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MALTA
tratto dal n. 12 - 1998

MALTA. Dialogo con il ministro degli Esteri Guido de Marco

Dall’Impero inglese all’Unione europea


È per antonomasia il Paese “ponte” tra il Nord e il Sud del Mediterraneo. Nel ’99 spera di diventare membro effettivo dell’Unione europea. Perché a quest’isola il Commonwealth non basta più


di Giovanni Cubeddu


Dalla seconda metà del 1500 «Wicc Laskri», cioè «fare la faccia di Láscaris», a Malta vuol dire, più o meno, avere un viso lugubre, quasi malaugurante. E il Láscaris di cui si parla è quel gran maestro dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (più noti come Cavalieri di Malta) che le donne maltesi cacciarono da Mdina a colpi di scopa e forcone. Láscaris era reo di aver negato al gentile sesso di indossare maschere per il carnevale, ma molto più di aver ridotto la città maltese sino ad allora più “aristocratica”, Mdina, a succursale politica di Valletta, sorta in onore di un altro gran maestro dell’Ordine, Jean Parisot de La Valette, vittorioso sui turchi che avevano assediato l’isola. Quando Carlo V, nel 1530, fece dono dell’arcipelago maltese ai Cavalieri in cerca di fissa dimora sapeva che quell’omaggio poteva risultare indigesto agli abitanti. Così fu.
La vita dell’arcipelago è stata da sempre costellata di dominazioni straniere: dal tempo dei fenici e dei romani, all’epoca del Sovrano Militare Ordine di Malta, fino alla conquista ad opera di Bonaparte nel 1798, che cacciò i Cavalieri e che a sua volta fu allontanato dagli isolani, in combutta con lord Nelson e la marina di sua maestà. Siamo nel 1800, ma questa è già storia recente. Perché la presenza britannica sull’isola è terminata soltanto da vent’anni, quando spirò l’ultimo accordo di cooperazione finanziaria e militare con Londra. Ma nelle sue ossa, nel suo organismo politico-amministrativo, la popolazione sente quest’eredità, sempre però moderata da un forte carattere mediterraneo.
Lo dimostrano le ultime elezioni politiche del 5 settembre ’98, che hanno premiato il Partito nazionalista (democratico cristiano) a scapito di quello laburista, e che hanno coinciso con la rinnovata richiesta di essere al più presto ammessi nell’Unione europea. Lo hanno ben capito gli stessi Cavalieri di Malta che, con una cerimonia d’altri tempi, nei primi giorni di dicembre hanno festeggiato nella loro nuova sede di Forte Sant’Angelo a Valletta il “ritorno” sull’isola.

