitolare la sequenza degli avvenimenti lasciando, se Dio vuole, ai congressi dei prossimi anni la verifica se le prospettive di cui oggi parliamo abbiano la auspicata evoluzione.
È dell’agosto 1897 il Congresso sionista di Basilea durante il quale si formalizzò il disegno di ricostituire uno Stato nazionale giudaico; una aspirazione coltivata da tempo in seno a piccoli gruppi idealisti, che peraltro cinque anni prima avevano cominciato – sotto la spinta di un duro pogrom nella Russia meridionale – a dar vita a sporadiche colonizzazioni.
Il primo ministro israeliano Ehud Barak e il leader palestinese Yasser Arafat durante il loro primo incontro al checkpoint di Erez al confine tra Israele e la striscia di Gaza, l’11giugno 1999

Il primo ministro israeliano Ehud Barak e il leader palestinese Yasser Arafat durante il loro primo incontro al checkpoint di Erez al confine tra Israele e la striscia di Gaza, l’11giugno 1999

Anima del movimento fu il giornalista Theodor Herzl che riuscì rapidamente a organizzare nel mondo centri di propaganda e cospicue raccolte di danaro. Possiamo chiederci quale sarebbe stato il corso degli eventi se la “base” ebraica non avesse respinto la proposta del ministro inglese delle colonie, Chamberlain, (che Herzl aveva accettato), di concentrare la raccolta degli ebrei in Uganda. L’emigrazione verso la Palestina – legalmente vietata dalla legge turca e ostacolata dagli arabi – registrò una certa intensità, sia pure in modo disordinato, a partire dal 1907 sotto la spinta del dottor Weizmann, futuro presidente dello Stato.
La prima guerra mondiale costituì una svolta decisiva. Il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri inglese Balfour dichiarava ufficialmente il favore e prometteva l’appoggio alla costituzione di un “Focolare nazionale” in Palestina. La dichiarazione Balfour fu incorporata nel mandato sulla Palestina che nel 1922 veniva affidato alla Gran Bretagna. Attraverso la Jewish Agency furono via via acquistati terreni e messi in piedi i kibbutz, con grandi flussi migratori legati specialmente alla persecuzione antisemita della Germania hitleriana. Si realizzava un forte miglioramento agricolo, si allestivano industrie e sorgevano centri urbani di cui il più importante era Tel Aviv. Statisticamente gli ebrei superarono il 30 per cento della popolazione, mentre le proprietà dell’Agenzia arrivavano a 1300 chilometri quadrati, pari al 17 per cento del territorio. La convivenza dei due gruppi era contrassegnata da non poche violenze, con una posizione inglese progressivamente favorevole ai nativi e con il dichiarato intento di abbandonare la Palestina alla scadenza del mandato (15 maggio 1948). Il 29 novembre 1947, anche sotto l’enorme spinta emotiva che aveva suscitato nel mondo l’incredibile Olocausto, l’Assemblea generale dell’Onu adottò il piano della spartizione della Palestina in due Stati autonomi. L’Inghilterra rinunciava formalmente al mandato e il 14 maggio 1948 venne proclamato lo Stato di Israele. Lo Stato arabo invece non vide mai la luce. Viceversa sette Stati arabi invadevano i territori israeliani, respinti però dalla controffensiva di Israele che riconquistava il Negev e la Galilea. L’anno successivo si insediava la prima Assemblea parlamentare israeliana (Knesset) e lo Stato di Israele veniva ammesso nell’Onu, capitale Tel Aviv. Gerusalemme restava divisa in due: la città nuova in mani israeliane e la città vecchia presieduta dagli arabi, compresa la gran parte dei Luoghi Santi. Era ed è un punto fortemente dolens, ma io ritengo che debba essere risolto al termine della sistemazione del resto. Farne una questione preliminare significa a mio avviso bloccare il processo. L’idea dell’internazionalizzazione, cui Pio XII dedicò ben tre lettere encicliche nel 1948-49, non ha trovato accoglimento.
