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RIFORMA SCOLASTICA
tratto dal n. 11 - 1999

Crescendo crescendo


Tutte le tappe previste dalla riforma Berlinguer. Quando arriva, per lo studente o la famiglia, il momento di scegliere


di Maria Grazia Pagano


Sono fra coloro che considerano l’avvenuta approvazione da parte della Camera del testo della legge quadro del riordino dei cicli dell’istruzione come una tappa fondamentale per la piena realizzazione del programma di politica scolastica del governo.
Si tratta di un elemento essenziale della riforma della scuola italiana, una scuola nel suo insieme ancora legata a un vetusto modello “gentiliano”, in larga misura non più adeguato ai bisogni di un Paese con una scolarizzazione di massa. Una scuola che da tempo sforna professioni non più in linea con le richieste del mondo del lavoro.
Con questo progetto di riforma ci si propone sostanzialmente di modulare in due cicli (rispetto agli attuali tre) – uno di base della durata di sette anni e uno superiore della durata di cinque anni – un percorso scolastico rigoroso ma flessibile, in grado di dare al cittadino una forte preparazione di base, tale da consentirgli poi di affrontare al meglio le varie fasi della sua vita professionale.
La riforma dei cicli approvata dalla Camera realizza un generale riordino di carattere ordinamentale e programmatico, mette a regime l’estensione della formazione generale obbligatoria già oggetto di due recenti provvedimenti legislativi, istituisce un raccordo tra la formazione generale e quella professionale e postula che elementi importanti del “fare” e dell’”operare” entrino nella formazione generale di tutti i giovani; si raccorda infine a un nuovo sistema di formazione postsecondaria fondato sulla scuola e realizzato in collaborazione con le imprese, con le università, con le regioni e con le autonomie locali.
Credo che non possa sfuggire a nessuno, neppure a una opposizione che non ignori le reali esigenze del Paese e le anteponga alle schermaglie elettoralistiche e di bandiera, l’importanza del fatto che si sia giunti a questo risultato dopo che nei mesi scorsi il Senato ha approvato il disegno di legge sulla parità scolastica e dopo la presentazione da parte del governo del piano sulla formazione che prevede l’impegno di 36mila miliardi entro il 2006 per la realizzazione del sistema integrato della formazione.
Il testo sulla riforma dei cicli colloca la fine dell’obbligo scolastico al termine del primo biennio del ciclo superiore, cioè al compimento dei 15 anni di età. In tal modo l’obbligo scolastico risulta formalmente definito di nove anni. Avremmo preferito che il decimo anno di obbligo previsto dalla legge n. 9/98 fosse speso nel terzo anno della scuola dell’infanzia. Ciò purtroppo non è stato e ne prendiamo responsabilmente atto. Ci auguriamo solo che, in una fase più avanzata di realizzazione della riforma, tale opzione possa essere opportunamente riconsiderata.
Per intanto è molto importante che il testo in esame preveda un impegno per la generalizzazione della scuola dell’infanzia a tutti i bambini di età compresa tra i tre e i sei anni.
Ci anima da sempre (mi riferisco a quella parte della sinistra che si ritrova oggi nei Democratici di sinistra) e ci distingue dall’opposizione la volontà di attrezzare un sistema scolastico delle opportunità e delle differenze, non classista e non discriminatorio, che rafforzi il cittadino nelle sue competenze e nelle sue autonomie e che non ricostruisca sotto mentite spoglie un sistema piramidale e gerarchico dell’istruzione.
Ci ha divisi e ci divide dalle posizioni del Polo la concezione di fondo del ruolo che deve svolgere un sistema formativo rispetto alla possibilità di accesso e di frequenza che esso deve assicurare a tutte le giovani generazioni a prescindere dalle condizioni economiche e sociali di partenza.
In questa vicenda ci siamo divisi sul punto che prevede per tutti i giovani la frequenza obbligatoria fino a 15 anni di una scuola secondaria di formazione generale. L’opposizione, variamente articolata, in sostanza rivendica semplicemente un’uscita verso la formazione professionale a 13 anni, sia pur con la possibilità di spendervi due anni del percorso scolastico obbligatorio.
Un altro punto di dissenso è costituito dalla previsione di un ciclo unitario settennale per la scuola di base.
Rispetto ad altre ipotesi, il ciclo più lungo resta, secondo noi, l’ambito migliore entro il quale prevenire anche il fenomeno della dispersione scolastica, sia perché con il debito formativo è possibile recuperare le insufficienze sia perché vengono in una certa misura attenuati i momenti di rottura tra un ciclo e l’altro.
All’interno della riforma organica dei cicli riteniamo infatti che possano trovare più spazio e opportunità di essere risolti molti di quei drammatici effetti in termini di bocciature e di abbandoni, di conseguimento della licenza media con il minimo profitto, che hanno sinora segnato in negativo le statistiche italiane.
