Home > Archivio > 02 - 1998 > Le tre visite di Romero a Roma raccontate nel suo diario
OSCAR ROMERO
tratto dal n. 02 - 1998

Le tre visite di Romero a Roma raccontate nel suo diario


«Il diario è una chiave per capire la sua vita» Gregorio Rosa Chávez



GIUGNO 1978

Sabato 17
Le suore oblate al Divino Amore ci aspettavano, perché la madre Scarglietti aveva avvisato da San Salvador, un’attenzione di cui sono molto riconoscente. Sistemati nel Pensionato Romano, dopo un po’ di riposo quando era già mezzogiorno, nel pomeriggio siamo andati a visitare la chiesa di San Pietro. Presso la tomba del primo Papa ho pregato intensamente per l’unità della Chiesa, per il Papa, per i vescovi e per tutta la Chiesa universale, specialmente per la nostra arcidiocesi: ho affidato a san Pietro gli interessi della nostra Chiesa e il buon esito di questo dialogo con la Santa Sede.

Domenica 18
Nel pomeriggio visita alla tomba di san Paolo nella sua chiesa fuori le mura. Era l’ora dei vespri e la Basilica era totalmente illuminata. Si sentiva l’organo far risuonare l’ambiente e il coro dei monaci che cantavano in gregoriano. Inginocchiato presso la tomba dell’apostolo dei gentili, del grande san Paolo, in quell’ambiente di preghiera, quasi di cielo, ho sentito rivivere nella mia memoria, nel mio cuore, nel mio amore, tutte quelle emozioni dei miei tempi di studente e di quando, già sacerdote, ho visitato Roma. Sono state sempre le mie preghiere presso queste tombe degli apostoli a darmi ispirazione e forza. È così soprattutto questa sera: sento che la mia visita non è una semplice visita di pietà privata, ma che, nel compimento della visita ad limina, porto con me tutti gli interessi, le preoccupazioni, i problemi, le speranze, i progetti, le angosce di tutti i miei sacerdoti, delle comunità religiose, delle parrocchie, delle comunità di base, cioè di tutta un’arcidiocesi che viene con me a prostrarsi, ieri davanti alla tomba di san Pietro, oggi davanti alla tomba di san Paolo.