Per noi l’Europa non è solo poesia
Il Parlamento maltese è a Valletta. Si chiama Palazzo del gran maestro. Al tempo stesso è anche sede della Presidenza della Repubblica. Percorrendo l’impressionante Corridoio delle armature si accede ad una sala laterale dove Guido de Marco sta lavorando ed accoglie gli ospiti. Parlamentare dal 1966 è senza dubbio tra le personalità che hanno incarnato la storia recente dell’isola, dalla guerra fredda al crollo del Muro, all’avanzare sulla scena mediterranea dell’Unione europea, di cui De Marco è a Malta il più instancabile sostenitore. Docente di diritto, esperto di diritti umani, presidente dell’Assemblea dell’Onu, segretario e leader carismatico del Partito nazionalista, più volte ministro e vice primo ministro: questo è il suo curriculum. Ora è vicepremier e ministro degli Esteri di questo minuscolo arcipelago sperduto tra Sicilia e Tunisia. Minuscolo ma di grande importanza. Inizia De Marco: «Ricordo una discussione con Esmat Abdel Meguid, il segretario generale della Lega araba. Mi diceva che “è nell’interesse della Lega araba e dei Paesi arabi che Malta faccia parte dell’Unione europea. Ed è nell’interesse del Mediterraneo che nell’Unione europea vi sia Malta, che partecipa della civiltà mediterranea e sa portare il pensiero dei Paesi del Sud del Mediterraneo nei consessi europei”. L’osservazione di Meguid è giusta ed opportuna». Difatti è luogo comune dire che l’arcipelago maltese rappresenti un ponte naturale tra il Nord e il Sud del Mare Nostrum. Lo conferma la neutralità militare di Malta, inserita nella Costituzione nel 1986 grazie ad un grande accordo tra laburisti e nazionalisti. E lo dimostra anche l’ampia rosa di relazioni internazionali che l’isola, sin dal momento dell’indipendenza nel 1964, ha mantenuto: è stata nel movimento dei Non allineati, per desiderio dei laburisti (di certo all’epoca più vicini a Unione Sovietica, Cina, Libia); ma ha pure stretto legami con Gran Bretagna, Stati Uniti e Nato, compiacendo i nazionalisti. E non a caso il più longevo e indimenticato premier dell’isola (in carica dal ’71 all’84), il laburista Dom Mintoff, adottò lo slogan della “neutralità positiva”, descrivendo così una realtà intima dell’isola. Oggi la sua neutralità e la posizione geografica invidiabile ne fanno un approdo desiderato anche per l’Ue. De Marco lo sa e cerca di trarne il giusto vantaggio. «Un poeta inglese, John Donne, disse: “Nessun uomo è un’isola”. Ma oggi, in questa tendenza a globalizzare i problemi, neanche un’isola può essere più un’isola. Malta deve fare una scelta: restare sola nel Mediterraneo – e questo ci espone a tutti i pericoli di questo mare colmo di problemi, di terrorismo, di fondamentalismo e separatismo – o far parte dell’Unione europea». Sul piatto della bilancia pesa anche il fatto che «Malta aumenterebbe di importanza e nello stesso tempo trarrebbe dall’appartenenza all’Unione europea un motivo di stabilità politica ed economica. L’isola diventerebbe un potenziale luogo di investimento economico, aiutato dal fatto che Malta ha una stabilità politica interna che deriva dalla democrazia, dall’essere un Paese che crede ai diritti dell’uomo e che ha un tenore di vita abbastanza alto. E dunque» conclude il ministro «per noi entrare nell’Unione europea non è semplicemente poesia».

L’inossidabile Dom Mintoff
La candidatura maltese sta ora passando al vaglio dell’Unione. Arrivare al rispetto dei criteri di convergenza economica non sarà immediato. Si spera nel ’99 di farcela, dato che Malta è anche un Paese associato alla Cee sin dal 1970. Ma ci sono da superare anche quelle cordate tra Paesi già membri che spingono ognuno per i propri candidati. Chi è con Malta, signor ministro? «L’Italia, sin dal primo momento. Ricordo bene il discorso fatto il giorno dell’indipendenza di Malta, il 21 settembre del ’64, dall’allora presidente del Consiglio Aldo Moro: un discorso di auguri. Ebbi l’onore e il dolore di essere stato con Moro poche settimane prima della sua cattura e del suo eventuale martirio». Chi ancora? «Spagna, Portogallo, Grecia, e naturalmente anche l’Inghilterra, tengono molto al fatto che Malta diventi un Paese dell’Unione europea».
«Ma la vita, come sempre, se non è complicata la complichiamo» riprende De Marco. Il leader sa bene che negli ultimi anni sull’altare della politica estera sono stati bruciati diversi governi. Nel ’90 fu proprio De Marco a presentare formale domanda di adesione all’Unione europea; nel ’95, il governo nazionalista aderì alla Partnership for peace della Nato ed organizzò un’importante conferenza per la cooperazione euromediterranea, cui parteciparono tra l’altro Arafat ed una blasonata delegazione libica in cerca di sponde per uscire dall’embargo. Tutte iniziative che il successivo governo laburista rigettò in blocco. Si uscì dall’impasse incredibilmente proprio grazie all’azione di Dom Mintoff che, ancora attivissimo, iniziò un’opera di contestazione della politica del “suo” governo laburista. Governo che, godendo di un solo voto di maggioranza, riuscì a perderlo per strada in una mozione di sfiducia. De Marco passa dunque all’attacco: «Dall’81 il mio partito, eccetto per un intervallo di 22 mesi, ha ricevuto la maggioranza assoluta del consenso popolare. Da allora c’è una lista che crede nell’Europa, che ne ha fatto una parte essenziale del suo programma politico. E se abbiamo perso nel ’96 forse è stato proprio perché non avevamo portato Malta nell’Unione. Ma dal settembre ’98 abbiamo una maggioranza ancor più grande, un mandato elettorale che ci porta al 2003. Non credo che ci sia in tutta Europa un solo partito politico che ha riportato la maggioranza assoluta dei voti per così lungo tempo e che ha un mandato fino al 2003, e speriamo ancor di più…».

