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RIFORMA SCOLASTICA
tratto dal n. 11 - 1999

L’alunno e la sua strada


Alcune osservazioni sui problemi organizzativi ed educativo-pedagogici che il sistema scolastico dovrà affrontare con il riordino dei cicli dell’istruzione


di Luciano Lorenzi


È in prima lettura al Senato della Repubblica Italiana la “Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione” nel testo approvato dalla Camera dei deputati il 23 settembre 1999. Tale disegno di legge, n. 4216, attende ora il pronunciamento del Senato, che finalmente è chiamato ad apportare in fase legislativa vera e propria il suo originale contributo propositivo.
In qualità di presentatore del d.d.l. 560 del 24 maggio 1996, titolato “Legge quadro per un riordinamento graduale dell’istruzione scolastica ed universitaria”, già atto del Senato n. 1566 del 30 marzo 1995 nella XII legislatura, e per il quale la rivista 30Giorni aveva ospitato un ampio articolo illustrativo (La riforma del “tre”) nel n. 5 del maggio ’97, non posso nascondere la mia profonda soddisfazione per il progresso maturato nell’avanzamento di una così difficile proposta politica di riforma, che solo con il coinvolgimento generale dell’opinione pubblica e il contributo delle più svariate realtà istituzionali del Paese, poteva ambire ad approdare con successo, per la traduzione in legge, all’esame costruttivo e integrativo di tutto il Parlamento.
Foto di Robert Doisneau tratta dal libro Les doigts pleins d’encre, Editions Hoëbeke, 1989

Foto di Robert Doisneau tratta dal libro Les doigts pleins d’encre, Editions Hoëbeke, 1989