Mercoledì 21
L’udienza generale e l’udienza speciale con il Santo Padre hanno riempito questa mattina indimenticabile. È il 21 giugno, e la cosa principale che si celebra in questa udienza generale è il fatto che oggi si compiono 15 anni da quel 21 giugno in cui il cardinale Giovanni Battista Montini fu eletto come successore di san Pietro, con il nome di Paolo VI. Questa circostanza ha messo in moto l’immensa gioia di quell’enorme uditorio di tutte le lingue: attraverso i loro interpreti, hanno manifestato il loro affetto, la loro preghiera, la loro adesione, al successore di san Pietro. Il Papa, rispondendo a questa esplosione d’amore, ha detto che l’elezione che si commemora significa per lui una donazione assoluta al popolo di Dio. In nome di questa donazione, il suo messaggio si ispira ad un ufficio che è quello tipico dei pontefici attraverso la storia: fare visibile la bellezza della Chiesa nonostante le sembianze umane e le deficienze personali dei pontefici. Egli si riferiva in maniera speciale a quella grande missione della Chiesa di seminare fra gli uomini unità, pace e felicità in Cristo. […]
Quando è arrivato il nostro turno, siamo entrati nella saletta dove c’era il Papa, da noi salutato con quell’emozione che solo momenti come questi possono dare. Il Papa ci ha fatto sedere accanto a sé, da una parte e dall’altra e, dirigendosi a me in particolare, mi ha stretto la mano destra e l’ha trattenuta a lungo tra le sue due mani e pure io ho stretto con le mie due mani la mano del Papa. […] E tenendomi le mani in quel modo mi ha parlato lungamente. Mi sarebbe difficile ripetere parola per parola il suo lungo messaggio, perché oltre al fatto che non fu schematico, ma piuttosto cordiale, ampio, generoso, l’emozione del momento non era certo adatta per farmelo ricordare a memoria; però le idee dominanti delle sue parole furono queste: «Comprendo il suo difficile lavoro. È un lavoro che può essere incompreso ed ha bisogno di molta pazienza e fortezza. So bene che non tutti la pensano come lei; è difficile, nelle circostanze del suo Paese, avere tale unanimità di pensiero; ma vada avanti con coraggio, con pazienza, con forza, con speranza». Mi ha promesso che avrebbe pregato molto per me e per la mia diocesi. Mi ha chiesto di compiere ogni sforzo possibile per l’unità. E se in qualcosa poteva egli personalmente essere utile, lo avrebbe fatto con piacere.
Si è riferito poi al popolo. Ha detto che lo conosceva da quando aveva cominciato a lavorare nella Segreteria di Stato, da quasi 50 anni, ed è un popolo generoso, lavoratore e che oggi soffre molto e cerca le sue rivendicazioni. Mi ha detto che bisogna aiutarlo, lavorare in suo favore: mai, però, con odio o fomentando le violenze, ma con la base di un grande amore. Bisogna fargli sentire il valore della sua sofferenza, predicare la pace e fare che questo popolo sappia come il Papa gli vuole bene, come prega e lavora per lui. […] Gli ho assicurato la mia adesione indistruttibile al magistero della Chiesa. E che, nelle mie denunce alla situazione violenta del Paese, sempre richiamo alla conversione e mi mostro pieno di compassione con quelli che soffrono, con le famiglie delle vittime, e, nel medesimo momento in cui denuncio il peccato, invito alla conversione i peccatori. […] A me ha lasciato la soddisfazione di una confermazione nella mia fede, nel mio servizio, nella mia gioia di lavorare e di soffrire con Cristo, per la Chiesa e per il nostro popolo. Credo che anche questo solo momento basterebbe per pagare tutti gli sforzi per venire a Roma: riconfortarsi nella comunione con il Papa, illuminarsi con i suoi orientamenti. […]
In questa udienza ho consegnato al Santo Padre varie cose […]. Ho lasciato anche, in busta chiusa, un memorandum riservato. Il memorandum lasciato al Santo Padre, una breve lettera, è per fargli sapere che ho già iniziato a visitare i diversi dicasteri di Sua Santità e per spiegargli come è difficile compiere il ministero arcivescovile nella situazione del mio Paese, cercando di essere fedele al magistero attuale della Chiesa. […] Nel memorandum dico pure che, purtroppo, nelle osservazioni fatte da alcune segreterie sulla mia condotta pastorale sembra prevalere un criterio negativo: esso coincide esattamente con quelle forze potentissime che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico. Tuttavia termino dicendogli che può star sicuro, il Santo Padre, della mia fedeltà a lui come successore di Pietro e della mia adesione incondizionata al suo magistero; poiché proprio in questa fedeltà e in questa adesione ho trovato sempre il segreto e la garanzia di camminare con il mio gregge dietro lo Spirito del Signore.

Mercoledì 28
Siccome oggi non avevo impegni speciali, ho dedicato la mattina a partecipare di nuovo all’udienza generale del Santo Padre, confuso tra la gente. Mi è piaciuto molto sentirmi uno di quei cristiani che, venuti da diverse nazioni del mondo, aspettano con tanta ansia di vedere il Papa. […]
Prima dell’arrivo del Papa, si udivano canti in col Credo degli apostoli, chiedendo al Signore la fedeltà e la chiarezza per credere e predicare quella stessa fede dell’apostolo san Pietro.
Di sera, la nostra passeggiata notturna, che facciamo con il padre Juan Bosco Estrada, ci ha condotto ancora attorno alla piazza San Pietro, ricordando le tante cose storiche che evocano il nome di Pietro e di Paolo a Roma.

