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PERSONAGGI
tratto dal n. 05 - 1998

Schuman. Un politico santo?


Lo statista francese è stato uno dei padri dell’Europa. In questo articolo un ex vicepresidente del Parlamento europeo ne ripercorre la vita. E spiega perché è in corso una causa di beatificazione


di Hans August Lücker


Robert Schuman. Statista, padre dell’Europa, un politico santo? Parto da questa definizione di Robert Schuman – che è anche il titolo di un film trasmesso dalla televisione tedesca nell’agosto 1995 e realizzato con la mia collaborazione – per invitare a riflettere su di un punto: Robert Schuman deve essere proclamato beato. Il processo di beatificazione, avviato nel 1990, terminerà probabilmente nel corso del Giubileo del 2000. Alcuni, anche estranei alla Chiesa cattolica, approvano la proposta in modo più o meno entusiasta; altri, invece, sono scettici o contrari, perché ritengono che la beatificazione sia una cosa di altri tempi, oppure pensano che sia inconciliabile con l’attività di un uomo politico di fama internazionale. Il famoso regista Peter Scholl-Latour già negli anni Sessanta aveva girato un film su Robert Schuman; la frase conclusiva diceva: «Nei tempi passati, quest’uomo sarebbe stato canonizzato».
Chi è, o meglio, chi è stato Robert Schuman? Cosa significa oggi per noi? Può servirci da modello? Il suo messaggio merita ancora di essere ascoltato?
Robert Schuman nacque il 29 giugno 1886 in Lussemburgo. Il padre, di origine francese, era funzionario in Lorena quando sposò una lussemburghese. Nel 1881, dopo il matrimonio, si trasferì nella casa della moglie a Clausen in Lussemburgo e lì nacque Robert. Questi trascorse una giovinezza non banale, ma neanche eccezionale, nella casa dei genitori, dove si respirava un’atmosfera profondamente cattolica. La sua ottima educazione fu merito soprattutto della madre. Perse il padre all’età di tredici anni e ne aveva appena ventiquattro quando gli morì anche la madre in seguito a un incidente stradale. La scomparsa della madre lo toccò a tal punto che per qualche tempo ebbe l’idea di prendere i voti, ma un amico di famiglia insistette perché restasse laico per corrispondere alle esigenze del mondo e gli disse: «I santi del nostro secolo girano in giacca e cravatta».
Il periodo di studi trascorso al Gymnasium Athenäum di Lussemburgo, lo stretto rapporto con la Chiesa e il suo messaggio, influenzarono profondamente l’educazione del ragazzo. Volendo proseguire gli studi in Germania, come la maggioranza dei lussemburghesi, per poi intraprendere una professione, dovette passare nuovamente la maturità al liceo tedesco di Metz. Quindi frequentò la facoltà di Giurisprudenza all’Università di Bonn, dove si iscrisse alla associazione degli studenti cattolici Unitas e alla Società Görres, delle quali rimase membro per tutta la vita. I padri spirituali della Unitas, san Tommaso d’Aquino e san Luigi Gonzaga, esercitarono un influsso particolare sul pensiero e sul carattere di Robert Schuman. La Società Görres era l’espressione di maggior spicco del cattolicesimo politico in Germania, così come esso si era sviluppato in antitesi al Kulturkampf, la guerra per la laicizzazione culturale promossa da Bismarck. Dall’Università di Bonn Schuman si trasferì a quella di Monaco di Baviera, dove frequentò anche dei corsi di finanza e di economia. Un’importanza particolare nella formazione del ragazzo la ebbero lo studio dei Fondamenti filosofici delle religioni sotto la guida del professor Seitz e quello di Filosofia del diritto con il professor Härtling a Monaco, e poi, a Berlino, lo studio della Organizzazione dello Stato presso i Greci con il professor Willamowitz-Möllendorf. Per l’ampiezza e la profondità degli studi e per la conoscenza della storia, Schuman era provvisto di una formazione umanistica e spirituale senza dubbio fuori del comune.
