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GOLFO PERSICO
tratto dal n. 02 - 1998

USA. La Conferenza episcopale al presidente Clinton

Tu non bombarderai



di Gianni Cardinale


Per la seconda volta in due anni, i vertici della Chiesa cattolica statunitense hanno espresso pubblicamente il loro dissenso nei confronti del presidente Bill Clinton. Il 13 febbraio scorso, proprio nel momento più acuto della recente crisi irachena, è stata resa pubblica una lettera firmata da tutti i cardinali residenti negli Usa e dal presidente della Conferenza episcopale statunitense (Nccb) in cui si definiva «impossibile da giustificare» un eventuale attacco americano contro Baghdad. Nell’aprile di due anni fa, una lettera firmata dalle stesse personalità aveva criticato il veto posto da Clinton a una legge che avrebbe proibito un particolare tipo di aborto tardivo. L’unica differenza tra i mittenti delle due lettere è che nella seconda manca la firma del cardinale di Chicago, Joseph Bernardin, prematuramente scomparso nel novembre ’96. Entrambe le missive sono state sottoscritte, oltre che dal vescovo Anthony M. Pilla (presidente della Nccb), dai porporati Anthony J. Bevilacqua di Philadelphia, James A. Hickey di Washington, William H. Keeler di Baltimora, Bernard F. Law di Boston, Roger M. Mahony di Los Angeles, Adam J. Maida di Detroit, John J. O’Connor di New York. Nella seconda lettera manca anche la firma del neocardinale di Chicago, Francis E. George. Bisogna ricordare però che il successore di Bernardin ha ricevuto la porpora dopo il 12 febbraio, giorno in cui è datata la missiva.
È significativo che il primo firmatario della lettera a Clinton sulla questione irachena sia il cardinale Law, e che la carta intestata sia proprio la sua. Nel ’91 l’arcivescovo di Boston, infatti, fu uno dei prelati che si schierò a favore dell’operazione Desert Storm guidata dall’allora presidente George Bush, ma quella volta su mandato Onu, per liberare il Kuwait dall’occupazione di Saddam Hussein.
Ma veniamo al testo della lettera. I cardinali statunitensi premettono di essere «soddisfatti del ruolo guida che il governo sta prendendo per cercare di ottenere il rispetto delle soluzioni dell’Onu...». «Poiché riconosciamo il pericolo di questa situazione e il potenziale che esiste per un’azione aggressiva contro altri popoli e Stati da parte dell’Iraq, siamo convinti che la comunità internazionale deve essere infaticabile nel fare tutto quello che può per ottenere l’adesione dell’Iraq». «Da questa prospettiva, tuttavia,» aggiungono i cardinali «noi vediamo con grande preoccupazione la posizione dichiarata dal governo degli Stati Uniti, che indica di essere pronto a usare la forza militare per obbligare l’Iraq al rispetto delle risoluzioni. Secondo il nostro giudizio una simile azione da parte degli Stati Uniti sarebbe difficile, se non impossibile, da giustificare e inoltre metterebbe seriamente a rischio le possibilità di ottenere una pace stabile nella regione». «Noi dunque scriviamo» affermano i porporati rivolgendosi a Clinton «per invitarla a rafforzare le iniziative diplomatiche al posto dell’opzione militare, allargando la partecipazione anche ad altri governi, soprattutto di Stati arabi, nel tentativo congiunto di spingere l’Iraq all’obbedienza su questi temi».
La lettera dei cardinali non è il primo intervento della Chiesa Usa presso la Casa Bianca in occasione della recente crisi. A gennaio, su iniziativa del vescovo ausiliare di Detroit Thomas J. Gumbleton, 54 vescovi statunitensi avevano sottoscritto una petizione rivolta a Bill Clinton affinché togliesse l’embargo all’Iraq. In questo caso nessuno dei cardinali statunitensi aveva dato la sua adesione. La maggior parte dei firmatari apparteneva alla componente più progressista dell’episcopato Usa (e 15 sono vescovi emeriti), ma tra di loro c’era anche l’arcivescovo di Denver, il cappuccino Charles J. Chaput, con sangue pellerossa nelle vene, noto per le sue posizioni conservatrici in dottrina e liturgia.


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