Soluzioni compatibili con l’Onu
La piattaforma di politica mediterranea di De Marco riflette la posizione e la vocazione dell’isola, che il ministro cerca di rendere propositive, dinamiche. «Già prima della Conferenza euromediterranea di Barcellona, dissi che era giunto il momento di un patto di stabilità non solo per l’Europa ma per il Mediterraneo. Una proposta che l’Euromed sta studiando bene» assicura il ministro. Ancora: «Credo nel futuro del Medio Oriente e credo che avremo uno Stato palestinese, e che, strategicamente, debba vivere in amicizia con lo Stato di Israele». Anche la caduta dei blocchi ha avuto nell’isola un’appendice importante, e De Marco rammenta che «proprio a Malta, nell’incontro tra Bush e Gorbaciov del dicembre dell’89 venne sepolta la guerra fredda». Di questo il ministro tiene conto anche nel rivisitare con meno ideologia ma più pragmatismo l’amicizia storica di Malta con il colonnello Gheddafi (che ancora dall’84 al ’90 forniva e riceveva aiuti militari). De Marco spiega: «I rapporti con la Libia sono positivi, è un popolo vicino. Ed è politica concreta e realista in ogni Paese quella di sviluppare buoni rapporti coi vicini: la geografia esiste! Abbiamo il dovere di continuare la nostra amicizia, naturalmente dentro i parametri delle relazioni internazionali. Se ci sono ragioni per cui il Consiglio di sicurezza ha ritenuto di imporre sanzioni contro la Libia, noi, essendo parte dell’Onu, abbiamo applicato quelle sanzioni. Così è la politica internazionale. Bisogna seguire l’Onu. Ma dopo si deve trovare una compatibilità tra l’avere buone relazioni di vicinato ed essere conformi a quello che l’Onu ci domanda».