Il ciclo dell’istruzione secondaria viene a configurarsi con una durata di cinque anni e un’articolazione in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale, a loro volta ripartite in indirizzi.
Al termine del ciclo secondario, che in sintonia con quanto accade già negli altri Paesi europei viene a coincidere con il diciottesimo anno di età, gli studenti dovranno sostenere l’esame di Stato, che permetterà l’accesso all’istruzione universitaria o a corsi di istruzione postsecondaria o di formazione professionale avanzata.
Se queste sono le “intenzioni” della riforma, francamente non riesco a comprendere il significato di molte delle critiche che sono state fino a questo momento avanzate.
Si può legittimamente, a mio parere, dissentire da un progetto – è accaduto così anche per i nuovi esami di Stato – per ragioni di principio e prima del suo concreto realizzarsi, salvo poi prendere atto responsabilmente che le preannunciate catastrofi non si sono verificate. Anche nel caso della riforma dei cicli, non riesco a spiegarmi la superficialità di quanti le attribuiscono a priori caratteristiche così drammaticamente dirompenti il sistema tradizionale dell’istruzione.
Certamente il cambiamento che essa evoca sarà radicale ma non si è sereni quando si dice che una delle linee direttrici della filosofia che ispira il quadro d’insieme della riforma si identifica con una sorta di totalitarismo educativo. Ci si preoccupa in definitiva che la famiglia e le altre istituzioni deputate all’educazione siano di fatto espropriate delle loro funzioni. Ci si preoccupa della sostituzione dell’educazione sociale all’educazione domestica. Ricordo che questa polemica è molto vecchia e, a mio parere, priva di qualsiasi fondamento. L’ultima sua versione, a livello di agitazione, risale al 1991, ai tempi della riforma della scuola elementare. Perché non tenere conto in questa circostanza degli orientamenti e delle scelte operate da molte scuole private che hanno arricchito i tradizionali contenuti e orari con interessanti formule di tempo pieno e di integrazione scolastica?
Un altro dei filoni ricorrenti nella polemica che si è sviluppata intorno al riordino dei cicli scolastici riguarda, più che i contenuti, le modalità della sua realizzazione. Ci si preoccupa che allo scarno articolato in discussione in Parlamento succeda poi, a suo completamento, un diluvio di circolari incoerenti ed approssimative. In definitiva la riforma approvata in Parlamento sarebbe poi altra cosa da quella che successivamente prenderebbe corpo sul campo. L’articolo 5 del disegno di legge prevede che il governo presenti e discuta in Parlamento un programma quinquennale di attuazione. Ciononostante si è detto e si continua a dire che in tal modo si è voluto svuotare ogni prerogativa del Parlamento! Mi pare vero esattamente il contrario: la discussione parlamentare che si sta verificando sulla riforma non ha precedenti nel nostro Paese. Perché dimenticare in questa occasione che le riforme Casati e Gentile furono fatte in regime di pieni poteri a colpi di regi decreti!
C’è, nel dibattito sulla riforma, anche chi pretende che, prima di definire legislativamente il nuovo ordinamento, si stabilisca in precedenza quali siano i saperi essenziali che saranno immessi nei diversi cicli. Il ministro Berlinguer ha detto che il lavoro sui contenuti inizierà subito e coinvolgerà la scuola, l’università e la cultura del nostro Paese. Anzi, devo aggiungere che questo lavoro è già cominciato.
Un altro filone di critiche, che in realtà non ha molto a che spartire con la prevista riforma dell’ordinamento, riguarda le iniziative di recente adottate in materia di insegnamento della storia. Si ritiene, da parte di questi critici, che non sia possibile scrivere o insegnare la storia moderna o contemporanea se non si conosce il passato remoto, cioè la storia greca, romana e medioevale e tantomeno si possano comprendere gli eventi dell’età moderna e contemporanea se non si è attentamente studiata l’età antica e il Medioevo. Si tratta di evidenti e grossolane forzature che a volte coinvolgono anche eminenti studiosi. Perché in quelle innovazioni programmatiche, che, è bene ricordarlo, si rivolgono alla formazione di tutti i cittadini e non a quella degli storici di professione, si è ridimensionato quantitativamente lo studio, spesso ripetitivo, di determinati periodi storici, per dare spazio alla conoscenza della storia contemporanea.
Al di là di queste polemiche mi auguro che ci si concentri presto sui nodi reali perché ci si dovrà occupare con grande attenzione del personale, degli insegnanti, dei dirigenti scolastici che rappresentano il tassello determinante al quale è affidata la riuscita del progetto e il conseguimento degli obiettivi sottesi a questa riforma. Gli insegnanti dovranno essere giustamente valorizzati e pienamente riconosciuta dovrà essere la loro professionalità.
Anche le famiglie sono chiamate a dare un apporto importante alla realizzazione degli obiettivi di questa riforma. Devono perciò essere aiutate a superare le difficoltà economiche che talora impediscono loro di dare adeguato supporto alle istanze formative dei loro figli.