Giovedì 29
Preparazione del viaggio di ritorno. Visita a San Pietro. La messa solenne della mattina è impressionante, molta gente entra ed esce e riempie la piazza e le strade adiacenti: una vera festa patronale, ma con un carattere universale. Come da noi le feste patronali danno appuntamento a tanta gente di tutti i cantoni e paesi vicini, così questa festa di San Pietro è ecumenica. Invece di cantoni e paesi, vediamo qui gente di tutte le nazioni del mondo. Ma lo spirito è lo stesso: una festa popolare, una festa allegra, ispirata dalla fede e dalla speranza cristiana; si vende, si compra, un viavai di gente, una grande allegria; è il risultato dello stare a contatto con quegli eroi che già sono vincitori e regnano nell’eternità, mentre noi pellegriniamo sforzandoci di imitare i loro esempi.
Di sera, partenza per l’aeroporto e ritorno al mio Paese. Nonostante stia ritornando nella mia patria, sento la nostalgia di lasciare Roma. Roma è casa propria per colui che ha fede e senso di Chiesa. Roma è la patria di tutti i cristiani. C’è il Papa, che è il vero padre di tutti. L’ho sentito così vicino; parto così riconoscente verso di lui che il cuore, la fede, lo spirito continuano ad alimentarsi da questa roccia, dove l’unità della Chiesa si sente così palpabile.
Domani, 30 giugno, XV anniversario dell’incoronazione del Papa. Noi saremo occupati col viaggio, con l’arrivo in patria, col disfare i bagagli ecc. Ma Roma sarà sempre, per i nostri cuori, madre, maestra, patria.


MAGGIO 1979

Giovedì 3
Ho poi fatto una visita, in un pomeriggio veramente primaverile, alla chiesa dei Dodici Apostoli dove si trova, sotto l’altare della confessione, la tomba degli apostoli san Filippo e san Giacomo il Minore, la cui festa liturgica si celebra proprio oggi, il 3 maggio.
Dimenticavo di dire che questa mattina sono andato nuovamente alla Basilica di San Pietro e, presso gli altari, che amo molto, di san Pietro e dei suoi successori di questo secolo, ho chiesto insistentemente il dono della fedeltà alla mia fede cristiana e il coraggio, se fosse necessario, di morire come morirono tutti questi martiri o di vivere consacrando la mia vita allo stesso modo come l’hanno consacrata questi moderni successori di Pietro. Mi ha impressionato, più di tutte le altre tombe, la semplicità della tomba di papa Paolo VI.

Venerdì 4
Preoccupato per l’impegno più importante della mia visita a Roma […], sono andato nuovamente alla prefettura della casa pontificia per accelerare la concessione dell’udienza col Santo Padre. […] Mi preoccupa molto questo atteggiamento verso un pastore di una diocesi, dal momento che avevo chiesto da parecchio tempo l’udienza e hanno lasciato passare tanto tempo senza darmi la risposta; temo persino che quest’udienza non mi venga concessa, perché ci sono molti vescovi in visita ad limina e si usano anche altri criteri per dare la precedenza ad altre domande. Ho affidato tutto nelle mani di Dio dicendogli che, da parte mia, ho cercato di fare tutto il possibile e che, nonostante tutto, credo e amo la santa Chiesa e sarò sempre fedele, col suo aiuto, alla Santa Sede, al magistero del Papa […].