Procedo ora per sommi capi.
1956 Crisi di Suez e campagna del Sinai. Dopo il boicottaggio egiziano (chiusura del canale di Suez e del porto di Eilat) e le incursioni dei feddayin, gli israeliani sferrano l’attacco. Segue un’azione franco-britannica condannata dall’Onu. Dopo la minaccia di intervento sovietico, le truppe franco-inglesi si ritirano. Israele conquista Eilat e costringe gli egiziani alla resa. Le forze dell’Onu occupano Porto Said. L’anno dopo Israele evacua il Sinai ed una missione di osservatori Onu si posiziona ai confini con l’Egitto.
1958 Egitto e Siria fondano la Repubblica Araba Unita.
1964 Nasce l’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
1967 Guerra dei sei giorni: Israele contro Egitto, Siria e Giordania. Dopo l’armistizio, i territori conquistati (striscia di Gaza, penisola del Sinai, Cisgiordania e alture siriane del Golan) restano sotto occupazione israeliana e Gerusalemme viene unificata. Dopo la guerra dei sei giorni l’Unione Sovietica rompe le relazioni diplomatiche con Israele. Il Consiglio di sicurezza approva, il 22 novembre, la fondamentale Risoluzione 242: si afferma che Israele doveva ritirarsi dai territori occupati; viene riaffermata la sovranità di tutti gli Stati della regione e il loro diritto a vivere in condizioni di pace all’interno di frontiere sicure e riconosciute. Risoluzione rimasta disattesa.
1970 “Settembre nero” in Giordania. La Legione araba soffoca nel sangue la dissidenza palestinese, che si sposta nel Libano meridionale.
1973 Guerra dello Yom Kippur. Egitto e Siria attaccano simultaneamente Israele. Dopo due settimane la guerra termina. Israele ed Egitto firmano un armistizio che prevede uno scambio di prigionieri. Viene approvata la Risoluzione 338 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che invita i belligeranti a cessare il fuoco e ad applicare la Risoluzione 242.
1978 Con la Risoluzione 425, il Consiglio di sicurezza dell’Onu intima a Israele di ritirarsi dal sud del Libano e dispone l’invio in quella zona dei caschi blu. Colloqui tra Anwar al-Sadat, presidente dell’Egitto e Menachem Begin, primo ministro di Israele a Camp David, sotto l’egida del presidente americano Carter: con uno storico compromesso si decide il ritiro graduale delle truppe israeliane dal Sinai. L’anno dopo viene firmato a Washington il Trattato di pace tra Egitto e Israele e l’Egitto viene espulso dalla Lega araba.
1980 Con la Dichiarazione sul Medio Oriente del Consiglio europeo di Venezia (proposta Genscher-Colombo) viene riconosciuto il diritto all’autodeterminazione palestinese.
1981 Assassinio del presidente egiziano Sadat.
1982 Comincia l’operazione “Pace in Galilea”. Israele invade il Libano, le truppe israeliane entrano a Beirut ovest; strage di civili nei campi di Sabra e Shatila ad opera di falangisti cristiani. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede all’unanimità a Israele la cessazione dei bombardamenti su Beirut. A fine settembre gli israeliani lasciano Beirut e ritorna la Forza multinazionale di pace.
1982 Il leader dell’Olp Arafat è accolto a Roma (Conferenza dell’Unione interparlamentare) e si pronuncia per una via negoziale. Usa e Inghilterra continuano a considerarlo un terrorista e gli negano il visto d’ingresso. L’Onu per ascoltarlo deve spostarsi a Ginevra.
1985 L’aviazione israeliana distrugge il quartier generale dell’Olp a Tunisi: 60 vittime.
1987 Sanguinosa repressione di manifestanti palestinesi nei territori occupati: inizia l’intifada (“guerra delle pietre”).
