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GIOVANNI PAOLO I
tratto dal n. 07/08 - 1998

Un’umanità non di facciata


Parla il cardinale Aloisio Lorscheider, arcivescovo di Aparecida, Brasile: «Luciani avrebbe certamente tenuto presente la predilezione della Chiesa per i poveri. Conservò per lunghi anni la lettera con cui il padre socialista gli dava il consenso per entrare in seminario: “Spero che quando tu sarai prete starai dalla parte dei poveri e dei lavoratori perché Cristo era dalla loro parte”»


Intervista con il cardinale Aloisio Lorscheider di Stefania Falasca


Dei 111 porporati riuniti nella Cappella Sistina in quel conclave dell’agosto del 1978 che portò all’elezione di papa Luciani, il cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider era il più giovane. Conobbe da vicino il patriarca di Venezia e a lui fu legato da sincera amicizia. Appena eletto papa, Giovanni Paolo I rivelò che il suo voto, al conclave, lo aveva riservato proprio a lui, tanta era la stima che nutriva nei confronti dell’allora presidente del Consiglio episcopale latinoamericano.
Dom Aloisio, rappresentante di una Chiesa in prima linea nella difesa dei poveri, è un testimone d’eccezione delle attese e delle speranze che portarono il patriarca di Venezia al soglio di Pietro.
Per la prima volta il porporato brasiliano accetta di raccontare ampiamente i suoi ricordi personali di quegli importanti momenti e dell’amicizia con Albino Luciani.
Lo incontriamo nella sua abitazione di Aparecida, la cittadina del più grande e venerato santuario mariano del Brasile, della quale è oggi arcivescovo.

Eminenza, il 6 agosto di venti anni fa, nel palazzo papale di Castel Gandolfo, si spegneva papa Paolo VI. Cosa ricorda dell’ultimo periodo del Pontefice? Quando fu l’ultima volta che ebbe un incontro con lui?
ALOISIO LORSCHEIDER: L’ultima volta che vidi Paolo VI fu verso la fine del suo pontificato, nel corso di una visita in Vaticano dei presidenti di alcune conferenze episcopali. In quell’occasione ricordo che Paolo VI si avvicinò e mi abbracciò, poi disse: «Voi vescovi brasiliani siete coloro che oggi lavano i piedi dei poveri». Lo disse con quel tono particolare che aveva la sua voce, una voce roca, quasi tremante e piano poi aggiunse: «Quanto vorrei io lavare i piedi dei poveri...». Mai dimenticherò quel momento e la voce di Paolo VI nel pronunciare queste parole. Sempre di Paolo VI mi colpiva la sua attenzione e il suo estremo realismo. Un realismo nel giudizio sul mondo e sulla Chiesa sofferto fino in fondo e che segnò il suo pontificato già dagli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II.
A giudizio di molti, il patriarca di Venezia Albino Luciani era il successore auspicato da Paolo VI. È così anche per lei?
LORSCHEIDER: Paolo VI nutriva una profonda stima verso Albino Luciani: lo aveva nominato patriarca di Venezia, una sede importantissima, e per conto di Paolo VI Luciani scrisse interventi sul Concordato e sulla difesa della vita. Ci fu poi quell’episodio “profetico” nel ’72 a Venezia, pochi mesi prima che Luciani venisse creato cardinale. Di fronte ad una folla immensa che gremiva piazza San Marco, Paolo VI si era tolto dalle spalle la stola pontificia e l’aveva messa addosso al patriarca dicendogli: «Lei merita questa stola» e il povero Luciani divenne tutto rosso. Credo che non solo il patriarca di Venezia fosse il successore auspicato da Paolo VI, ma colui che tra gli altri meglio avrebbe seguito e seguì gli orientamenti fondamentali del suo magistero.
In un libro che raccoglie le confidenze di papa Luciani al cardinale Villot, è scritto che uno dei desideri urgenti del nuovo Papa era quello di incontrare presto «il presidente del Celam, cardinale Aloisio Lorscheider, che conosco da anni e al quale ho dato il mio voto al conclave». Dunque vi conoscevate bene? Quando lo incontrò la prima volta?
