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VENT’ANNI DALLA MORTE DI...
tratto dal n. 09 - 1998

Incontro con il nuovo prefetto della Congregazione per i vescovi

Quella volta che vidi piangere papa Montini


«Ho pensato subito al pianto di Simon Pietro nella notte della santa agonia. Questa volta, però, davanti a me, Pietro piangeva non per aver tradito ma per quanto doveva patire per non tradire». Parla il cardinale Lucas Moreira Neves


Intervista con il cardinale Lucas Moreira Neves di Gianni Cardinale


Nominato alla guida della Congregazione per i vescovi lo scorso 25 giugno, al posto del porporato africano Bernardin Gantin, un mese dopo era già arrivato nell’Urbe e il 1 settembre è salito nella residenza estiva dei pontefici per la cosiddetta “visita di tabella”. Moreira Neves si è gettato con “passione” nel delicato incarico di coadiuvare il Papa nella scelta dei vescovi della Chiesa cattolica, un lavoro che gli è facilitato dal fatto che il porporato brasiliano conosce a menadito la struttura e i meccanismi del dicastero, visto che ne è stato il segretario per ben otto anni, prima di essere chiamato, nell’87, a guidare la sede primaziale del Brasile, São Salvador da Bahia.
Moreira Neves, 73 anni, domenicano, è stato promosso all’Ordine dei vescovi col titolo della chiesa suburbicaria di Sabina-Poggio Mirteto, vacante dalla morte del cardinale Eduardo Francisco Pironio, avvenuta il 5 febbraio scorso. Con Moreira Neves, che ha accettato volentieri di rilasciare questa intervista a 30Giorni, un brasiliano quindi torna alla guida di un importante dicastero vaticano. Non succedeva dai tempi del cardinale Agnelo Rossi, dapprima prefetto di Propaganda Fide (dal 1970 all’82) e poi presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa) dal 1982 al 1986.

