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EDITORIALE
tratto dal n. 12 - 1998

Il messaggio del 1999



Giulio Andreotti


Se nei discorsi infra annum, compresi i saluti domenicali all’Angelus, il Santo Padre ha modo di toccare argomenti di immediata attualità, il Messaggio di Capodanno richiede un certo lasso di tempo per le traduzioni e, più che altro, per farlo pervenire in bella copia ai capi di Stato di tutte le nazioni. Il protocollo internazionale non conosce i fax.
Inutile pertanto ricercare nel testo della Giornata mondiale della pace 1999 riferimenti alle manifestazioni più recenti della questione curda e della ultima crisi irachena, che peraltro rientrano puntualmente nelle tematiche trattate in questo documento, che è l’ultimo prima di quello che aprirà il Grande Giubileo e il terzo millennio.
Nucleo centrale del Messaggio è il rispetto dei diritti umani, definiti come garanti della pace, quando sono rispettati e, viceversa, causa delle guerre dinanzi alle sistematiche violazioni.
Il Papa parte da una rattristante considerazione. Tremendo scempio dei diritti umani è stato compiuto in nome delle grandi ideologie moderne: «il marxismo, il nazismo e il fascismo; ma anche attraverso l’esaltazione di miti quali la superiorità razziale, il nazionalismo e il particolarismo etnico». A questi mali, che più di uno tra i suoi predecessori definirono pestilenze, vengono avvicinati gli effetti del consumismo materialistico nel quale «l’esaltazione dell’individuo e il soddisfacimento egocentrico delle aspirazioni personali diventano lo scopo ultimo della vita».
La connessione con le recenti celebrazioni del cinquantenario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (deliberatamente inquadrata nell’ambito delle Nazioni Unite) accentua la visione unitaria e generale della tutela delle prerogative di tutti gli uomini, ai quali devono essere riconosciuti i diritti stessi, con alcune specificazioni non nuove ma mai espresse con tanto ardimento. Cito al riguardo la libertà persino di cambiare religione se la coscienza lo domanda.
Più in generale – e qui il riferimento ai curdi è diretto – si indica tra le forme più drammatiche di discriminazione il diniego a gruppi etnici e a minoranze nazionali del fondamentale diritto ad esistere come tali. Il Papa denuncia con forza tutte le forme di sradicamento in atto, con soppressioni in massa, terribili trasferimenti ed anche l’indebolimento progressivo delle identità etniche, fino alla loro soppressione.
Al tema molto dibattuto della globalizzazione, il Pontefice apporta il correttivo integrante della solidarietà, in mancanza del quale crescerebbero in modo esponenziale sia le ricchezze dei privilegiati che la povertà degli umili (non per vocazione ma per censo). Mi piace qui ricordare quel che ascoltai l’estate scorsa da Fidel Castro sulla non sufficienza della economia sociale di mercato e sulla necessità di una forte componente solidaristica nelle nuove formulazioni programmatiche.
Altro punto efficacemente trattato è quello del disarmo che oggi non solo sembra dimenticato ma viene doppiamente disatteso: per il traffico di armi e munizioni al quale si è cercato invano di imporre limitazioni e regole di trasparenza; vi è poi l’ostentanzione di potenza, persino attraverso la trasmissione in diretta televisiva dell’uso operativo di armi sofisticatissime, che rischiano di suscitare desideri emulativi, in chi lo può, tecnologicamente e finanziariamente, e folli propositi di vendetta artigianale negli altri, che si rifanno fiduciosi all’esperienza biblica della fionda di David.
Circa il diritto alla vita, richiamato «il diritto di venire al mondo a chi non è ancora nato», vi è una secca riaffermazione della illiceità assoluta della violazione del comandamento divino di non uccidere. Tuttavia non credo che si possa interpretare come condanna della pena di morte, pur essendo questo un indirizzo che il Papa ha in più occasioni enunciato. Si cita infatti, in questo punto del Messaggio 1999, un passo della Evangelium vitae che recita: «L’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale». Di recente, parlando ai promotori del Giubileo dei parlamentari (fissato per il 5 novembre 2000) Sua Santità ha raccolto una loro proposta per una moratoria delle esecuzioni nel corso dell’Anno Santo. La moratoria ha un senso in previsione dell’abolizione, perché sarebbe altrimenti solo un prolungamento di agonia. Il relativo movimento ha fatto qualche passo avanti, ma non si deve perdere la speranza nel risultato finale.
Anche negli Stati Uniti, dove la resistenza è maggiore (nello scorso anno sono state “giustiziate” settantaquattro persone), ad un certo momento, nel 1972, la Corte suprema aveva sancito la incostituzionalità. Vero è che quattro anni dopo tornò indietro, ma il dibattito è aperto. Penso, per parziale analogia, alla politica verso i cittadini di colore. Hanno fatto un cammino positivo, che trenta anni fa era ritenuto impossibile.
In via più generale c’è da augurarsi (e pregare Iddio) che nel prossimo anno Giovanni Paolo II possa registrare nel campo dei diritti umani un qualche miglioramento. Anche se le settimane a cavallo tra il ’98 e il ’99 non sono state troppo rasserenanti.


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