LORSCHEIDER: Non ricordo precisamente le prime volte che ebbi modo di incontrare Luciani, forse durante qualche sinodo a Roma, ma conoscevo alcuni suoi scritti e lo stimavo per questi. Mio cugino Ivo Lorscheiter, vescovo di Santa Maria, nel sud del Brasile, lo conosceva invece personalmente già da tempo ed era legato a lui da profonda amicizia. Luciani gli voleva molto bene e aveva grande stima di lui. Credo che il cardinale Luciani, se è vero che ha votato per me al conclave, lo ha fatto anche pensando a lui. Nel novembre del ’75, in occasione del centenario dell’immigrazione italiana nella regione di Santa Maria, dom Ivo invitò il patriarca di Venezia a visitare le comunità venete della sua diocesi. Fu in quella occasione che ebbi modo di conoscerlo da vicino.
Cosa ricorda di quel viaggio in Brasile del cardinale Luciani?
LORSCHEIDER: Nella diocesi di Santa Maria, Luciani si fermò quattro giorni. Durante questo periodo riposò poco: visitò istituti, chiese, religiosi, periferie povere, fermandosi tra le comunità di origine italiana. In ogni luogo in cui arrivava pronunciava un breve discorso senza mai ripetersi e molti piangevano ascoltando parlare il patriarca della loro terra, soprattutto quando si esprimeva loro in dialetto veneto. Celebrò la festa della Madonna di tutte le grazie, particolarmente venerata in quella zona, pronunciando una bellissima omelia in portoghese. Ricevette poi dall’Università Federale la laurea honoris causa per il suo celebre Illustrissimi e in quell’occasione fece un intervento sulla virtù della prudenza. Alla fine di quella visita facemmo insieme il viaggio di ritorno fino a Rio de Janeiro. Luciani era a quell’epoca anche vicepresidente della Conferenza episcopale italiana. Durante il viaggio avemmo un cordiale e franco scambio di idee circa le funzioni che deve avere una conferenza episcopale.
Che impressione ebbe allora della sua persona?
LORSCHEIDER: Di un uomo affabile e di una bonomia condita anche da una vena di umorismo. Un uomo di grande zelo apostolico con un amore senza ostentazione per i poveri, arguto nel pensiero e fermo nella dottrina.
Tutte le ricostruzioni sottolineano il ruolo decisivo dei cardinali brasiliani nella scelta di Luciani al conclave dell’agosto ’78. Lo storico Gabriele De Rosa ha scritto anzi che quella di Luciani era una candidatura coltivata e preparata da tempo dai latinoamericani. È vero questo?
LORSCHEIDER: Non c’era stata, per quanto mi risulta, alcuna preparazione. Personalmente avevo una certa sintonia con il cardinale Arns, ma degli altri tre cardinali brasiliani, ad esempio, non saprei dire se conoscessero da vicino Luciani. Albino Luciani non era molto conosciuto dalla Conferenza episcopale brasiliana. Il suo nome poi neppure compariva nelle liste dei possibili papabili che circolavano sulla stampa, tanto che, ricordo, poco prima dell’apertura del conclave, venne da me un giornalista presentandomi una lista di nomi. Leggendola, gli feci osservare che mancava il nome del patriarca di Venezia. Io in quel momento lo dissi così... in modo del tutto innocente. E lui mi ringraziò perché a quel nome non aveva proprio pensato.
Eppure lei, proprio a pochi giorni dal conclave, rilasciò un’intervista in cui tracciava il profilo di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo papa. In quell’intervista testualmente disse: «Il nuovo papa dovrebbe essere prima di tutto un buon padre spirituale, un buon pastore, come lo era stato Gesù, che svolge il proprio ministero con pazienza e disponibilità al dialogo... dovrebbe essere sensibile ai problemi sociali... deve rispettare e incoraggiare la collegialità dei vescovi... non dovrebbe tentare di imporre ai non cristiani soluzioni cristiane...». Tutti lo lessero come un identikit di Luciani...