Maturò così in lui uno spirito umanitario di matrice cristiana legato a una fede profonda. Era ormai pronto ad assumere incarichi importanti e di responsabilità. L’assidua frequentazione dell’ambiente che a Maria Laach faceva capo all’abate benedettino Willibrod Benzler, nominato successivamente vescovo di Metz, trasmise al giovane Robert il messaggio di san Benedetto da Norcia, patrono dell’Europa. In tale ambiente conobbe, tra gli altri, il futuro cancelliere tedesco Heinrich Brüning; il fondatore dell’Associazione degli accademici tedeschi, Franz Xaver Münch e Karl Sonnenschein, l’artefice di grandi riforme sociali. La “settimana liturgica” – la settimana santa – del 1913 a Maria Laach rappresentò per Schuman un momento chiave nell’approfondimento del mistero pasquale, ma fu fondamentale soprattutto per l’incontro con l’opera di san Paolo, come ebbe modo di rivelare lui stesso in uno scritto posteriore. Nel 1912 il vescovo Benzler gli affidò la direzione della gioventù cattolica della diocesi di Metz e nel 1913 l’organizzazione del Katholikentag, l’assemblea generale dei cattolici tedeschi. Questi incarichi – che normalmente venivano affidati a religiosi – mostrano la grande fiducia che il vescovo riponeva nel laico Schuman.
Nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, Robert Schuman fu nominato membro del Consiglio comunale di Metz; quindi fu eletto deputato del Partito popolare cattolico della Lorena all’Assemblea nazionale di Parigi con un gran numero di preferenze. Esercitò questi mandati fino al 1962, un anno prima della sua morte, costretto ad interromperli soltanto durante il periodo della seconda guerra mondiale. Nell’inverno 1961-62 fu vittima di un incidente da cui non riuscì più a ristabilirsi.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale era sottosegretario per i rifugiati e fu costretto a fuggire a Bordeaux con i suoi alsaziani e lorenesi. In questa città si rifugiarono anche il governo e l’Assemblea nazionale. Il maresciallo Pétain gli offrì un ministero nel suo governo, ma egli lo rifiutò. Ritornò invece a Metz per restare accanto ai suoi concittadini in quel doloroso momento. Nel settembre 1940 fu arrestato e imprigionato a Metz dalla Gestapo, la polizia segreta di Hitler. Il comandante distrettuale Bürkel tentò di guadagnarlo alla causa nazista e lo fece perciò trasferire a Neustadt nella Renania-Palatinato in regime di “detenzione speciale”. Ma Schuman non era tipo da cedere a tali proposte. Il 2 agosto 1942 riuscì fuggire con l’aiuto di un ufficiale tedesco dello stato maggiore dell’ammiraglio Canaris; poté così raggiungere la Francia libera e dedicarsi nuovamente ad aiutare i rifugiati alsaziani e lorenesi. Quando il generale Leclerc, nel 1944, provenendo da Lione, liberò l’Alsazia-Lorena, nominò Schuman suo consigliere politico. Nel novembre 1944 divenne membro del Movimento repubblicano popolare (Mrp), di ispirazione cristiano-democratica, che era stato appena fondato. Nel mese di ottobre 1945 i suoi fedeli lorenesi lo rielessero a grande maggioranza deputato dell’Assemblea nazionale.
Era così giunto il momento per realizzare i suoi grandi progetti. Le sue idee politiche e le sue azioni sono frutto di una profonda fede; da essa ebbe origine la volontà e la forza di quell’uomo politico che concepì la sua attività come una missione affidatagli da Dio al servizio dell’umanità. Esiste una testimonianza di Schuman del novembre 1945 che è una chiave per conoscere meglio la sua personalità. Egli scrive: «Siamo tutti strumenti imperfetti della Provvidenza, la quale si serve di noi per realizzare grandi progetti. Tale convinzione ci obbliga ad una estrema modestia, ma ci infonde anche la dose di fiducia necessaria per portare a termine il compito affidatoci». Questo suo atteggiamento e l’eccezionalità delle circostanze in cui si trovò ad operare, mettono in luce l’unicità del personaggio e della sua azione. Schuman fu un coraggioso esponente dell’apostolato laico, apostolato che trova la sua espressione anche nell’alto senso di responsabilità tipico del suo operato di uomo politico e ne influenza il pensiero e l’opera. L’uomo di oggi vive, rispetto al passato, in un mondo sempre più dilaniato dai conflitti. Chi vive l’apostolato dei laici si pone consapevolmente di fronte ai conflitti e alle tensioni che riflettono lo spirito contraddittorio del nostro tempo.