Lunedì 7
Albeggiava quando ho finito di preparare i documenti che penso di consegnare nell’udienza con il Santo Padre. Si tratta di quattro relazioni di commissioni straniere che sono venute in Salvador a studiare la situazione del Paese. Sono documenti riguardanti la solidarietà, la denuncia, e anche la mia candidatura al premio Nobel insieme ad altri che ho ricevuto dopo la visita apostolica di monsignor Quarracino (il vescovo argentino che il Vaticano aveva inviato in missione in Salvador come visitatore apostolico, ndr), come un completamento di questa visita. Gli porto anche la lettera scritta a novembre, che dubito non gli sia stata consegnata.
Poco dopo mezzogiorno sono stato ricevuto in udienza privata dal Santo Padre. Era seduto alla sua scrivania e ha offerto una sedia anche a me. Mi ha detto di rimettermi lo zucchetto che mi ero tolto e avevo in mano. Ha iniziato chiedendomi della situazione del Paese. L’ho invitato cortesemente a seguire il memorandum che avevo portato e lui ha accettato di buon grado. […] Dopo che gli ho consegnato, con una breve spiegazione, le sette cartelle, il Papa ha cominciato a fare commenti […]. Ha raccomandato molto equilibrio e prudenza, soprattutto nel fare le denunce concrete: ha detto che è meglio mantenersi soltanto ai princìpi, perché si rischia di cadere in errori o equivoci quando si fanno delle denunce concrete. Io gli ho spiegato (ed egli mi ha dato ragione) che ci sono situazioni, come ad esempio il caso di padre Octavio (un sacerdote assassinato da uno squadrone della morte, ndr), in cui bisogna essere molto concreti perché l’ingiustizia e la violenza sono state molto concrete. Mi ha ricordato la sua situazione in Polonia, dove ha dovuto far fronte a un governo non cattolico e, in quelle circostanze, bisognava far crescere la Chiesa, nonostante le difficoltà. Ha dato molta importanza all’unità dell’episcopato. Ricordando ancora una volta il tempo in cui svolgeva la sua attività pastorale in Polonia, ha detto che questo era il problema principale, mantenere l’unità dei vescovi. Ho detto che anch’io lo desidero più di ogni altra cosa, ma che l’unione non può essere simulata, ma si deve basare sul Vangelo e sulla verità. Ha poi fatto riferimento alla relazione della visita apostolica di monsignor Quarracino: questi riconosce che la situazione è molto delicata e ha raccomandato, come soluzione alle deficienze pastorali e alla mancanza di unità tra i vescovi, un amministratore apostolico “sede plena”.
Al termine della visita, che ha dato la possibilità di esprimergli i pensieri miei, mi ha invitato a fare una fotografia insieme e mi ha regalato alcuni oggetti religiosi. Ha messo da parte le cartelle per continuare la serie di udienze che ancora mancavano e sono uscito compiaciuto per questo incontro, ma preoccupato dal fatto che evidentemente hanno il loro influsso le informazioni negative circa la mia pastorale; anche se poi mi sono ricordato bene che egli ha raccomandato «audacia e coraggio, ma, nello stesso tempo, misurati da una prudenza e un necessario equilibrio».

Martedì 8
Mi sono diretto verso piazza San Pietro, per raccomandarmi ai grandi pontefici che riposano nelle cripte del Vaticano e che hanno ispirato e orientato notevolmente la mia vita. Volevo avere un attimo di raccoglimento prima di andare a parlare di cose molto importanti alla Congregazione per i vescovi che il cardinal Baggio presiede. […]
La conversazione con il cardinal Baggio è stata molto cordiale […]. Egli si è poi riferito alla visita apostolica e al suggerimento che il Papa aveva avanzato nella sua conversazione di ieri, cioè di aggiustare la situazione con la nomina di un amministratore apostolico “sede plena”; ma il cardinale Baggio, analizzando questo suggerimento, lo considerava poco pratico, dato che non vedeva nessuno, tra i vescovi attuali, capace di essere quell’amministratore apostolico che andasse d’accordo con me. […] Mi sono riferito alle relazioni portate al Papa, che sono imparziali ed esprimono una situazione di vera persecuzione nei confronti della Chiesa. Mi riferivo in particolare alla relazione dell’Oea e alla sua insistente raccomandazione fatta al governo di prevenire la sistematica persecuzione della Chiesa cattolica nella sua missione evangelizzatrice. […] All’uscita ho incontrato provvidenzialmente monsignor De Nicolò, un grande amico […]. Mi ha detto di stare molto attento a non avere una reazione troppo clamorosa, perché probabilmente, quando hanno suggerito quest’idea dell’amministratore apostolico, ci poteva essere nella mente del Santo Padre e del cardinale Baggio la ricerca della mia reazione: e una mia reazione negativa poteva rovinare tutto. […]