1991 Scoppia la guerra del Golfo. Paradossalmente, la guerra ridistribuisce le carte in Medio Oriente e riattiva il processo di pace. A Madrid si apre la Conferenza di Pace arabo-israeliana. Saggiamente il presidente siriano Assad propone che la soluzione di tutte le controversie sia simultanea: il che come vedremo non è accaduto.
1992 Dopo il rapimento e l’assassinio di una guardia di frontiera israeliana da parte di integralisti palestinesi di Hamas, Israele espelle in Libano un forte gruppo di palestinesi. Con la Risoluzione 799, il Consiglio di sicurezza dell’Onu intima a Israele di far rientrare i palestinesi espulsi i quali, respinti dalle autorità libanesi, si erano dovuti accampare al di là della fascia di sicurezza nel Libano del sud.
1993 L’annuncio di un accordo tra Israele e Olp, dopo dieci mesi di trattative segrete in Norvegia, coglie tutto il mondo di sorpresa. Olp e Israele si riconoscono reciprocamente. In linea di principio si sancisce l’autonomia di Gerico e della striscia di Gaza. A Washington si tiene la cerimonia della firma. Arafat non è più sgradito e stringe la mano a Rabin, in un momento esaltante di eurovisione. Il piano di pace prevede il ridispiegamento dell’esercito israeliano dai centri abitati, l’istituzione di una polizia palestinese, l’elezione di un Consiglio con poteri legislativi ed esecutivi, l’avvio del trasferimento delle competenze. L’attuazione e la definizione dei contenuti di tale piano vengono demandate a un accordo successivo sull’autonomia (cosiddetto interim agreement). Riservate all’ultima fase del negoziato restano invece le questioni più spinose: lo status definitivo dei territori, Gerusalemme, i rifugiati palestinesi, la sicurezza, gli insediamenti e gli accordi con Paesi terzi.
1994 Firma del Trattato di pace tra Israele e Giordania. Firma degli Accordi del Cairo che sanciscono l’avvio dell’autonomia palestinese a Gaza e Gerico. Viene dato il via al processo di edificazione istituzionale nel cui ambito viene istituita l’Autorità palestinese presieduta dallo stesso Arafat. La trattativa per un rapido trasferimento di poteri nel resto della Cisgiordania da Israele ai palestinesi ha portato successivamente alla firma degli accordi di Erez il 29 agosto 1994 sul passaggio in Cisgiordania di alcuni fondamentali poteri civili – quali il controllo dell’apparato amministrativo, del sistema sanitario, dell’istruzione e della raccolta delle imposte. Il completamento relativo ha avuto luogo alla fine del mese di novembre con il passaggio all’Autorità palestinese delle competenze in materia di sistema fiscale e sanitario.
1995 Accordo interinale sul passaggio alla seconda fase dell’autonomia palestinese (Taba, 24 settembre). Tale accordo è stato preceduto da una intensa fase negoziale, ripetutamente interrotta da sanguinosi episodi di terrorismo. La cerimonia della firma si è svolta il 28 settembre 1995 a Washington.
A novembre il primo ministro Rabin viene assassinato da un estremista ebreo della destra religiosa.
1996 Con la Dichiarazione del Consiglio europeo di Firenze viene riaffermato con grande solennità il diritto all’autodeterminazione palestinese.
1997 Accordo sul ridispiegamento israeliano dalla città di Hebron, siglato nella notte tra il 14 e il 15 gennaio e formalmente sottoscritto il 17 gennaio. Nelle “lettere di garanzia” del segretario di Stato americano Christopher (che formano parte integrante dell’accordo stesso) si indicava nel 31 agosto.
1998 la data limite per il completamento dei ritiri israeliani dalla West Bank.
