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ROSMINIANI
tratto dal n. 12 - 1998

Una santità ordinaria


«Il religioso rosminiano è semplicemente un cristiano che vuol vivere pienamente il Vangelo. Irradiando la carità che è da Dio». Intervista con Clemente Riva


Intervista con Clemente Riva di Giovanni Ricciardi


«Chi è Rosmini? Per me Rosmini è un uomo e un prete ordinario e normale. Rosmini non è una figura carismatica o straordinaria. Ha vissuto una condotta morale ed evangelica in modo ordinario, cioè semplice, autentico e pieno. E non si è limitato a vivere e testimoniare le leggi divine di Gesù Cristo, ma ha vissuto anche i consigli evangelici, ossia la pienezza del messaggio del Salvatore in modo semplice». Chi parla è Clemente Riva, già vescovo ausiliare di Roma, rosminiano, studioso e profondo conoscitore del pensiero di Antonio Rosmini. Che spera di vedere tra pochi anni elevato all’onore degli altari.
Una santità ordinaria, quella di Rosmini? Non è un paradosso?
CLEMENTE RIVA: Siamo noi che talvolta andiamo fuori dell’ordinario, diventiamo extra-ordinari quando manchiamo alle leggi del Signore, e per noi religiosi quando siamo infedeli ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza che abbiamo giurato di osservare. È allora che diventiamo “straordinari”, e guai a considerare ordinarie le infedeltà. Lo stesso giudizio di Gregorio XVI su Rosmini quando approva le Costituzioni si muove in questa prospettiva: «Persona fornita di elevato ed eloquente ingegno, adorna di egregie qualità di animo e per la scienza delle cose divine ed umane sopra modo illustre, e chiara per esimia pietà, religione, virtù, probità, prudenza, integrità, splendente per meraviglioso amore e attaccamento alla cattolica religione e a questa Sede apostolica».
Qual è allora il carisma specifico dei Rosminiani?
RIVA: Taluni ritengono che il carisma rosminiano sia il senso della carità. Ma la carità è un comandamento per tutti, non un carisma. Tanto è vero che nelle Costituzioni Rosmini arriva a dire che il religioso rosminiano è semplicemente un cristiano che vuol vivere pienamente il Vangelo, e basta. Rosmini vuole fare in modo che i membri della sua Congregazione vivano sempre di più il loro essere cristiani, senza ulteriori distinzioni. Così, l’esempio può sembrare banale ma è significativo dello spirito del fondatore, l’abito dei Rosminiani è quello del clero romano, non ha alcun segno distintivo.
Come vengono scelte allora le opere di carità che l’Istituto svolge?
RIVA: Le opere di carità vengono quando l’obbedienza ci chiama a fare qualcosa. È il “principio di passività”, come Rosmini lo chiama. Rosmini aveva preso questo principio da Ignazio di Loyola, con una differenza. In un punto Rosmini critica l’ascetica ignaziana, perché a un certo momento essa pone l’accento sul “bene della Congregazione” mentre per Rosmini l’unico bene che conta è il bonum Ecclesiae.
Da qui sorsero le difficoltà con i Gesuiti?
RIVA: Rosmini ha preso molto dello spirito di Ignazio, ma non volle mai farsi gesuita. Qualcuno dice che questo fu un motivo di attrito. Poi c’è stata una questione di tipo culturale, perché Rosmini si rendeva conto che dal punto vista teologico e filosofico, la cultura ecclesiastica del tempo era molto scarsa, e allora aveva chiesto ai Gesuiti di farsi paladini di una rinascita del pensiero, della tradizione cattolica, quindi anche del recupero dei Padri della Chiesa, degli scolastici e specialmente di Tommaso d’Aquino. Questa problematica culturale di Rosmini non fu capita. E non solo i Gesuiti, ma anche altri lo osteggiarono. Il pensiero di Rosmini venne comunque valorizzato anche fuori della sua Congregazione ed ebbe seguito sia in Italia che all’estero. Poi, piano piano, prevalse la corrente ostile a Rosmini e si è arrivati alla condanna delle “quaranta proposizioni”, nel 1888. Anche se Newman aveva preso le difese di Rosmini. Alcuni padri rosminiani inglesi, infatti, provenivano dal movimento di Oxford, e avevano chiesto a Newman di informarsi su quello che stava succedendo a Roma. Pare che a Roma gli abbiano risposto che non c’era nessun problema sulle opere di Rosmini. Perciò la condanna delle “quaranta proposizioni” fu un colpo molto duro. Naturalmente ebbe a lungo conseguenze sulle vocazioni rosminiane. Anche nei seminari e nelle università ecclesiastiche Rosmini era presentato come eretico. Mi ricordo che quando, a 18 anni, andai a Domodossola ad incominciare il noviziato, incontrai in treno due sacerdoti, e questi additando il Monte Calvario dicevano: ecco il covo degli eretici. Ma questo tempo per fortuna è passato.
Come Rosmini concepì l’idea dell’Istituto della Carità?
RIVA: Quando Rosmini ha pensato all’Istituto della Carità non intendeva solo un istituto dell’esercizio delle opere di carità. C’è un testo nelle sue Costituzioni che parla di un vero e proprio “statuto della carità” che è per tutti i membri dell’Istituto, laici o preti che siano. Questo “statuto” comprende quattro momenti: la carità è Dio, la carità viene nel mondo con l’incarnazione del Figlio di Dio, la carità viene comunicata per grazia ai suoi discepoli, e infine da loro viene irradiata al mondo. Questo è quello che Rosmini intendeva per “statuto” della carità e che il suo Istituto era chiamato a vivere.
Il non affermare un carisma specifico ha un significato nella Chiesa attuale?
RIVA: Non è facile capirlo. L’esperienza recente dei movimenti mette l’accento sul carisma e sull’identità specifica, e questo, beninteso, è importante. Allora Rosmini, se visto in quest’ottica, non è attuale. Anche se, per altro verso, la sua attualità sta proprio in una visione e una vita di Chiesa comune, che non si fissa su un aspetto particolare del Vangelo. Tante volte è difficile entrare in questo ordine di idee nella Chiesa. Si può essere cristiani anche così, senza mettere l’accento sull’identità. E questo potrebbe anche essere, in un certo senso, un atteggiamento profetico.
Qual è lo stato attuale della causa di beatificazione di Rosmini?
RIVA: La situazione si è sbloccata nel 1994, grazie ad una lettera della Santa Sede. Infatti, poiché attualmente le “quaranta proposizioni” sono ancora condannate, per aprire un processo di beatificazione era necessario un intervento autorevole della Sede Apostolica. Così, le diocesi di Novara e Trento hanno aperto la fase diocesana, Trento si è occupata della parte storica, Novara di quella dottrinale. Ora, il processo diocesano si è concluso positivamente e la documentazione è stata inviata, nel giugno scorso, a Roma, alla Congregazione delle cause dei santi, che deve pronunciarsi. Mi auguro comunque che la Chiesa riconosca presto la santità di Antonio Rosmini.


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