Tratto da
Il portico del mistero della seconda virtù

A tutte le creature manca qualcosa.
Non soltanto che esse non siano affatto il Creatore,
Dio loro Creatore.
(Questo è nell’ordine delle cose.
È l’ordine medesimo).
Che esse non siano il loro proprio Creatore.
Ma in più manca a loro sempre qualche cosa.
A quelle che sono carnali manca precisamente di
essere pure.
Noi lo sappiamo.
Ma a quelle che sono pure manca precisamente di
essere carnali.
Bisogna saperlo.

E a lei invece non manca niente.
Se non veramente d’esser Dio stesso.
Di essere il proprio Creatore.
(Ma questo è l’ordine).

Poiché essendo carnale lei è pura.
Ma, essendo pura, lei è anche carnale.



Tratto da
Il portico del mistero della seconda virtù

Lui pensa ai suoi bambini che giocano a quest’ora
vicino al fuoco.
Purché soltanto siano felici.
Non è tutto quel che un padre domanda?
Si vive per loro, si domanda soltanto che i propri figli
siano felici.

Lui pensa ai suoi bambini che ha messo
particolarmente sotto la protezione
della Santa Vergine.
Un giorno che erano ammalati.
E che lui ha avuto una gran paura.
Pensa ancora fremendo a quel giorno là.
Che ebbe così paura.
Per loro e per sé.
Perché erano ammalati.
Lui aveva tremato in tutto il corpo.
Soltanto all’idea che erano ammalati.
Aveva capito bene che non poteva vivere così.
Con dei figli ammalati.
E sua moglie che aveva talmente paura.
Così spaventosamente.
Da aver lo sguardo fisso e chiuso e la fronte
sbarrata e da non dire più neanche una parola.
Come una bestia che ha male.
[…]
Lui aveva perfettamente compreso che la
cosa non poteva andare così.
La cosa non poteva durare.
Così.
Lui non poteva vivere con dei figli malati.
Allora lui aveva fatto un colpo (un colpo
d’audacia), ne rideva ancora quando ci pensava.
Se ne compiaceva anche un po’. E ne aveva ben donde.
E ne fremeva ancora.
Bisogna dire che lui era stato bellamente ardito e che era
stato un colpo ardito.
E tutti i cristiani possono fare altrettanto.
Ci si domanda anzi perché non lo fanno.
Come prendere tre bambini da terra e come metterli
tutti e tre.
Insieme. In una volta.
Per divertimento. Alla maniera di un gioco.
Nelle braccia della loro madre e della loro balia che ride.
E che fa piccole grida.
Perché gliene si mettono troppi.
E non avrà la forza di tenerli.
Lui, ardito come un uomo.
Aveva preso, con la preghiera aveva preso.
(Bisogna che Francia, bisogna
che cristianità continui).
I suoi tre piccoli nella malattia, nella miseria in cui
giacevano.
E tranquillamente ve li aveva messi.
Con la preghiera ve li aveva messi.
Molto tranquillamente nelle braccia di colei che è carica
di tutti i dolori del mondo.
E che ha le braccia già così cariche.
Perché il Figlio ha preso tutti i peccati.
Ma la Madre ha preso tutti i dolori.
[…]
Da allora tutto andava bene.
Naturalmente.
Come volete che vada altrimenti.
Se non bene.
Perché era la Vergine Santa ad essersi immischiata.
Che se n’era incaricata.
Lei sa far meglio di noi.

E Lei, che li aveva presi, però ne aveva prima di questi tre.
(Lui aveva fatto un colpo unico.
Perché tutti i cristiani non lo fanno?)
Lui era stato rudemente ardito.
Ma chi non rischia niente, non ottiene niente.
Non sono che i più vergognosi che perdono.
È ugualmente curioso che tutti i cristiani non facciano
altrettanto.
È così semplice.
Non si pensa mai a ciò che è semplice.
Si cerca, si cerca, ci si fa male, non si pensa mai a ciò che
è la cosa più semplice.
Insomma si è proprio scemi, ed è meglio dirlo subito.
[…]
È il contrario d’un uomo che ha sistemato in affitto i
suoi figli in una fattoria.
Poiché colui che ha i suoi figli in una fattoria.
Resta proprietario dei suoi figli.
E il fattore ne diviene l’affittuario. Il fattore.
Lui al contrario non vuol esser che l’affittuario dei suoi
bambini.
Non ne ha che l’usufrutto.
Ed è il buon Dio che ne ha la nuda (e la piena) proprietà.
Ma è un buon proprietario il buon Dio.