LORSCHEIDER: Queste caratteristiche non esprimevano altro che gli orientamenti di quel collegio cardinalizio. Il punto fondamentale era che si voleva un papa che fosse innanzitutto un buon pastore. Si pensava poi a un italiano, non di Curia. Il nome di Albino Luciani venne fuori durante il conclave.
E fu un conclave rapidissimo, uno dei più brevi della storia. Il consenso per il cardinale Luciani fu quasi plebiscitario. Come si verificò questa convergenza tra persone con sensibilità tanto diverse?
LORSCHEIDER: Dopo i primi scrutini sembrava prospettarsi un conclave non breve. Poi, all’improvviso, i consensi sul patriarca di Venezia divennero massicci. Per me quel risultato fu veramente opera di un intervento provvidenziale dello Spirito Santo. Ma proprio questa unanimità rivelò che non era un Papa programmato per un determinato progetto politico. Con l’elezione di Luciani erano saltati gli schieramenti tra conservatori e progressisti, proprio per quelle caratteristiche cui si accennava prima e per la particolare fisionomia di Luciani, incentrata sull’essenziale.
Ricorda la reazione di Luciani alla sua elezione?
LORSCHEIDER: Dalla posizione in cui mi trovavo nell’aula potei guardarlo bene in volto... Luciani divenne pallido e alla domanda di rito rivoltagli dal cardinale Villot, con un filo di voce rispose: «Accetto». Quando siamo andati poi a rendergli omaggio, a tutti ripeteva: «Cosa avete fatto? Che Dio vi perdoni per quello che avete fatto...». «Santo Padre, abbia animo, Dio non vi abbandonerà» gli risposero allora alcuni, e lui: «Sono un povero papa». Anche il 30 agosto, alla prima udienza con i cardinali disse: «Spero che aiuterete voi cardinali questo povero Cristo, il Vicario di Cristo, a portare la croce». Il modo con il quale pronunciò queste parole mi fece molta impressione. Era il Papa a parlare così. La sua umile umanità non era di facciata. Era un’umiltà schietta, quella che nasce solo dalla coscienza di essere poveri peccatori e dalla esperienza del perdono.
Ci fu poi la prima udienza generale all’aula Nervi. Lei era presente?
LORSCHEIDER: Ricordo che Giovanni Paolo I chiamò vicino a sé un bambino e con tanta semplicità si mise a conversare con lui del catechismo. Ebbi in quel momento l’assoluta certezza che lui era l’uomo giusto: un Papa che si comporta da parroco, che ragiona da parroco... Quale dono più grande può avere la Chiesa?
Secondo lei su quali vie avrebbe camminato il pontificato di Giovanni Paolo I?
LORSCHEIDER: È difficile dirlo. Ma possiamo basarci su quanto aveva già mostrato. Il tratto che avrebbe caratterizzato il suo magistero sarebbe stato senza dubbio la simplicitas evangelica. Nel suo discorso programmatico Luciani dichiarò esplicitamente di voler essere fedele solo alla grande disciplina della Chiesa che risale alle fonti della fede. Quindi un parlare semplice, pochi discorsi, brevi e alla portata di tutti. Lui diceva che le sue prediche dovevano essere comprese anche dalle persone più incolte. Avrebbe poi privilegiato l’attenzione alla diocesi di Roma e al tempo stesso avrebbe favorito la collegialità coinvolgendo concretamente i vescovi e i cardinali nel governo pastorale. Avrebbe certamente tenuto presente la predilezione della Chiesa per i poveri. Luciani conservò per lunghi anni la lettera con cui il padre socialista gli dava il consenso per entrare in seminario: «Spero che quando tu sarai prete starai dalla parte dei poveri e dei lavoratori perché Cristo era dalla loro parte». E più volte Luciani ricordò di essere stato impressionato da quel punto del catechismo dove si dice che la frode verso gli operai è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. Per Luciani era questo il criterio per giudicare le questioni economiche e politiche, di qui i suoi giudizi anche molto duri sul capitalismo e lo sfruttamento del Terzo Mondo.
Sappiamo che Luciani, negli anni che precedettero l’enciclica Humanae vitae, fu possibilista sulla contraccezione. Secondo lei che posizione avrebbe assunto sui temi di etica sessuale?