Il dialogo religioso
A san Paolo che naufragò a Malta si deve la fede nell’isola.A lui si deve la conversione del governatore romano Publio, cui l’apostolo guarì il padre morente. Publio divenne poi il primo vescovo di Malta.
La percentuale dei maltesi appartenenti alla Chiesa cattolica oggi è molto alta, al di sopra del 90 per cento dell’intera popolazione. Per i circa 375mila abitanti si ergono nell’arcipelago 80 parrocchie e oltre 300 chiese, e poi vi sono i Gesuiti, i Domenicani, i Francescani, gli Agostiniani. E ora di nuovo i Cavalieri di Malta… L’autorità nell’isola è l’arcivescovo di Malta Joseph Mercieca, già alunno del Collegio Capranica di Roma. Arcivescovo è anche monsignor Luigi Gatti, nunzio di Malta e di Libia, di stanza nell’isola ed impegnato nei faccia a faccia con il colonnello Gheddafi. È nativo di Malta anche l’attuale vescovo di Benghazi, monsignor Silvestro Magro. Ma se si chiede «per chi votano i cattolici» la risposta sarà un po’ imbarazzata, sia l’interlocutore un politico laburista o un nazionalista. Ambedue le formazioni soffrono infatti di “fluttuazioni” elettorali e la Chiesa locale – che vanta l’insegnamento della religione cattolica reso obbligatorio dalla Costituzione – non è restia a far sentire nelle cose pubbliche la sua voce. Non se lo scorda di certo Dom Mintoff: dall’83 all’84 cercò di nazionalizzare per legge gran parte dei beni ecclesiastici per finanziare l’educazione pubblica e gratuita, e di proibire il pagamento di rette agli istituti privati. L’arcivescovo ordinò la chiusura di tutte le scuole cattoliche, e di fronte a tale ultimatum Dom Mintoff passò lo scettro al suo delfino Mifsud Bonnici, che raggiunse un accordo di pace. Il commento del cattolico De Marco è in punta di fioretto: «Sarebbe molto scorretto ora dare il torto tutto a una parte o all’altra. Ma forse la politica laica trascura il corretto modus operandi nel combattere le idee avversarie…».
Il ministro ama papa Roncalli e papa Pacelli: «La Chiesa non è stata sempre così aperta come ai tempi di Giovanni XXIII, che ha portato alla Chiesa un particolare raggio di luce, l’aria di un mondo che cambia. Ma l’insegnamento di papa Pio XII rimane l’insegnamento di uno tra i più grandi papi che siano mai esistiti». E mostra di avere forte considerazione per il “Trialogo”, il dialogo religioso tra le tre grandi religioni monoteistiche. Un’opzione genuinamente mediterranea, da rivalutare: «La religione è l’anello mancante della diplomazia del Mediterraneo, una diplomazia un po’ speciale: le crociate sono il passato remoto e l’unica crociata valida oggi è l’affermare che le tre religioni monoteistiche possano essere fonte di comprensione. Eppure il dialogo religioso fino ad ora non è stato mai sviluppato come arma diplomatica positiva per la pace e la stabilità». E che dire allora della diplomazia vaticana, che effettivamente usa di questa «arma diplomatica» nel Mediterraneo per dare a Gerusalemme uno status finale degno di questo nome? «Conosco bene monsignor Tauran, veramente uno dei diplomatici migliori del Vaticano. Sono stato a Gerusalemme parecchie volte: è un luogo dove le emozioni prevalgono sulla logica. Uno può andare al Muro del pianto, inserire nelle pietre un biglietto col suo desiderio, guardare in su e trovare il terzo tempio più caro al mondo musulmano. Ci si volta, e a breve distanza vi sono i Luoghi Santi, che sono la gloria del cristianesimo. Gerusalemme è un posto molto difficile, perché ognuno la crede casa sua, più che casa di Dio. La diplomazia internazionale deve giocarsi ancor di più. È anche il caso di dire praestet fides supplementum…».

«L’impero è di ieri, il futuro è l’Europa»
Un ultimo chiarimento: come può il Regno Unito aiutare Malta ad entrare nell’Unione europea, quando anch’esso appare un europeista “incerto”? Sin dal suo esordio politico De Marco ha partecipato agli incontri del Commonwealth (cui Malta aderisce), e dalla sua risposta traspare una realtà intricata, ma con prospettive assai interessanti. Eccola: «Gli inglesi sono un popolo che vive entro parametri isolani, ma che comprende la logica della storia: ha realizzato che il suo impero è di ieri ed il futuro sta nell’Europa. Certo, ha potuto farlo con la grande sofferenza di chi ha cultura europea ma vuole credersi isolano. Il miglior esempio è il detto: “Se c’è nebbia sul canale della Manica è il continente ad essere separato dall’Inghilterra”… Tipicamente inglese! Ciononostante, gli inglesi hanno l’arte di sapersi adattare e di saper imparare presto, sono un popolo pragmatico. Il senso del fair play che regola, alle volte, le loro azioni gli dà ora il vantaggio di pensare all’Europa e allo stesso tempo di mantenere ancora quel certo desiderio di una special relationship, una relazione speciale, con gli Stati Uniti. Credendo in un certo senso, forse irrealistico, che questa possa cambiare ciò che è veramente il futuro dell’Inghilterra: far parte dell’Europa unita».
Grazie, signor ministro.


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