Mercoledì 9
Mi sono diretto a visitare monsignor Pironio, che mi ha accolto in modo così fraterno e cordiale che soltanto questo incontro sarebbe bastato a colmarmi di conforto e coraggio. Gli ho esposto con confidenza la mia situazione sia nella mia arcidiocesi che presso la Santa Sede. Mi ha aperto il suo cuore, dicendomi quello che anche lui è costretto a patire, come prova sofferenza profonda per i problemi dell’America Latina che non sono del tutto compresi dal ministero supremo della Chiesa. […] E ha soggiunto: «La cosa peggiore che puoi fare è scoraggiarti. Coraggio, Romero!» ripetendolo molte volte. L’ho ringraziato anche per le risposte ad altri interrogativi posti in questa conversazione lunga e fraterna, e poi me ne sono andato col cuore pieno di nuova fortezza acquisita dal mio viaggio a Roma.
[…] Mi sono dopo diretto alla curia generalizia dei gesuiti, dove il buon padre Juan Bosco […] mi ha fatto la cortesia di chiamare per telefono, nel Salvador, monsignor Urioste, con il quale abbiamo intavolato il dialogo che è stato registrato per trasmetterlo su Ysax (l’emittente radiofonica diocesana, ndr). Mi ha raccontato la difficile situazione di violenza nel Paese. La cosa più grave era lo scontro tra il Blocco popolare rivoluzionario e i corpi di sicurezza nei pressi della Cattedrale. Proprio nella Cattedrale di San Salvador mi ha detto che sono stati deposti nove cadaveri di persone assassinate in quella circostanza. […] Dopo la telefonata con le informazioni che mi aveva dato monsignor Urioste, applicando le mie intenzioni di preghiera alla situazione tragica di oggi nella Cattedrale di San Salvador, mi sono recato a fare l’ultima visita alla Basilica di San Pietro. Vicino alla tomba di san Pio X ho pregato intensamente, rivolgendomi ai miei intercessori simboleggiati soprattutto dalle tombe di san Pietro e degli ultimi Papi.


GENNAIO 1980

Lunedì 28
Verso le nove, dopo una sosta nell’aeroporto di Madrid, siamo ripartiti per l’ultimo tratto verso Roma. Sentivo la medesima emozione di sempre. Infatti Roma per me significa il ritorno alla culla, alla casa, alla fonte, al cuore, al cervello della nostra Chiesa. Ho chiesto al Signore di conservarmi questa fede e questa adesione a quella Roma che Cristo ha scelto a sede del pastore universale, il papa. [...] La nostra prima visita, dopo aver pranzato, è stata alla Basilica di San Pietro dove ho ripercorso le tappe che mi sono sempre piaciute, la visita al Santissimo, la visita alla tomba dell’apostolo Pietro, alla tomba di san Pio X e alle tombe dei papi: qui mi ha emozionato molto poter pregare vicino alla tomba di Paolo VI, di cui ho ricordato tante cose dei suoi colloqui con me, quando ho avuto l’onore, durante le visite precedenti, di essere ammesso privatamente alla sua presenza.