In questo scritto vorrei ricordare l’eccezionale importanza dell’opera e della figura di Robert Schuman, limitandomi a cinque esempi:
1. La realizzazione della riforma monetaria del 1947 in Francia quando era ministro delle Finanze.
2. Il salvataggio della Francia dal tentativo di colpo di Stato di stampo comunista quando era capo del governo (novembre 1947-settembre 1948).
3. La salvaguardia della sicurezza e della difesa nella libera Europa durante la guerra fredda con l’adesione alla Nato.
4. La creazione di un’Europa unita.
5. Il contributo che diede per fare inserire nuovamente la nazione tedesca nel gruppo degli Stati occidentali.
L’importanza storica dei primi tre episodi si spiega con le mire espansionistiche dell’Unione Sovietica. Nell’autunno 1945 i comunisti tentarono di impadronirsi del potere in Grecia, sostenuti ancora in quel periodo dalla Jugoslavia di Tito e dai forti partiti comunisti dell’area del Mediterraneo. Gli Stati Uniti si mobilitarono decisi ad opporvisi e – grazie a Dio – giunsero in tempo. L’intesa fra Usa e Urss nata durante la seconda guerra mondiale andò così in frantumi. La risposta americana all’imperialismo sovietico fu la celebre dottrina del presidente Harry Spencer Truman del marzo 1946; lo storico discorso tenuto dal ministro degli Esteri statunitense James Francis Byrnes nel settembre dello stesso anno segna la “grande svolta” della politica mondiale.
La cortina di ferro che divideva l’Europa da Lubecca a Trieste e la guerra fredda furono le conseguenze dell’opposizione morale e materiale tra le democrazie occidentali, nonostante tutto ancora di stampo cristiano, e il sistema statalista e ateo della dittatura comunista. Tutti sanno come andarono le cose. Giustamente ci si chiede se il nostro mondo occidentale abbia dato una risposta giusta a questa sfida globale: il crescente materialismo del nostro tempo e il “cinico” liberalismo che domina la nostra morale e i nostri costumi non sono certamente una risposta positiva e valida. Non dobbiamo dimenticare le parole dell’ultimo segretario generale del Partito comunista sovietico, Gorbaciov, il quale nel corso di una dichiarazione pubblica ha riconosciuto che «senza questo Papa [Giovanni Paolo II] il cambiamento epocale segnato dal crollo del comunismo non sarebbe stato né pensabile né realizzabile». Da questa verità storica dobbiamo saper trarre le conseguenze. Che altro, se non una politica basata sui valori cristiani avrebbe potuto costruire un mondo di libertà, di pace, di solidarietà e di benessere? E tale è stata la politica promossa da Robert Schuman, da Alcide De Gasperi e da Konrad Adenauer dopo la seconda guerra mondiale. Non ci ha giovato forse una simile politica? Ecco una questione sulla quale faremmo bene a riflettere. In questo importante periodo storico Schuman è stato capo del governo e poi ministro degli Esteri della Francia, nonché figura di spicco sulla scena politica internazionale.
