Pio XII
Giustizia e carità
Due libri recenti testimoniano ancora una volta non solo lo stretto legame fra pace e giustizia nel magistero di Pio XII, ma anche un’intensa azione caritativa a beneficio di tutti, in primis degli ebrei, durante il secondo conflitto mondiale
di Lorenzo Cappelletti

Pio XII nella Cappella Sistina pronuncia il suo storico Messaggio di pace il 3 marzo 1939, giorno successivo alla sua elezione a sommo pontefice
Cominciamo da quest’ultimo e dal giudizio, per più motivi autorevole, che ne ha dato sul Corriere della Sera del 28 luglio scorso Sergio Luzzatto, il quale l’ha definito «nell’insieme un libro serio».
Il libro, che effettivamente tiene presente tutta la principale bibliografia su Pio XII e che si avvale anche di tante fonti inedite, è suddiviso esattamente in due parti che delineano la biografia di Eugenio Pacelli rispettivamente prima e dopo la sua elezione a vescovo di Roma.
Sostanzialmente, sono trattati tutti i nodi controversi secondo una chiave di lettura che non si fa fatica a rintracciare, essendo più volte ribadita da Tornielli in corso d’opera (pp. 65; 286; 311; 336 e passim): la totale immedesimazione di Eugenio Pacelli con l’istituzione da lui rappresentata, prima come nunzio e poi come papa, immedesimazione fondata non su un generico senso del dovere ma sulla sua piena dedizione ai doveri sacerdotali. Da questo punto di vista, Tornielli fa rilevare che in tutti i tornanti decisivi della sua vita, anche da papa, egli si è dichiarato sempre pronto a tornare al semplice esercizio dell’ufficio sacerdotale, finanche negli ultimi anni, quando meditava, se non si fosse ripreso, di ritirarsi a Rohrschach in Svizzera per svolgervi quel po’ di ministero che usava compiere quando da nunzio vi trascorreva le vacanze (cfr. p. 557).
Eppure, proprio a Pio XII, desideroso di identificarsi colla sua missione sacerdotale e sempre attento a mortificare sé stesso, è toccato di essere esaltato al momento della sua morte come «un papa più grande della sua stessa istituzione» (p. 570) e, altra faccia della medaglia, di essere mostrato agonizzante, senza pudori, nelle foto che gli scattò Galeazzi-Lisi più da cortigiano mercenario che da medico personale. Questo contrappasso, pur non essendo criticamente approfondito, emerge con chiarezza dal libro di Tornielli.
Di cui ci limiteremo a considerare brevemente le pagine relative al pontificato pacelliano.
Opus iustitiae pax
L’inizio del pontificato di Pio XII coincide, come si sa, con una serie di sue iniziative e appelli per scongiurare lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Ma non sempre si ricorda come già quei primi messaggi stabiliscano l’imprescindibile legame di pace e giustizia, risalente alla profezia di Isaia e inscritto fin nel motto stesso del Papa: opus iustitiae pax, la pace è frutto della giustizia. Il libro di Tornielli lo mette bene in luce. A cominciare dal messaggio pasquale del 1939, in cui «il nuovo papa parla della situazione internazionale […] e sottolinea che alla radice di tutto c’erano la cattiva ripartizione delle risorse naturali, la mancanza di fiducia reciproca fra le nazioni, la violazione dei patti sanciti» (p. 317). Fino all’appello in extremis del 24 agosto 1939, in cui il famoso: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra», è preceduto e seguito dal richiamo alla giustizia: «Gli imperi non fondati sulla giustizia non sono benedetti da Dio» – dice il Papa – e subito dopo: «Ci ascoltino i forti per non diventar deboli nell’ingiustizia». Per non citare la Summi pontificatus, la sua prima enciclica programmatica dell’ottobre del 1939, tutta intessuta su questo disegno.