LORSCHEIDER: Non si possono fare previsioni certe. Di certo si può dire che non sarebbe andato in opposizione alla Humanae vitae dando piena adesione al pronunciamento di Paolo VI di cui illustrava ai suoi fedeli il punto di vista: «La dottrina di sempre garantisce meglio il vero bene dell’uomo e della famiglia». Ma per lui la questione rivestiva un interesse più pratico che teorico: gli interessava il rapporto umano con i fedeli. Per questo, credo, probabilmente non avrebbe insistito sull’argomento, privilegiando la misericordia di Dio verso il peccatore piuttosto che la coerenza dell’uomo. Quest’aspetto è espresso frequentemente da Luciani in molti suoi interventi: «Nessun peccato è troppo grande, nessuno più della misericordia di Dio».
Alcuni tuttavia, pur apprezzando la semplicità di Luciani, lo hanno descritto come un “ingenuo sprovveduto”, inadeguato a governare la Chiesa...
LORSCHEIDER: Al contrario, direi che proprio la semplicità pastorale e l’essere rimasto se stesso sono stati la sua forza. Non è certo segno di debolezza il voler rimanere se stessi e non aggiungere nulla agli elementi e alle funzioni essenziali del primato di Pietro. Questo avrebbe portato anzi a dei cambiamenti anche nella struttura della Chiesa, nella Curia e nel rapporto del papa coi vescovi.
Eppure, Luciani stesso era consapevole del suo limite, tanto che di se stesso diceva: «Io, come Albino Luciani, sono una ciabatta rotta, ma come Giovanni Paolo I èDio che opera in me».
LORSCHEIDER: Giovanni Paolo I era ben cosciente che non è il papa a fare la Chiesa. «Noi sacerdoti» diceva spesso «possiamo istruire, illuminare, convincere anche, ma non di più. Solo la grazia di Dio può toccare il cuore e convertire».
Quando è stata l’ultima volta che lo vide?
LORSCHEIDER: È stato il giorno dell’incoronazione. Non ho poi più avuto alcun contatto con lui. Il vescovo Ivo Lorscheiter ebbe invece la fortuna di essere ricevuto a pranzo da Giovanni Paolo I durante i trentatré giorni del suo pontificato. Mi parlò di quell’incontro estremamente amichevole e cordiale e mi riferì che il Papa aveva apprezzato l’intervista che come presidente del Celam avevo rilasciato ad Avvenire sulla conferenza della Chiesa latinoamericana fissata a Puebla.
Proprio riguardo quell’assemblea generale dell’episcopato latinoamericano si è scritto che alcuni cardinali premevano perché il Papa la presenziasse. Papa Luciani, a differenza di quanto fece poi il suo successore, non riteneva necessaria la sua presenza, tanto che declinò l’invito. Perché, secondo lei, aveva preso questa decisione riguardo a Puebla?
LORSCHEIDER: Sapevo che il Papa non sarebbe venuto. Credo che la sua priorità in quel momento fosse quella di rimanere a Roma, la città di cui da poco era divenuto vescovo.
Non chiese neppure di rimandarla?
LORSCHEIDER: No. Avrebbe lasciato che i vescovi latinoamericani conducessero l’assemblea in comunione con lui.
Giovanni Paolo I morì nella sua stanza, la notte tra il 28 e il 29 settembre. Si parlò di infarto miocardico. Come apprese della morte? Aveva notizie sulle condizioni generali di salute del Papa?
LORSCHEIDER: In quei giorni mi trovavo a Brasilia per una riunione della Conferenza episcopale brasiliana. Nel corso di quella riunione ebbi un malore e venni portato all’ospedale militare. Ricordo che il mattino seguente venne da me il generale Figueredo, allora candidato alla presidenza del Paese, e mi disse: «Eminenza, il Papa è morto». Risposi: «Sì, sì, lo so, c’è stato il funerale...». E lui: «No, eminenza, non parlo di Paolo VI, ma di questo Papa, Giovanni Paolo I...». Rimasi senza fiato. Mi costò molto accettare la triste notizia. Mai mi sarei aspettato questo. Nessun indizio, nessun segnale negativo mi giunse riguardo alla salute di papa Luciani. Lo dico con tutta sincerità, mai ho dubitato delle sue condizioni fisiche. Anzi, per quanto ebbi modo di vedere personalmente anche durante il suo viaggio in Brasile, Luciani aveva mostrato una forte resistenza fisica.