Guarda com’è saggio quest’uomo.
Quest’uomo che non vuole più essere
che il fattore dei suoi figli.
Quest’uomo che se ne va, che se ne
ritorna a mani vuote.
Poiché Dio non è geloso, e nemmeno la
Vergin Santa.
Essi gli lasceranno tranquillamente
tutto il godimento dei suoi bambini.
È un piacere aver Dio come
proprietario.
È astuto quell’uomo, ha rimesso i suoi
piccoli nelle braccia della Santa
Vergine, nelle mani di Dio.
Di Dio loro creatore.
E loro proprietario.
Tutta la creazione non è forse nelle
mani di Dio.
Tutta la creazione non è forse la
proprietà di Dio.



Tratto da
Preghiera di residenza in Tapisserie de Notre-Dame

O regina, ecco, dopo la lunga via,
Prima di riandare per quel cammino,
Il solo asilo nel cavo della vostra mano
E il giardino dove l’anima si schiude.

Ecco il pilastro e la volta che si alza;
E l’oblio di ieri, e l’oblio di domani
E l’inutilità dei calcoli umani;
E più che il peccato, la saggezza in rovina.

Ecco il luogo del mondo ove tutto diviene facile,
Il rimpianto, la partenza e anche l‘avvenimento,
E l’addio temporaneo e la separazione,
Il solo angolo della terra ove tutto si fa docile.
[...]
Ecco il luogo del mondo ove la tentazione
Si rovescia e si dispone all’inverso,
Perché qui ciò che tenta è la sottomissione;
Ed è l’oscurarsi nell’immenso universo.
[…]
È la ribellione a divenire impossibile
E ciò che viene è l’abbandono.
Ed è la modestia che diviene invincibile
E tutto non è che saluto e riverenza.
[…]
E ciò che dappertutto altrove è
un’oppressione
Qui non è che l’effetto di un nobile
annientarsi,
Ciò che dappertutto altrove è un indaffararsi
Qui non è che eredità e successione.
[…]
Ciò che dappertutto altrove è la vecchiaia
Seduta al focolare, le mani sulle ginocchia
Qui non è che tenerezza e premura
E due braccia materne che si tendono a noi.
[…]
Abbiamo battuto strade così lontane
Non abbiamo più gusto per terre straniere.
Regina dei confessori, delle vergini e degli angeli
Eccoci tornati ai nostri primi villaggi.

Ce ne han dette tante, o regina degli apostoli,
Abbiamo perso il gusto per i discorsi
Non abbiamo più altari se non i vostri
Non sappiamo nient‘altro che una preghiera semplice.
[…]
Ciò che dappertutto altrove richiede un esame
Qui non è che l’effetto di un’inerme giovinezza.
Ciò che dappertutto altrove chiede un rinvio
Qui non è che una presente fragilità.

Ciò che dappertutto altrove richiede un attestato
Qui non è che il frutto di una povera tenerezza.
Ciò che dappertutto altrove chiede un tocco di
destrezza
Qui non è che il frutto di un’umile inettitudine.

Ciò che dappertutto altrove è squilibrio
Qui non è che misura e gradazione,
Ciò che dappertutto altrove è una baracca
Qui non è che una solida e durevole dimora.
[…]
Ciò che dappertutto altrove è costrizione di regola
Qui non è che un impeto e un abbandono;
Ciò che dappertutto altrove è una dura penale
Qui non è che una debolezza che viene sollevata.
[…]
Ciò che dappertutto altrove sarebbe un duro sforzo
Qui non è che semplicità e quiete;
Ciò che dappertutto è la scorza rugosa
Qui non è che la linfa e le lacrime del tralcio.
[…]
Ciò che dappertutto altrove è una ritorsione
Qui non è che distensione e inermità;
Ciò che dappertutto altrove è una contrazione
Qui non è che coinvolgimento calmo e silenzioso.

Ciò che dappertutto altrove è un bene deperibile
Qui non è che quieto e veloce disimpegno;
Ciò che dappertutto altrove è un impettirsi
Qui non è che una rosa e un’impronta sulla sabbia.
[...]
Ciò che dappertutto altrove si questiona e si prende
Qui non è che un fiume chiaro vicino alla sorgente;
O regina, è qui che ogni anima viene
Come un giovane guerriero caduto nella corsa.

Ciò che dappertutto altrove è una strada erta,
O regina che regnate nella vostra alta corte,
Stella del mattino, regina dell’ultimo giorno,
Ciò che dappertutto altrove è la mensa pronta,

Ciò che dappertutto altrove è il senso della strada
compiuta
Qui non è che un pacifico e forte distacco,
E in un tempio calmo e lontano dalla piatta angoscia
L’attesa di una morte più viva della vita.




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