Andrea Tornielli, Pio XII. Eugenio Pacelli, un uomo sul trono di Pietro, Mondadori, Milano 2007, 661pp., euro 24,00
Dall’altra parte, il Papa già durante la guerra guarda al dopoguerra. È significativo che in tutti i famosi radiomessaggi del tempo (di cui Tornielli riporta ampi stralci) Pio XII si dedichi più a delineare il profilo di un nuovo ordine internazionale a livello economico e sociale che a deplorare la guerra. Tanto che già nel 1942 Guido Gonella, sulla base dei commenti che ne aveva fatto per L’Osservatore Romano, poteva stampare Presupposti di un ordine internazionale. Note ai messaggi di Pio XII. L’attenzione del Papa, anche nelle ricorrenze più simboliche, come in occasione del quinto anniversario dell’inizio del conflitto, non mancava mai di appuntarsi su «quegli eccessivi concentramenti economici che, nascosti spesso sotto forme anonime, riescono a sottrarsi ai loro doveri sociali. […] Vediamo da un lato ingenti ricchezze dominare l’economia privata e pubblica, e spesso anche l’attività civile; dall’altro l’innumerevole moltitudine di coloro che privi di ogni diretta o indiretta sicurezza della propria vita», si fanno «schiavi di chiunque prometta loro in qualche modo pane e tranquillità» (p. 443).
La Chiesa è tutta di Cristo
Negli anni del dopoguerra, nonostante la condanna del comunismo del luglio 1949 da parte del Sant’Uffizio – a cui risale secondo taluni la leggenda nera del filonazismo di papa Pacelli (p. 481) e le cui «finalità dichiarate», comunque, «non sono di ordine politico, ma pastorale» (p. 470) –, Pacelli dice no alla crociata antibolscevica (pp. 484-488), come d’altronde aveva già fatto nel 1941 (pp. 364s). Nel radiomessaggio natalizio del 1951, afferma che la Chiesa non può «rinunziare a una neutralità politica per la semplice ragione Paolo VI nel Credo del popolo di Dio.
Con tutto ciò, di lì a poco ci sarebbe stato un raffreddamento, dovuto forse a informazioni distorte, dei rapporti fra il Papa e De Gasperi. Così almeno stando a due interessanti testimonianze riportate da Tornielli: l’una, offerta nell’ambito del processo di beatificazione dalla presidentessa del Centro italiano femminile, Alda Miceli, secondo la quale il Papa giudicava l’onorevole De Gasperi «troppo liberale e troppo condiscendente verso il Partito comunista […] in ossequio al principio democratico che era molto vivo nell’animo dell’uomo politico» (p. 477). L’altra, offerta recentemente da Maria Romana De Gasperi, la quale crede «che molto in questo fatto sia dipeso dai collaboratori del Papa, che non hanno descritto al Papa chi era realmente mio padre» (ibidem). Probabilmente è chiedere troppo al volume di Tornielli, già molto ricco, ma se c’è un piccolo rilievo da fare è che su diversi collaboratori vicini al Papa, utilizzati frequentemente come fonti, non si approfondisca un giudizio critico.

Margherita Marchione, Crociata di carità, Sperling e Kupfer, Milano 2006, 414 pp., euro 16,50
Crociata di carità della Marchione non è altro che l’offerta – preceduta dal tentativo di tessere un filo tra i pontificati di Giovanni Paolo II, Paolo VI e Pio XII – di una serie di documenti, e in particolare di una scelta di essi operata all’interno della imponente documentazione dell’Ufficio informazioni istituito da Pio XII e attivo fra il 1939 e il 1947 sotto la supervisione del futuro Paolo VI. Di per sé l’intera documentazione era già stata pubblicata nei due volumi e negli otto dvd di Inter arma caritas, del 2004. Attraverso tale scelta la Marchione intende rendere accessibile al grande pubblico «un aspetto poco studiato» (p. XXV) del pontificato di Pio XII e cioè l’enorme mole di informazioni e di intermediazioni che la Santa Sede riuscì a offrire durante il secondo conflitto mondiale a conforto e difesa dei più deboli.