Come sa, la morte improvvisa e alcune notizie false contenute nella versione ufficiale fornita dal Vaticano alimentarono inquietanti sospetti. Sulla sua morte vennero poi scritte molte cose, si parlò anche di “omicidio morale”. Secondo lei, c’era lo spazio per legittimare tali sospetti?
LORSCHEIDER: Non mi interessano le cose che sono state scritte, né tutta la letteratura che è fiorita attorno alla sua morte. Tuttavia, lo dico con dolore, il sospetto rimane nel nostro cuore, è come un’ombra amara, un interrogativo a cui non si è data piena risposta.
Come accadde che lo stesso conclave, nell’ottobre successivo, elesse un Papa così diverso da Luciani?
LORSCHEIDER: Oggi non si può negare la grande differenza che sussiste tra l’attuale pontificato e quello che lo ha preceduto. Ma il conclave che si riunì dopo la morte di Giovanni Paolo I si mosse nell’identica direzione che aveva portato all’elezione del patriarca di Venezia. Gli intenti erano gli stessi. Si voleva ancora un papa che avesse quei requisiti, che fosse principalmente pastore. Se poi le circostanze e le persone si evolvono, questa è un’altra faccenda.
Nel 1990, a dodici anni dalla scomparsa di papa Luciani, l’episcopato brasiliano inoltrò all’attuale Pontefice la richiesta di introduzione della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I. Come partì questa iniziativa?
LORSCHEIDER: La richiesta maturò all’interno della nostra Conferenza episcopale, anche per sollecitazione di altri episcopati vicini, motivata dalla grande ammirazione e venerazione verso la figura di Albino Luciani.
Che fine ha fatto questa richiesta? Avete ricevuto risposte al riguardo?
LORSCHEIDER: No, nessuna. Ma normalmente, seguendo la prassi, a questo tipo di richieste non si risponde in via ufficiale.
E in via non ufficiale? Magari ha ricevuto qualche commento o l’impressione che vi siano delle riserve sull’opportunità dell’iniziativa?
LORSCHEIDER: Questo non lo escludo. Niente tuttavia è stato riferito a me personalmente.
Non ha l’impressione che oggi nella Chiesa si sia dimenticata la figura di papa Luciani?
LORSCHEIDER: Forse in alcuni ambienti la sua memoria è oggi poco viva. Ma non è così per i fedeli. La gente semplice sa riconoscere e difficilmente dimentica chi si mostra loro con l’amore, con l’affetto di un buon padre. Ricordo che dopo la sua elezione, quando ero a Fortaleza, vennero a trovarmi alcuni studenti universitari. «Eminenza,» mi dissero «siamo venuti per ringraziarla». «Di cosa?», risposi. «Siamo venuti per ringraziare lei e tutti i cardinali di averci dato un papa come Giovanni Paolo I». «Vi piace molto?», chiesi. Mi risposero: «Sì, lui sa come parlare al cuore della gente».
Credo che il suo breve pontificato sia stato come un grande respiro nella vita della Chiesa. Come l’aprirsi di una limpida giornata... Abbiamo saudade, nostalgia di quel sorriso.
Sono convinto che un giorno, volendo o non volendo, papa Luciani salirà agli onori degli altari.
E se le chiedessero ora di riproporre la richiesta di beatificazione?
LORSCHEIDER: La sottoscriverei subito, certamente. Ma noi come vescovi brasiliani questa richiesta l’abbiamo già ufficialmente inoltrata. Non è più da qui che deve ripartire l’iniziativa. Sarebbe importante ora che una sollecitazione in tal senso venisse promossa ad esempio dai vescovi del Triveneto. Di questo voglio parlare, lo farò appena tornerò in Italia. Ne parlerò con il patriarca di Venezia, il cardinal Cé.


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