Ciò premesso, resta da affrontare tutto l’impegnativo iter del provvedimento nella cosiddetta Camera alta, cioè in Senato, nel pieno riconoscimento del fondamentale contributo di avvio dato dalla Camera dei deputati.
Per entrare nel merito più dettagliato di tutta la materia in questione, nell’attuale fase legislativa, sono naturalmente necessarie osservazioni diverse inerenti sia al problema educativo-pedagogico che a quello più propriamente organizzativo che dovrà affrontare il sistema scolastico in toto. Soffermandoci particolarmente sul secondo, anche perché più immediato e attinente alle finalità della proposta legge quadro, vorrei richiamarmi preliminarmente alle diverse considerazioni svolte nell’interrogazione parlamentare (4-15711) del 1 luglio 1999. Esse, in sintesi, riferendosi allo schema ordinamentale contenuto nell’atto del Senato n. 560, tendono a evidenziare quanto segue:
1) l’impostazione rigorosamente basata tutta su cicli triennali, dalla materna, o scuola dell’infanzia, fino al dottorato, oltre all’obbligo fino ai 15 anni, tiene conto sia della situazione contingente relativa all’attuale dimensionamento delle istituzioni scolastiche italiane sia della necessità di un raccordo a livello europeo sull’obbligo, sull’età di diploma secondario a 18 anni e sul riconoscimento della completezza del ciclo triennale, come esplicitato nella direttiva 89/48/Cee che sanziona formazioni professionali con durata minima di 3 anni;
2) il proposto ciclo triennale elementare, dopo il precedente materno a carattere pseudoobbligatorio, è da concepirsi in termini di contrazione dell’attuale ciclo quinquennale elementare attraverso una riduzione vantaggiosa a livello pedagogico del numero di alunni per classi, e quindi attraverso un corrispondente aumento del numero di classi e insegnanti per ciascuno dei 3 anni del ciclo, onde permettere: a) un netto miglioramento della qualità e potenzialità del servizio didattico, oggi divenuto particolarmente pesante e dispersivo anche per la sopravvenuta maggiore eterogeneità delle classi, oltre che per la continua crescita di stimoli ed esigenze; b) il mantenimento della istituzione elementare, pur come primo ciclo della scuola di base, e quindi di tutta la logistica relativa sul piano strutturale edilizio ed organizzativo;
3) il proposto ciclo triennale di media inferiore va letteralmente a sostituirsi all’attuale scuola media, come secondo ciclo di base, che nella nuova versione avrebbe bisogno solo di ridefinirsi nella programmazione soprattutto a causa dell’anticipazione all’età di 9 anni dell’inizio del ciclo, senza doversi caricare di alcun problema logistico strutturale;
4) i due proposti cicli triennali della scuola secondaria, il primo di scuola media superiore obbligatoria e il secondo di diploma, presuppongono una non difficile dilatazione di un solo anno dell’attuale ciclo quinquennale delle superiori, in un momento di relativa contrazione del numero di studenti, senza generare insormontabili problemi sul piano logistico per il reperimento delle aule necessarie al nuovo anno addizionale, il sesto, rispetto ai cinque del passato;
5) il problema dei contenuti, così controverso già in passato quanto di difficile definizione, sia per il carattere di continua evoluzione e dinamicità degli stessi nella società moderna sia per le sensibili differenziazioni presenti nelle diverse regioni d’Italia, non fa e non può far parte della presente riforma ordinamentale – anche in rispetto alle «esigenze dell’autonomia e del decentramento» sancite dall’art. 5 dell’attuale Costituzione italiana – ma dev’essere demandato a organi regionali, sulla base di norme o direttive generali (art. 33 della Costituzione) ed essenziali nell’enunciazione, concernenti i requisiti minimi dei vari livelli, emesse a livello nazionale ed europeo, tenuto conto del più ampio e omogeneo contesto della comunità internazionale occidentale.
In definitiva, quanto sopra esposto vuole evidenziare il carattere di maggiore compatibilità con l’attuale ordinamento strutturale, e quindi di economicità soprattutto dei due proposti cicli triennali, elementare e medio inferiore, rispetto al complesso unificato di scuola di base in 7 anni, come previsto dal d.d.l. 4216, per il quale i problemi di riconversione dimensionale e riorganizzazione in nuovi segmenti appaiono indubbiamente di più difficile soluzione e onerosità.
Un ulteriore elemento di perplessità può sorgere dal richiamo al comma 4 dell’art. 1, sempre del provvedimento già approvato dalla Camera dei deputati, sull’estensione dell’obbligo in prospettiva fino al compimento del diciottesimo anno di età. Infatti, per essere l’Italia un Paese che fino a ieri costituiva il vero fanalino di coda in Europa col minor numero d’anni di scuola obbligatoria – solo 8 – il salto che sembra delinearsi, di un 9+6 dalla materna al diploma, è davvero spropositato se non del tutto irrealistico nel medio periodo. Al tempo stesso lo spostamento del carattere di pseudoobbligatorietà dalla scuola d’infanzia a quella di diploma o avvio al lavoro appare quasi come una scelta di priorità fra due stagioni formative molto lontane fra loro e per nulla paragonabili per importanza. Oggi dalla scienza si conosce quanto sia efficiente in termini di apprendimento il periodo dell’infanzia, e quindi si ha coscienza altrettanto bene della delicatezza e crucialità della fase di crescita ed educazione infantile. È pertanto fondamentale riconoscere di dover riservare la massima attenzione possibile, soprattutto assicurando l’alta qualità e la professionalità del corpo docente, a questo strategico momento della scuola d’infanzia come primo e irreversibile passo della formazione della persona nella società e per la società. Codeste argomentazioni, se colte, non possono quindi che indurci a ritenere più importante una dilatazione dell’obbligo verso l’età infantile piuttosto che in quella del dopo adolescenza, anche in virtù del rispetto della conquistata possibilità di scelta all’età di 15 anni delle varie opzioni di proseguimento disponibili, che in quanto libere da scegliere con merito sulla base delle esperienze e dei risultati conseguiti nel lungo periodo di 12 anni di formazione scolastica obbligatoria non differenziata e senza sbarramenti, non possono certo diventare obbligatorie subito dopo essere state liberamente scelte, o in assenza di una precisa volontà di scelta e impegno, o addirittura in mancanza della sufficiente capacità personale.
In altri termini, non si può decidere che debba essere obbligatorio qualcosa di eccessivamente indeterminato, se non a costo di perpetuare l’ennesimo equivoco all’italiana come quello dell’“esservi nulla di più definitivo del precario”, che in questo caso si tradurrebbe nell’“esservi nulla di più discrezionale dell’obbligatorio”.
A questo punto della discussione, dopo il tentativo di critica costruttiva che si è cercato di effettuare, viene forse la parte più piacevole, cioè quella degli elogi al costrutto del provvedimento 4216 nel suo complesso, a partire dall’eccellente cappello dell’articolo 1, comma 1 (vedi box). Si dà infatti il caso che tale costrutto risulti essere particolarmente elastico e aperto, e quindi suscettibile di ricezione delle più svariate e diverse esigenze. La sua compatibilità con l’impostazione basata tutta su cicli triennali del d.d.l. 560 richiede, ad esempio, la sola approvazione di 3 brevissimi emendamenti atti a sostituire rispettivamente i sette in sei anni all’articolo 3, i cinque in sei anni al comma 1 dell’articolo 4 e i due in tre anni al comma 3 dello stesso articolo, a parte il comma 4. Infatti tutte le altre norme della riforma sono demandate al programma quinquennale dell’art. 6, che il governo dovrà presentare al Parlamento per l’attuazione progressiva dei nuovi cicli.
C’è quindi da ben sperare; o almeno c’è da credere che lo sforzo congiunto fin qui effettuato abbia sortito l’effetto sperato, vale a dire quello del raggiungimento della necessaria sensibilizzazione generale e quindi anche della conseguente pubblica accettazione di un atto di vera e propria rivoluzione del sistema scolastico italiano.



Atto del Senato 4216 - art. 1

Sistema educativo di istruzione e di formazione

Comma 1. Il sistema educativo di istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà territoriali.


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