A onor del vero, bisogna dire che il libro presenta diverse pecche di non poco conto: non sempre si capisce con quale ordine e con quale logica siano trattati gli argomenti e usate le fonti; il contenuto e le introduzioni dei capitoli non corrispondono che in parte al titolo che a essi è stato dato; diversi errori compaiono nell’indice dei nomi, e non solo; e, soprattutto, si avverte la mancanza di qualunque presentazione critica dei documenti, con la spiegazione di termini, nomi, contesto, ecc. Ma per fortuna, avendo il libro il semplice scopo di offrire testimonianza, da una parte, delle richieste di aiuto che giungevano a milioni in Vaticano da ogni angolo di un mondo sopraffatto dall’angoscia e dal dolore e, dall’altra, della carità usata dal Papa attraverso quell’Ufficio, le carenze a livello critico e l’affastellamento delle testimonianze finiscono paradossalmente per esaltare, talvolta, la genuinità delle stesse e l’onestà dell’autrice.
A volte è la scarsa dimestichezza dei poveri scriventi con la penna che aiuta a immedesimarsi nel dolore di chi si rivolge al Papa: una mamma della provincia di Caserta, dopo un anno senza più notizie del figlio, nel febbraio del 1942 chiede aiuto al Papa esordendo così: «Non so descrivere bene i discorsi, e non so come dovrei comporre una lettera inviata a Vostra Santità…» (p. 210). A volte, è proprio la costruzione ad arte della lettera, opera evidentemente di uno scrivano “professionista” che fa intervenire la voce innocente dei bambini, che rende ancora più palpabile lo strazio di tante famiglie. Da Ancona, giugno 1943: «Beatissimo Padre, frequentando la santa dottrina ho appreso che Gesù amava tanto i fanciulli. Sono anch’io un fanciulletto e vengo a voi, Santo Padre, che siete il dolce Gesù in terra! Dunque avete il cuore buono, accoglietemi sulle vostre ginocchia e ascoltatemi. Il mio cuoricino è tanto angustiato perché il babbo mio caro è prigioniero, io non lo vedo da lunghi anni…» (p. 288). A volte l’oggettiva enormità delle tragedie determinate dalla guerra, e viste dal basso, diciamo così, lascia tuttora senza fiato, come nel caso di un povero tenente di Castiglion Fiorentino prigioniero in India, del quale nel gennaio del 1945 una parente chiede di favorire il rimpatrio, essendo stata la sua famiglia, che non era in armi ma semplicemente al riparo della propria casa, spazzata via da un bombardamento aereo, a eccezione di una figlia (pp. 297s). O nel caso dei due fratelli ebrei portati in collegio a Firenze nel 1943, dopo il bombardamento di Genova. Il più piccolo dei due, di soli 6 anni, non sarà più trovato dal padre che torna a cercarli dopo la liberazione di Firenze. Lo saprà deportato in Germania, destinazione e destino ignoti! (pp. 100-103).

Sfollati ospiti nel salone dei ricevimenti della residenza papale di Castel Gandolfo durante la guerra
In certi casi peraltro la Santa Sede riesce a ottenere, sempre a beneficio di tutti, non solo il conforto di una informazione, ma anche risultati apprezzabili. Così si può vedere Roncalli, all’epoca delegato apostolico ad Atene, interessarsi e conseguire attraverso la Segreteria di Stato la fine del blocco navale che fra l’estate e l’autunno del 1941 stava affamando la popolazione civile della Grecia (pp. 183; 217-219; 265). O Montini, all’epoca sostituto della Segreteria di Stato, adoperarsi per uno scambio di prigionieri fra inglesi e italiani (pp. 222s). O il vicario apostolico di Tripoli che nel 1946, dopo essere riuscito a ottenere dagli inglesi la possibilità di rientro in Tripolitania per molti bambini e donne italiani separati dal resto della loro famiglia là rimasta, chiede al Santo Padre la benedizione non solo per sé e i suoi missionari ma anche per tutti «i fedeli e… gli infedeli, affidati alle mie cure pastorali e fra i quali faccio ritorno animato da nuovo fervore di apostolato» (pp. 227s).
Anche il libro della Marchione, come quello di Tornielli, si chiude con una serie di testimonianze della gratitudine che manifestarono a Pio XII nel dopoguerra molti esponenti della comunità ebraica. Quasi a portare la prova decisiva atta a scagionare il Papa dall’accusa di inazione che poi gli è stata mossa.