1998 Accordi di Wye Plantation (23 ottobre). Intervenuto dopo diciotto mesi di stallo negoziale, e dopo otto giorni di contatti diretti israelo-palestinesi con l’attivo coinvolgimento degli Stati Uniti e del defunto re Hussein di Giordania, il Memorandum firmato a Wye Plantation (Maryland) non si limitava a risolvere la questione del secondo ridispiegamento israeliano dalla West Bank ma tracciava una scaletta dei futuri obblighi a carico di entrambe le parti. Si trattava, in sostanza, di un’intesa globale che, oltre all’attuazione dei punti degli accordi interinali rimasti finora disapplicati, segnava l’avvio del negoziato sullo “status finale” (che avrebbe dovuto teoricamente chiudersi entro il 4 maggio 1999), e prevedeva che l’Autorità palestinese – come del resto Arafat aveva annunciato già a Roma nel 1992 – cancellasse dalla Carta dell’Olp le clausole che prevedevano la distruzione di Israele. Sono stati inoltre regolati in modo dettagliato i meccanismi di sicurezza tra le parti per la lotta al terrorismo.
1999 L’Unione europea adotta in occasione del Consiglio europeo di Berlino del 24 marzo, una Dichiarazione sul Medio Oriente che ha avuto il tacito placet degli Stati Uniti, e che ha di fatto fornito ad Arafat una solenne “garanzia internazionale” circa la validità del suo diritto a proclamare lo Stato palestinese anche oltre la scadenza del 4 maggio.
Il 5 settembre viene concluso il Memorandum d’intesa di Sharm el-Sheikh, il quale, elaborato grazie anche alla costante mediazione egiziana, ha costituito il presupposto per l’attuazione delle intese interinali ancora pendenti – e in particolare degli Accordi di Wye Plantation, rimasti pressoché inattuati per volontà dell’ex premier israeliano Netanyahu – e, al contempo, ha rappresentato il trampolino di lancio dei negoziati sullo status finale dei Territori palestinesi, formalmente avviati il 13 settembre 1999. Il Memorandum prevede che tali negoziati, intervallati dalla presentazione di accordi-quadro sui temi oggetto di trattativa (Gerusalemme, acque, confini e rifugiati) già nel febbraio 2000, debbano concludersi alla data del 13 settembre dello stesso anno 2000.
Questo è lo status quaestionis per quel che attiene al rapporto Israele-Palestina, mentre restano insoluti i problemi con la Siria e con il Libano; oltre la già sottolineata delicatissima questione di Gerusalemme.
Mi è tornata spesso alla mente, lungo tutti questi anni, seguendo da vicino le tormentate vicende del Medio Oriente, l’immagine di Gesù che piange dinanzi agli eventi della sua terra.
Ma sarebbe davvero fuori strada chi si rassegnasse interpretando nel modo sbagliato l’annuncio che nell’economia dell’Incarnazione non vi fosse una prospettiva di pace ma di guerra. È peraltro indubbio che vi è una sola via attraverso la quale il mondo possa pacificarsi. Per questo, nel concludere, voglio collegare il tema della pace a quanto abbiamo oggi qui ascoltato sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso. Vi è una profonda connessione, perché sarebbe vano sperare in una soluzione non conflittuale in questa area se non si realizzassero anelli, sia pur piccoli, di mutua comprensione e rispetto tra ebrei, cristiani e musulmani. Gli accordi internazionali e le leggi civili sono sicuramente necessari, ma non sufficienti per assicurare la pace.
Sotto questo profilo, tra i giorni signandi albo lapillo vanno certamente inclusi quelli della recente instaurazione di rapporti diplomatici della Santa Sede sia con Israele che con l’Autorità palestinese. Essendoci già queste relazioni con Egitto, Giordania, Libano e Siria non vi sono più zone di incomunicabilità. E per una non effimera connessione ricorderò anche la recentissima creazione (1998) di una nunziatura a Tripoli e di una ambasciata libica in Vaticano.
Spero che non mi si consideri un clericale se attribuisco a questo una importanza che va ben oltre le convenzioni protocollari.
Pur non dissimulandomi gli ostacoli enormi da superare, conservo la speranza sulla possibilità di pace di cui ho cercato di tracciare il difficilissimo cammino.


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