Dopo l’immenso disastro provocato dall’ultima grande guerra, con la conseguente caduta dei valori spirituali, morali, umani e materiali, gli uomini e i popoli dovevano riflettere per non ricadere nell’odio reciproco, dovevano riappropriarsi dei valori del messaggio cristiano: riconciliazione e pace. Il triunvirato cristiano-democratico europeo indicò ai nostri popoli questa strada e questa meta. Schuman esordì nella storica dichiarazione del 9 maggio 1950 con queste lapidarie parole: «La pace mondiale non può essere salvaguardata senza sforzi costruttivi, proporzionati ai pericoli che la minacciano». La sua celebre affermazione: «La pace in Europa è la chiave della pace mondiale, e la necessaria premessa per la pace in Europa è la riconciliazione tra Francia e Germania» viene normalmente interpretata come un’esortazione alla realizzazione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca). Ma questo non è esatto. Infatti Schuman nella stessa dichiarazione dice esplicitamente in due occasioni (par. 5 e 10): «La Ceca è il primo passo verso una federazione europea». E poi (par. 10): «La Ceca è la pietra fondamentale per una federazione europea necessaria al mantenimento della pace». Che lungimiranza straordinaria! Osserviamo l’Europa dei nostri giorni: quando Robert Schuman la sera del 9 maggio 1950, nel salone dell’Orologio del Quai d’Orsay (sede del Ministero degli Esteri, ndr), notificò alla stampa internazionale la sua iniziativa, il mondo intero tenne il fiato sospeso: le sue conseguenze hanno cambiato il mondo.
Quasi contemporaneamente venne elaborata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo la Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che rappresenta uno dei massimi traguardi dello spirito e della cultura europei. Essa venne firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai ministri degli Esteri dei dieci Paesi allora membri del Consiglio d’Europa. Venne poi ratificata ed entrò in vigore il 3 settembre del 1953. Negli Stati membri essa ebbe subito valore costituzionale. Oggi gli Stati membri sono diventati 40, con un totale di 600 milioni di cittadini. La Convenzione è servita da modello all’analoga convenzione stipulata dall’Organizzazione degli Stati americani (Oas) entrata in vigore nel 1978. Ancora oggi essa costituisce il fondamento spirituale e morale della politica delle Nazioni Unite e di quella dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. La Convenzione è la riprova della validità di un ethos a livello internazionale, profondamente radicato nel valore cristiano dell’humanitas, e deve essere intesa come risposta alla barbarie e alla tirannide delle dittature di stampo comunista e nazista.
Schuman, in qualità di ministro degli Esteri francese, e soprattutto come presidente del Comitato ministeriale del Consiglio d’Europa, ha influenzato in maniera sostanziale, direttamente o indirettamente, l’impostazione della Convenzione.
Da quarantasette anni i popoli dell’Europa sono in cammino verso la meta indicata dal triunvirato cristiano europeo: Schuman, De Gasperi e Adenauer. Per alcuni la stiamo raggiungendo troppo in fretta, per altri troppo lentamente. Una cosa però è certa, stiamo percorrendo questa strada faticosamente, assillati da dubbi e speranze, segnando il passo e facendo progressi. Ogni Paese porta sulle spalle il proprio bagaglio storico tradizionale. Alcuni, nostalgici della grandezza e del fasto di un impero ormai tramontato, non riescono ad accettare in tempi brevi una “normale” appartenenza ad una comunità di Stati e di popoli. Altri, al contrario, non riescono a disfarsi rapidamente di un passato ingombrante per poter legare il proprio futuro alla nuova comunità di Stati. Occorre dunque agire con misura e pazienza e conservare il rispetto reciproco di fronte agli sforzi e alle difficoltà degli altri. Ce lo hanno insegnato Schuman e i suoi colleghi, e l’Unione europea si trova ancora oggi – dopo Maastricht e Amsterdam – a percorrere questo stesso cammino. Il vertice europeo che si terrà nel dicembre di quest’anno a Lussemburgo ribadirà con fermezza e chiarezza questa linea perché, se la nostra Europa, con i noti problemi che la assillano dall’interno e dall’esterno, vuole vincere la sfida con il futuro, non ha alternativa; infatti l’Europa è ancora alla ricerca di una propria identità.
