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MEDIO ORIENTE
tratto dal n. 12 - 1998

ANALISI. Intervista con il leader laburista israeliano

Due popoli, due Stati


«Questa è la soluzione. Magari qualcuno non la riconosce, qualcuno non la vuol dire. Ma è solo una questione di tempo». Parla Shimon Peres


Intervista con Shimon Peres di Giovanni Cubeddu


Secondo un autorevole sondaggio, all’indomani degli accordi di Wye Plantation, il 75 per cento degli israeliani aveva approvato con la propria fiducia il patto sottoscritto dal primo ministro Benjamin Netanyahu. In un certo senso mettendolo all’angolo, forzando la naturale ritrosia del Likud e più in generale della destra israeliana a tutto vantaggio del processo di pace. Quel sondaggio evidenziava altresì il crescere di un sentimento moderato, testimoniato ora anche dalla nascita di nuove liste e di nuovi candidati che, in vista delle elezioni previste per il 17 maggio 1999, si caratterizzano come centristi, concorrenti sia del Labor party che del Likud.
A Shimon Peres, già primo ministro e storico leader laburista (e dopo la morte di Rabin, unico alfiere del sogno di un “Nuovo Medio Oriente”) abbiamo chiesto un’analisi del momento politico che Israele vive.
«Ciò che Netanyahu ha fatto a Wye Plantation» dice Peres «è una vittoria di tutti noi. Resta aperto il più importante problema: la soluzione per una pace permanente. Il Likud ha perso la sua pregiudiziale ideologica. Era disposto a dare indietro il 13 per cento della West Bank, e questo è un compromesso territoriale. Prima di Wye Plantation non avrebbe restituito neanche una spanna. Va bene così, benvenuti nel club! Il 75 per cento degli israeliani approva, e io credo che il Labor party dovrebbe porsi a capo della volontà nazionale, in prima fila nel servire il Paese, e non sembrare né essere qualcuno che voglia fare calcoli di parte. Sarebbe un errore. Dobbiamo guardare alla pace e all’unità come a due fondamenti».

Lei sa che noi abbiamo in Europa ormai 13 governi di “sinistra”, l’ultimo è proprio quello italiano presieduto dall’onorevole D’Alema…
Shimon Peres: …sì, avete un comunista con l’approvazione del Papa...
…mentre ora Israele sembra muoversi invece verso una posizione centrista. È così?
Peres: Centrista politicamente ma non socialmente. In Europa, dopo la creazione del Mercato comune europeo e dell’Unione europea, è stata “economicizzata” la politica europea. Ora credo che si voglia invece “socializzare” l’economia. Destra e sinistra hanno due significati. Uno in termini politici: dire guerra o pace, fare concessioni o no. L’altro è la distanza tra un temperamento sociale dell’economia oppure una conduzione con puri criteri economici. L’Europa ha scelto la via sociale. Ma questa è una vicenda economica, non di politica estera. Qui da noi invece ci muoviamo verso il centro semplicemente perché il Likud si muove verso il centro sui temi della pace. Cosa di cui io certo non mi rammarico. Anzi, credo che sia un grande risultato, e me ne rallegro.
Lo spostarsi al centro dei conservatori e del Likud ha un futuro politico o è di breve durata?
Peres: Ciò che li ha spinti a Wye Plantation li spingerà anche nel futuro. Non credo che noi abbiamo più di una soluzione: Israele deve decidere se essere uno Stato bi-nazionale o avere due Stati con buone relazioni di vicinato. A mio parere la soluzione è avere due Stati. È solo una questione di tempo. Anche il Likud ci arriverà. Forse ci metteremo un altro anno, forse due, ma sicuramente daremo vita a uno Stato palestinese, oh sì! E al posto di due popoli che nello stesso Stato si odiano e si uccidono l’un l’altro, come nel Kosovo, in Bosnia, meglio due Stati dove vivere insieme. E poi, che tipo di relazioni dovrebbero esserci tra i due Stati? Essere uno ricco e l’altro povero? Errore. Si deve aiutare anche il povero a diventare ricco. Questa è la soluzione. Magari qualcuno non la riconosce, qualcuno non la vuol dire. Ma è solo una questione di tempo.
Davvero crede che la creazione dello Stato palestinese cambierà la situazione e non, invece, che i popoli continueranno a odiarsi ognuno da dietro i propri confini?
Peres: No. Non puoi avere il cento per cento della sicurezza se non dai alla gente il cento per cento della libertà. Non puoi avere il cento per cento della sicurezza se dai il settanta per cento della libertà. Oggi giordani e palestinesi sono lo stesso popolo. Perché ci fidiamo dei giordani e non dei palestinesi? Non è gente diversa, hanno status e situazione diversi. Dunque cambiamo la situazione, diamo anche ai palestinesi libertà e indipendenza, così da poter vivere insieme. Perché i palestinesi non sono interessati al terrore: Arafat teme il terrore allo stesso modo di Netanyahu. Perché il terrore significa che lui non è più padrone in casa propria, che ha un esercito dentro l’esercito, e che è contro di lui. Dunque con Arafat abbiamo lo stesso interesse.
Sarà capace Arafat di bloccare gli estremisti di Hamas?
Peres: Probabilmente sì, se gli diamo più opportunità di farlo.
Nell’accordo di Wye Plantation, per garantire gli adempimenti relativi alla sicurezza, la Cia assume un ruolo inusuale di mediatore tra le parti. Lo condivide?
Peres: Beh, avrei sistemato le cose differentemente, ma va bene così.
Per quanto riguarda lo status finale di Gerusalemme, il “ministro degli Esteri” vaticano ha espresso il desiderio che «le speranze delle comunità dei credenti, cioè ebrei, cristiani e musulmani, possano essere presenti alla mente dei negoziatori»…
Peres: Vede, noi trattiamo con il Vaticano per quanto riguarda i temi religiosi, non su temi di politica. Il Vaticano non è un organismo politico. Quindi, se vogliono sedersi per discutere di idee religiose, ok, ma non di quelle politiche.
In Terra Santa non è certo semplice separare nettamente queste due realtà…
Peres: Non è così. Possiamo dividere la Terra Santa in una situazione politica e in un’altra religiosa. Io penso che la questione di Gerusalemme sia politicamente chiusa, e religiosamente aperta. Sono due cose diverse.
Dunque lei non aiuterebbe il Vaticano a essere presente in qualche modo ai negoziati?
Peres: Non ai negoziati politici.
A quelli religiosi?
Peres: Sì, ne discutiamo sempre. Sì.


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