Mercoledì 30
Andando all’appuntamento con monsignor Pironio, sono passato alla Segreteria di Stato per assicurarmi prima di tutto la possibilità di partecipare all’udienza generale con il Santo Padre. […] Poi ho potuto parlare con il cardinal Pironio, in una visita per me molto breve, ma molto incoraggiante. Mi ha detto che lui stesso voleva vedermi per comunicarmi con gioia che la visita del cardinale Lorscheider era stata molto positiva e che lo stesso Papa aveva ricevuto una relazione molto buona sul mio conto. Il cardinal Lorscheider aveva detto al cardinale Pironio che nel Salvador ho ragione io, che la situazione è molto difficile, che io vedevo chiaramente le cose e il ruolo della Chiesa e che bisogna aiutarmi. Suppongo che questa sia una sintesi della relazione fatta dal cardinal Lorscheider sul suo viaggio in Salvador. Ho ringraziato molto il cardinal Pironio e gli ho fatto persino coraggio, quando mi ha detto che anche lui aveva sofferto molto, proprio a causa del suo sforzo in favore dei popoli dell’America Latina, e che mi capiva benissimo. Mi ha citato una frase del Vangelo a cui lui dà una spiegazione particolare: «Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono fare nulla allo spirito». Lui la interpreta nel senso che, se quelli che uccidono il corpo sono terribili, sono certo più terribili quelli che colpiscono lo spirito, calunniando, diffamando, distruggendo una persona, e che pensa sia proprio questo il mio martirio, persino dall’interno della stessa Chiesa, e che devo farmi animo.
[…] Il discorso di Sua Santità nell’udienza generale di questo mercoledì 30 gennaio ha continuato la meditazione sulla Genesi che sta svolgendo in queste udienze. […] Una meditazione molto bella, ma anche molto profonda, che penso sia difficile da capire per molta gente. Qualcuno mi ha detto che il Papa riesce a comunicare con il popolo in partenza, quando inizia la sua relazione con esso, con i suoi saluti personali, ma che durante il discorso si ha un senso di lontananza, una specie di incomprensione. È un peccato, perché questo è un momento in cui la gente sta molto attenta e qualunque idea, per semplice che sia, purché sia compresa, può fare un gran bene ai presenti. Al termine dell’udienza ha chiamato i vescovi per benedire insieme a lui la gente. Ho avuto la gioia di trovarmi direttamente alla sua destra e in seguito, mentre noi vescovi salutavamo il Papa, mi ha detto che dopo l’udienza voleva parlare proprio con me. […] Mi ha detto che «comprendeva perfettamente quanto difficile fosse la situazione politica della mia patria e che lo preoccupava il ruolo della Chiesa; dovevamo tenere conto non solo della difesa della giustizia sociale e dell’amore ai poveri, ma anche del possibile risultato di uno sforzo rivendicativo popolare di sinistra, un risultato che può anch’esso diventare negativo per la Chiesa». Io gli ho risposto: «Santo Padre, questo è proprio l’equilibrio che cerco di conservare, perché da un lato difendo la giustizia sociale, i diritti umani, l’amore al povero, e dall’altro mi preoccupo sempre del ruolo della Chiesa e di evitare che, per difendere questi diritti umani, cadiamo poi in braccio a ideologie che distruggono i sentimenti e i valori umani». […] Ho sentito che il Papa è molto d’accordo con quello che io dico e, alla fine, mi ha abbracciato molto fraternamente e mi ha detto che prega tutti i giorni per il Salvador.

Giovedì 31
Mi sono recato alla Segreteria di Stato, dove avevo appuntamento con il cardinale Casaroli. […] Mi ha rivelato che l’ambasciatore degli Stati Uniti era venuto a trovarlo, piuttosto preoccupato, pensando che io stessi in una linea rivoluzionaria popolare, mentre gli Stati Uniti appoggiano il governo della democrazia cristiana. Ho chiarito al signor cardinale che non si tratta di una opzione politica, ma soltanto dello sforzo di cercare una soluzione secondo giustizia ai problemi del mio Paese. Mi ha detto di non voler insistere su questo punto, dato che la visita dell’ambasciatore non aveva carattere ufficiale e che, ad ogni buon conto, la Chiesa deve agire non per far piacere alle potenze della terra, ma secondo la sua fede nel Vangelo e coscienza che ne deriva. Il cardinale si è anche mostrato preoccupato del fatto che la difesa dei diritti umani e le rivendicazioni popolari non giungano a costituire una specie di ipoteca della Chiesa e dei sentimenti cristiani di fronte alle ideologie. Ma gli ho spiegato che, come ho detto ieri al Papa, anch’io mi preoccupavo di predicare la giustizia sociale, la difesa dei diritti umani, ma, nello stesso tempo, non tralasciavo mai di mettere in guardia le forze popolari, che lottavano per le loro rivendicazioni, dal pericolo di cadere in ideologie estranee. Gli ho anche spiegato che non possiamo parlare di anticomunismo, dato che ci avrebbero considerati complici delle ingiustizie dei ricchi i quali parlano di anticomunismo, ma solo per difendere i propri interessi materiali e non davvero per difendere i principi cristiani. Ho notato che il cardinale è rimasto soddisfatto del nostro colloquio. Alla fine mi ha anche assicurato che prega molto per il Salvador.


Español English Français Deutsch Português