Robert Schuman ripeteva continuamente a noi, suoi giovani colleghi, questo insegnamento, perché lo imprimessimo nella memoria. I grandi uomini del nostro triunvirato conoscevano la storia europea nei suoi aspetti migliori e in quelli peggiori, appartenevano tutti alla medesima generazione, erano uomini formati nella cultura neolatina e germanica e, sin dagli anni Venti, erano impegnati attivamente nella realizzazione di una nuova Europa senza guerre e senza rivalità nazionalistiche. Questi uomini erano le giovani leve del Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo. Sturzo era stato in tutte le capitali europee tra il 1919 e il 1921 per persuadere i governi e i partiti con il suo piano per la costruzione di una nuova Europa. Proponeva un mercato comune, un’economia e un commercio comunitari, la trasformazione della politica coloniale in politica di sostegno reciproco, il disarmo controllato e lo sviluppo per gradi di una politica comune. I sedici partiti europei di matrice cristiana, sotto la direzione di don Sturzo, difesero questo progetto in cinque congressi. L’ultimo di essi si tenne nel 1932 a Colonia, in Germania, città nella quale Adenauer era allora sindaco. Alcide De Gasperi era segretario generale del partito di don Sturzo. Robert Schuman, nelle vesti di delegato nazionale, militava nel partito di Marc Sagnier il quale, assieme a don Sturzo, era il rappresentante ufficiale della coalizione. Da questa collaborazione, nel mese di luglio 1943, maturò il programma di De Gasperi per la fondazione della Democrazia cristiana. In questo programma, De Gasperi riprese il filo delle riflessioni che aveva fatto negli anni Venti, col titolo La nuova comunità internazionale. Nel marzo del 1944 vide la luce la Dichiarazione di Lucerna, nella quale prendono forma concreta le idee per la creazione di una nuova Europa. Eccone le linee fondamentali:
– Creazione di un ordine europeo di tipo federale, nel quale i Paesi si dichiarino disposti a eliminare il principio della sovranità nazionale assoluta. Questa organizzazione di tipo federale dovrebbe essere, sin dall’inizio, sufficientemente forte e ampia da evitare il pericolo di trasformarsi in una zona di influenza di una potenza straniera o nello strumento di egemonia politica di un suo Stato membro.
– La pace in Europa è la chiave per la pace nel mondo. La soluzione del problema tedesco deve essere considerata nell’ambito del nuovo ordine federale, al fine di consentire la partecipazione del popolo tedesco alla vita degli altri popoli europei. La storia ci insegna, infatti, che senza la Germania è impossibile realizzare un’Europa libera e pacifica.
– La federazione europea dovrà avere come fondamento la Dichiarazione dei diritti dell’uomo – diritti individuali, politici ed economici –, per consentire il libero sviluppo della persona umana e il normale funzionamento delle istituzioni democratiche.
La Dichiarazione di Lucerna fu alla base della politica comune promossa dai partiti europei di ispirazione cristiana, decisa a Lussemburgo nel corso della conferenza tenutasi dal 30 gennaio al 2 febbraio 1948, presieduta da Luigi Sturzo e da Marc Sagnier.
È stato un puro accidente della storia che questi grandi uomini abbiano esercitato un ruolo internazionale di primo piano nel dopoguerra e contemporaneamente siano stati a capo dei governi dei loro Paesi? Oppure è stata opera della Provvidenza? Sono loro i padri fondatori dell’Europa unita: Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Paul van Zeeland, Dirk Stikker e Joseph Bech.
Nel giugno 1947, il ministro degli Esteri americano Marshall aveva annunciato il famoso Piano che porta il suo nome. Voleva risollevare l’Europa e prepararla per far fronte a un eventuale progetto espansionistico da parte dell’Unione Sovietica. Contemporaneamente iniziarono le trattative diplomatiche per la fondazione della Nato e del Consiglio d’Europa. Il cambiamento della situazione politica mondiale permise agli statisti cristiano-democratici di uscire dall’ombra e di proporre la loro idea politica dell’Europa. Fino a questo momento, essi non avevano infatti rivelato apertamente il loro progetto, per timore di comprometterlo. Dettero così prova di saper attendere con pazienza e saggezza l’ora favorevole, che si presentò con l’annuncio della “dottrina Truman”.
