Home > Archivio > 02 - 1998 > Noi poveri, fedeli alla realtà
GABON
tratto dal n. 02 - 1998

CHIESA IN GABON. Parla il presidente della Conferenza episcopale

Noi poveri, fedeli alla realtà



di Gianni Cardinale


Basile Mvé Engone è un salesiano nato nel 1941 a Oyem, città di cui è poi divenuto il vescovo. Oggi è presidente della Conferenza episcopale del Gabon, ed ha partecipato attivamente alla stesura dell’Accordo tra Santa Sede e Stato proponendo contenuti e variazioni. Sempre con intelligente prudenza: «La nostra Chiesa, pur avendo una storica rilevanza, non ha intenzione di travalicare né di invadere la vita statale» dice Mvé, sottolineando che i contenuti pattizi non dovranno essere avvertiti dal Parlamento di Libreville – che potrebbe ratificare l’accordo prima dell’estate – «come un’aggressione dei cattolici».
Anche perché la realtà, fortunatamente, è tenuta nel debito conto. «Sì, in Gabon i cristiani sono la maggioranza del popolo e di questi la maggior parte sono cattolici, praticanti e non» spiega Mvé. «Ma quelli che non praticano cosa sono? Restano spesso legati alla religione dei padri, al culto degli antenati… Noi sappiamo che la conversione è lunga, è di ogni giorno la fede, la fiducia che do a Gesù. E se io gli do fiducia, perché Lui è fedele, non posso guardare altre cose. In Africa è così: ci si può dire cattolici e restare nell’influenza della religione tradizionale, ma ci sono anche quelli tra noi che per Gesù hanno dato tutto. Voi in Europa non avete quelli che si professano cristiani e che poi credono nel mito della ragione o del progresso? La conversione è pazienza, paternità, chiede il tempo».
Mvé ha un argomentare assolutamente semplice, parla descrivendo la sua terra, il popolo, la sua Chiesa e ciò di cui essa vive. Continua: «La Chiesa gabonese ama Paolo VI. Lui ha dato l’impronta al Concilio ecumenico Vaticano II, ha compreso i problemi della Chiesa di oggi, che per il Gabon significano impegno per lo sviluppo sociale, passione per i poveri. Paolo VI ha capito che la Chiesa deve restare fedele alla parola di Dio, alla Tradizione, senza rotture col passato: i santi ci insegnano oggi, i santi sono presenti. Amare, perdonare, fare la pace sono precetti odierni». Tanto più reali se si pensa alle feroci divisioni etniche proprie del continente africano. Riprende Mvé: «Paolo VI disse che le diverse Chiese locali possono svilupparsi partendo dalla loro realtà e storia, con libertà e guardando a Pietro, alla Tradizione. Come in Gabon, tutta la Chiesa africana ha il problema quotidiano delle differenze etniche, non solo per le vicissitudini legate alle loro guerre. Di fronte a ciò noi parliamo di “inculturazione”, ovvero proporre il Vangelo e non imporlo, dire al tuo vicino: “Io sono amico di Gesù, lo voglio condividere con te”. I primi cristiani hanno vissuto la fede, e quelli intorno si chiedevano: “Ma come, ieri, questi non erano come noi? Perché oggi sono così?”. Prima bisogna vivere, questa è la testimonianza, questo ci siamo detti al Sinodo africano. E se non è così, le parole non hanno più consistenza». La preoccupazione del vescovo è quella accorata del pastore e di chi cerca di salvaguardare la trasmissione della fede dentro la Chiesa: «La nostra gioventù vuole vivere, preferisce la realtà, ciò che ha corpo. Che la parola detta a loro non sia intellettuale, venga dopo la realtà, ce lo ha raccomandato anche Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli…”. Cerchiamo perciò di essere testimoni semplici, sinceri, con la vita, nella vita, senza inventare nulla. Progetti culturali? A causa della nostra povertà non ce li possiamo permettere. Ma in questo caso la nostra povertà è la nostra ricchezza. Ciascuno può amare nella sua situazione, amare semplicemente. Noi vogliamo aiutare i nostri sacerdoti ad essere questa Chiesa».


Español English Français Deutsch Português