Eminenza, quando è stato il suo primo incontro con Roma?
LUCAS MOREIRA NEVES: Nel ’67, quando sono stato chiamato dal maestro generale dei Domenicani, padre Aniceto Fernandez, a lavorare nella commissione creata per la revisione delle costituzioni dell’Ordine alla luce dei decreti del Concilio Vaticano II. Ricordo bene quel viaggio anche perché il giorno dopo il ritorno in Brasile mi è arrivata la comunicazione della nomina a vescovo ausiliare del cardinale Agnelo Rossi, allora arcivescovo di São Paulo. Sempre nel ’67 sono tornato a Roma per il secondo Congresso dell’apostolato dei laici convocato da Paolo VI nell’ottobre. In quella occasione ho avuto la gioia di partecipare alla proclamazione di santa Caterina da Siena, una domenicana, dottore della Chiesa.
Nel ’74 Paolo VI la chiama a Roma come vicepresidente del Consiglio per i laici. Come mai?
MOREIRA NEVES: In Brasile ero membro della Commissione episcopale pastorale, incaricato del settore che si occupava dei laici. Per questo incarico avevo molti rapporti con il Consiglio per i laici e con la Segreteria di Stato. Penso che siano stati questi dicasteri a consigliare a Paolo VI la mia chiamata a Roma. Papa Montini mi chiese di restare a Roma alcuni mesi per trasformare il Consilium de laicis nel Pontificium Consilium pro laicis. In realtà questo studio è durato alcuni anni, dall’aprile ’74 al dicembre ’76, quando ha nominato presidente il cardinale Opilio Rossi al posto del cardinale Maurice Roy e mi ha confermato come suo vice.
Il suo impatto con Roma fu difficile o si trovò subito a suo agio?
MOREIRA NEVES: Mi trovai subito bene. Era un periodo di transizione, irto di difficoltà, ma non ho avuto problemi a inserirmi. Intanto parlavo già bene l’italiano, che avevo studiato nel seminario minore a Mariana. Conoscevo bene, inoltre, la questione dell’apostolato dei laici: in Brasile infatti ero stato assistente dell’Azione cattolica a livello liceale a São Paulo e a livello universitario a Rio de Janeiro, poi ero stato assistente ecclesiastico a livello nazionale del movimento familiare cristiano. Inoltre ero già consultore del Consilium de laicis dove avevo come collega, per così dire, il cardinale Karol Wojtyla. Mi ricordo che il primo contatto con lui lo ebbi nel ’71. Da lì è nato un rapporto che mi ha arricchito enormemente. Ricordo che era consultore anche monsignor Nguyên Van Thuân, pochi mesi or sono nominato presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, con il quale è nata una bella amicizia e che adesso ho la fortuna di trovare di nuovo qui a Roma.
A papa Montini lei ha dedicato un libro (Paolo VI. Profilo di un pastore, ed. Àncora, 1989). Qual è il ricordo più significativo del Pontefice scomparso venti anni fa?
MOREIRA NEVES: Di Paolo VI ricordo soprattutto l’ultima indimenticabile udienza concessami nel luglio ’78, poche settimane prima della sua scomparsa. Dopo le questioni prefissate in agenda, Paolo VI, anziano e malato, si degnò di aprire il suo cuore su temi delicatissimi della Chiesa. Lo vidi allora sereno come sempre, quasi maestoso, mentre dagli occhi lucidi scorrevano due grosse lacrime. Ho pensato subito al pianto di Simon Pietro nella notte della santa agonia. Questa volta, però, davanti a me, Pietro piangeva non per aver tradito ma per quanto doveva patire per non tradire.
Quale ricordo ha di Giovanni Paolo I?
MOREIRA NEVES: Di papa Luciani ho un ricordo curioso, risale al Sinodo del ’74 dedicato all’evangelizzazione nel mondo moderno. L’allora Patriarca di Venezia durante gli intervalli non andava al bar per fare merenda e così a volte prendevo qualcosa anche per lui e gliela portavo nell’aula. Era un’occasione in più per scambiare qualche parola. Ricordo che l’anno successivo ricorreva il primo centenario dell’arrivo dei coloni veneti in Brasile. Nel 1875 l’imperatore Pedro II aveva diviso il Rio Grande do Sul a metà tra i coloni tedeschi e quelli veneti. Per questa ricorrenza sia la Chiesa che il governo avevano invitato in Brasile il Patriarca di Venezia. Luciani mi confidò la sua indecisione ad andare. «Mi hanno invitato,» diceva «ma cosa vado a fare? Sono molto indaffarato a Venezia e poi non parlo la lingua». «Eminenza,» gli risposi «per quanto riguarda la lingua non avrà alcuna difficoltà perché lì si parla il veneto puro, quello di una volta, non ancora “inquinato” dall’italiano, tant’è che i linguisti che vogliono studiare il veneto antico vanno proprio nel Rio Grande do Sul…». E infatti non ebbe problemi di lingua, me lo confermò quando lo incontrai di nuovo dopo aver compiuto la visita. Avevo un forte desiderio di incontrarlo da papa, e in effetti avrei dovuto essere ricevuto in udienza il primo lunedì di ottobre del 1978 in occasione dell’assemblea plenaria del Consiglio per i laici, ma non fu possibile, morì il giovedì prima.
L’elezione di Luciani a papa la sorprese?
MOREIRA NEVES: Sì, lo conoscevo ma non pensavo alla sua elezione. Anzi, già in occasione del primo conclave del ’78 pensavo al cardinale Wojtyla.
È stato proprio Giovanni Paolo II, pochi mesi dopo la sua elezione, a promuoverla segretario della Congregazione per i vescovi.
MOREIRA NEVES: Nel giugno ’79 papa Wojtyla ha creato cardinale Ernesto Civardi, il segretario della Congregazione, che era stato anche segretario del conclave. In quell’occasione si è ricordato del suo collega al Consiglio per i laici. Attribuisco a questo la nomina al posto di Civardi avvenuta quattro mesi dopo. Alla Congregazione sono rimasto fino al settembre ’87, quando il Papa ha pensato a me come arcivescovo di São Salvador da Bahia, sede rimasta vacante dopo la morte del cardinale Avelar Brandão Vilela.
Rimase deluso di dover lasciare Roma?
MOREIRA NEVES: Più che il dispiacere di lasciare una attività che svolgevo con grande passione, prevalse la preoccupazione per la difficile sfida rappresentata dal guidare la diocesi che mi era stata assegnata. Diocesi bellissima, diocesi primaziale, diocesi che conoscevo bene anche per i rapporti di fratellanza che mi legavano al cardinale Brandão Vilela, il quale mi aveva più volte richiesto come suo coadiutore. Ma diocesi anche difficile, per la povertà materiale, per la povertà di risorse umane, per i pochi sacerdoti e seminaristi, per un sincretismo religioso che costituiva una sfida pastorale molto difficile.
Ora, dopo undici anni, torna a Roma. Cosa prevale, la gioia del ritorno o il dolore di una nuova partenza?
MOREIRA NEVES: Sono veramente diviso, tirato da una parte e dall’altra. La partenza da São Salvador è stata piena di commozione. Moltissimi sono venuti a salutarmi all’aeroporto. Ma c’è la gioia di tornare vicino al Santo Padre a lavorare direttamente per lui e aiutarlo in questo che è un momento intenso della storia della Chiesa. Ho poi la consapevolezza che il Papa mi ha voluto personalmente a questo incarico, e questa manifestazione di fiducia mi riempie di gioia.
Giovanni Paolo II l’ha annoverata anche tra i sei cardinali dell’Ordine dei vescovi.
MOREIRA NEVES: Sono doppiamente grato al Papa per questo; sia per la nomina in sé, che è un grande onore, sia perché sono il terzo latinoamericano di seguito ad avere il titolo di Sabina-Poggio Mirteto. Nella diocesi sabina mi hanno preceduto infatti il cardinale Agnelo Rossi, alla cui memoria sono legatissimo – è lui che mi ha nominato e consacrato suo vescovo ausiliare, e da lui ho avuto prove costanti di un affetto immenso e di una fiducia sconfinata – e un carissimo amico, il cardinale Eduardo Francisco Pironio.
Negli ultimi anni uno degli argomenti che più sono stati discussi in vari ambienti ecclesiali è quello della modalità di elezione dei vescovi. Sono arrivate richieste di maggiore “trasparenza”, di un maggior coinvolgimento delle Chiese locali…
MOREIRA NEVES: Credo che la formula attuale della nomina risponda alla necessità e alla possibilità di capire di cosa c’è bisogno nelle varie parti del mondo e di assicurare la nomina da parte del Santo Padre. Questo credo sia da conservare. Non escludo che ci sia la possibilità di migliorare ancora le modalità di nomina. Su questo vorrei subito sentire il Santo Padre. Vorrei che i miei primi contatti siano nel senso di capire la sua sensibilità per quello che è il suo compito forse principale, di provvedere cioè la Chiesa di pastori all’altezza delle circostanze attuali. Per quanto riguarda una maggiore partecipazione delle Chiese locali, Giovanni Paolo II è stato per anni vescovo diocesano, e quindi ha una particolare sensibilità per questo tema. Confesso che arrivando a Roma non ho ricette pronte su questo argomento, vorrei sentire il Papa per vedere cosa c’è da proporre in seno alla Congregazione, da intendersi non come gli uffici del dicastero, ma come Congregatio cardinalium.


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