Il nostro triunvirato, e Schuman in particolare, era cosciente che l’iniziativa di una simile politica poteva venire solo dalla Francia. Egli prese su di sé la responsabilità di questo compito storico, sentendosi come «uno strumento imperfetto nelle mani della Provvidenza». Tuttavia, il suo pensiero e la sua attività non erano sottomessi alla prioritaria e tacita obbedienza a una autorità ecclesiastica, ma dipendevano unicamente dalla sua stessa coscienza. Per Schuman è essenziale l’idea di “comunità”; in essa si trova il cammino da percorrere insieme che tiene conto delle necessità di ognuno in una prospettiva non più individuale, bensì, per l’appunto, comunitaria. Essere una comunità significa rinunciare volontariamente alla sovranità nazionale, senza però eliminare i singoli Stati nazionali: essa consente di salvaguardare la propria identità con una sovranità ridotta che tuttavia porta allo sviluppo e all’arricchimento di tutti gli Stati membri. In ambito culturale, tutte le qualità e i talenti specifici di ogni singolo popolo, nei loro vari aspetti, devono rimanere. Questa diversità dello spirito europeo forma l’unità di una comunità culturale fondata sui principi della tradizione cristiana.
Con questa visione, Schuman ha infuso nuova linfa vitale ai fondamenti del cristianesimo e contemporaneamente ha promosso un nuovo modo di pensare e di agire che ha cambiato il mondo e si è imposto come compito futuro la salvaguardia della pace in Europa e nel mondo. Responsabilità cristiana e integrazione europea costituiscono per Schuman un’unità personificata e incarnata.
Tutto il suo pensare e il suo agire riflettono una precisa idea della differenza tra il regno di Cesare e il regno di Dio. Negli incontri serali con noi, i suoi amici, ci conduceva nei sentieri delle sue riflessioni e ci faceva risalire alle due sorgenti alle quali egli continuamente attingeva: il cristianesimo e la storia. Riporto una delle sue osservazioni: «Il cristianesimo ha cambiato il mondo; pensiamo al cambiamento che l’imperatore Costantino il Grande promosse con papa Silvestro I all’inizio del IV secolo. Circa duecento anni dopo, san Benedetto con i suoi monaci cristianizzò tutta l’Europa occidentale e con il celebre motto ora et labora nobilitò il lavoro umano che fino a quel momento era svolto quasi esclusivamente dagli schiavi. Tre secoli dopo l’imperatore Carlo Magno elevò la regola di san Benedetto a legge imperiale e, quale erede di Costantino, diede vita all’Occidente cristiano. Le idee del cristianesimo vennero prese a modello anche da individui che, pur rigettando ogni tipo di dogmatismo religioso, accolsero tuttavia il complesso di valori che è alla base del cristianesimo. Questi valori fondamentali, che derivano dalla somiglianza dell’uomo con Dio creatore, sono poi diventati, attraverso i secoli, le norme basilari della nostra cultura, valide ancora oggi. Perfino il razionalismo moderno ha assimilato nella sua sostanza filosofica i principi cristiani dei diritti umani e civili. Tuttavia il cristianesimo non può essere rivendicato da un partito politico o da una precisa forma di governo o identificarsi con essi. Il regno di Cesare e il regno di Dio sono due entità distinte e tali devono restare, ciascuna con la propria responsabilità. Coloro che annunciano il messaggio cristiano devono badare che la legge di Dio non venga violata o infranta; devono formare le coscienze, soprattutto di coloro che sono alla guida dello Stato e della società. Costoro infatti hanno l’alto e difficile compito di conciliare il punto di vista etico-spirituale con quello profano-mondano, in una sintesi spesso delicata ma necessaria. La teocrazia non conosce la separazione tra questi due campi, essa si assume la responsabilità di esigenze fondamentalmente religiose, che spesso degenera in abuso. Allora la discussione politica corre il pericolo di trasformarsi in fanatismo religioso che troppo spesso ha condotto – e conduce ancora – alla “guerra santa”. L’insegnamento cristiano è contrario a questo tipo di fanatismo, perciò il cristianesimo e la cultura cristiana non sono mai stati oggetto o occasione di una rivoluzione violenta; al contrario, essi si fanno promotori di un processo evolutivo tramite un’opera paziente di educazione e di sviluppo. Questo porta alla diffusione di una concezione del mondo a favore dell’individuo e della convivenza umana. Solo adesso, dopo secoli e secoli di penitenza, di involuzioni e di ricerca sincera della verità, abbiamo potuto sviluppare finalmente la nostra cultura europea plasmata sul cristianesimo. Essa è al servizio dell’uomo e lo nobilita nella sua esistenza quotidiana. Alla formazione dell’Europa è stato necessario un millennio di cristianesimo. In questo lasso di tempo abbiamo imparato che se un popolo vuole godere senza pericoli dei vantaggi propri di una persona adulta e responsabile, deve essere anche in grado di comportarsi da adulto responsabile». Schuman ha sempre instillato nel cuore di molti suoi giovani colleghi questo spirito di umanità cristiana, per poter realizzare e far progredire l’Europa.
Ancora una volta, chi era Robert Schuman? A quali sorgenti spirituali e morali ha attinto per la sua immensa forza interiore e per la sua lungimiranza, la quale, andando oltre il corso degli eventi storici, ha saputo mettere in dubbio solidi convincimenti e concretizzarsi in azioni politiche? Penso in particolare alla previsione che fece del crollo dell’impero comunista prima della fine di questo secolo: lo disse a noi suoi giovani – e increduli – colleghi nel gennaio del 1959 a Strasburgo e lo scrisse nel 1962 nel suo unico libro, Per l’Europa. Nel mio vasto archivio, ricco di circa cinquemila documenti, non ho trovato una sola parola che non riveli l’interezza della sua personalità, come uomo, come cattolico e come statista. Il suo rapporto con Dio era un mistero per tutti e tale è destinato a restare anche per noi oggi. Solo lui poteva comprenderlo e viverlo. Detto questo, riporto ora una frase tratta dal discorso commemorativo che ho tenuto nel 1993, in occasione del trentesimo anniversario della sua morte: «Tutti coloro che hanno conosciuto Robert Schuman testimoniano a parole e per iscritto la salda fede cattolica che ha condizionato tutta la sua opera e la sua vita. Costoro sono inoltre concordi nel riconoscere che egli, pur essendo un uomo pubblico, non ha mai ostentato la sua fede. Schuman era un uomo che viveva semplicemente la sua vita interiore e la sua fede, senza essere per questo né un bigotto né un monaco chiuso nel silenzio della sua fede tra le mura di un convento, come qualcuno lo ha descritto».
Robert Schuman era un apostolo laico che non si lasciava intimorire, un uomo con i piedi ben saldi per terra, sicuro di sé, aperto agli altri e che voleva e agiva in piena consapevolezza. Prendeva le sue decisioni con assennatezza e possedeva la pazienza e il giudizio necessari per lasciarne maturare i frutti. Nelle trattative si dimostrava tenace, energico e, se necessario, inflessibile, come ebbe a dichiarare il ministro degli Esteri americano Dean Acheson. Aveva inoltre il dono di proporre soluzioni e di realizzarle al momento giusto e di rifiutare prese di posizione che andavano contro la sua coscienza. Il suo aspetto e il suo modo di fare erano semplici e amichevoli. Nelle conferenze e nelle trattative seduceva con la chiarezza del suo spirito e delle sue argomentazioni e con l’ardore delle sue convinzioni. Per questo riscuoteva un grande successo.
Ma tutto questo ancora non basta per cogliere la natura di Robert Schuman in tutta la sua interezza. Ho validi motivi per dubitare di essere riuscito pienamente in questo mio intento, anche se ho trascorso con lui gli ultimi quindici anni della sua vita, in fraterna collaborazione e amicizia. Quali fossero le sorgenti spirituali e morali alle quali attingeva, lo si comprenderà meglio direttamente dalle parole che egli ha scritto durante la prigionia agli amici più stretti. Ne cito alcune:
«L’incertezza nella quale mi trovo potrebbe condurmi alla disperazione, e al momento non c’è nessuna speranza. Ma occorre avere pazienza, perché la pazienza è una virtù importante e indispensabile che bisogna praticare con fiducia in Dio».
«Cosa posso fare di meglio nella sofferenza che pregare nella speranza che Dio mi sia vicino nella prova. Il mio corpo è in buona salute, per il resto mi rimetto alla Provvidenza divina».
«Dio rimedierà a tutto. Adesso mi sono abituato a vivere in solitudine, ma la preghiera e la meditazione sono importanti per me. Forse non mi resta più molto tempo e non vorrei che trascorresse inutilmente. Ma sia fatta la volontà di Dio».
«Sii coraggioso, forte e fiducioso. Nelle mie preghiere sei sempre presente come il fratello della mia anima».
Quanta fiducia in Dio irradia da queste parole! Quanta speranza, quanta fede incrollabile, ma anche quanta umiltà cristiana nel rimettersi alla volontà divina, nell’affidarsi alla misericordia e all’amore del Signore!
«Il timor di Dio è il principio di ogni sapienza». Questa affermazione profetica contenuta nella Bibbia è stata riportata da Giovanni Paolo II nel suo libro Varcare la soglia della speranza per indicarci la linea da seguire nella nostra vita. È un’eredità preziosa che Robert Schuman ha lasciato a noi uomini politici.



testimonianze. Hanno detto di Robert Schuman

Un cristiano autentico


Che uomo e che statista è stato dunque Robert Schuman? Dalla raccolta di oltre duecento attestati di stima e di omaggio a Schuman che conservo in archivio e che provengono da personalità di fama mondiale, ne cito solo alcuni che mi paiono più significativi.

François Mitterrand: «Robert Schuman è la personalità più significativa della Quarta Repubblica, un uomo di grande libertà di pensiero e sicuramente il più grande francese del nostro secolo. Credo che la storia lo stia provando».

Jean Monnet: «Ha pronunciato la sua storica e rivoluzionaria dichiarazione del 9 maggio 1950 senza far sfoggio di baldanza e con intima franchezza. Possiamo difficilmente immaginarci quanto coraggio fosse necessario allo statista per assumersi la completa responsabilità del gesto. Da ciò possiamo misurare la grandezza dell’uomo: ha parlato con intima convinzione in nome della Francia, mentre l’Europa intera e il mondo lo ascoltavano. Egli ha dato al piano la sua dimensione politica».

Gordon Alexander Craig: «Robert Schuman ha cambiato il mondo. Ha impresso una nuova impronta etico-spirituale alla politica del dopoguerra: ha dato vita con un’opera di conciliazione a una comunità di popoli e di Stati che, abolendo l’antica idea di Stati nazionali con le loro rivalità e loro eccessi del passato, per la prima volta ha realizzato una convivenza fondata sulla libertà, sulla solidarietà e sulla pace».

Romano Guardini: «Santo è colui al quale Dio ha dato di accettare i suoi comandamenti con il dovuto rigore, di comprenderli in tutta la loro profondità e di fare il possibile perché essi siano messi in pratica. A ogni individuo è affidato un compito su questa terra. Alcuni compiti, tuttavia, attendono quell’unica persona che sa mettersi al completo servizio della Provvidenza. Queste parole si addicono esattamente a Robert Schuman».

Papa Giovanni Paolo II: «Robert Schuman è uno degli uomini che hanno operato nell’ambito delle istituzioni fondate sulla cooperazione, nelle quali l’Europa ha preso coscienza di se stessa. Egli ha voluto mettersi al servizio dell’umanità finalmente libera dall’odio e dalla paura e che infine, dopo una lunga lotta, apprende di nuovo il sentimento cristiano della fratellanza. Robert Schuman appartiene alla schiera dei cristiani autentici e, contemporaneamente, è stato un abile uomo di Stato. Egli resterà per sempre un esempio per tutti quelli che si impegnano nella costruzione dell’Europa».



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