Intervista con Massimo Nevola, direttore della Lega missionaria studenti
Il volto della Lega oggi
Intervista con Massimo Nevola di Pina Baglioni
«Con la grande crisi degli anni Settanta, anche
la Lega missionaria studenti ha pagato un conto salatissimo. Tuttavia,
negli ultimi anni, con i campi estivi di solidarietà
all’estero, il movimento sta vivendo una nuova giovinezza».
L’imprendibile e indaffaratissimo padre Massimo Nevola, direttore
della Lega missionaria studenti dal 1995, è appena rientrato in
Italia dalla Romania. Là, case-famiglia per bambini disagiati,
sostenute anche dai ragazzi della Lega, rappresentano il volto
contemporaneo di un’esperienza che ha appena tagliato il traguardo
degli ottant’anni. Lo incontriamo a Roma, nell’istituto
Massimo, che dal 1960 ha lasciato Palazzo Massimo alle Terme di Diocleziano
per trasferirsi in un edificio ultramoderno del quartiere Eur. E anche la
Lega, ormai da molti anni, ha preso casa qui.

Rispetto alle origini, quali sono oggi il significato e
il ruolo della Lega missionaria studenti?
MASSIMO NEVOLA: Aprire il cervello e il cuore alla mondialità mediante lo studio delle problematiche emergenti. Ma soprattutto mediante il coinvolgimento fattivo nel lavoro per le missioni. Negli anni Trenta era impossibile mandare studenti all’estero. Non c’era la cultura. Grazie a padre Pellegrino e al suo successore, padre Vincenzo Cardillo, i ragazzi hanno incominciato a partire volontari. Con la nascita dei Centri missionari diocesani in Italia, il ruolo della Lega, certo, s’è ridimensionato. Oggi i nostri studenti sono circa un migliaio e operano esclusivamente all’interno di istituzioni legate alla Compagnia di Gesù.
Lei è il direttore della Lega da dodici anni. Come ha impostato il suo lavoro quando è stato chiamato a guidare un movimento con una storia tanto grande alle spalle?
NEVOLA: Appena finita la formazione in Spagna, i miei superiori mi chiesero di aiutare la missione in Albania, dove, prima del regime comunista, i Gesuiti avevano una parrocchia a Tirana. Appena crollata la dittatura di Enver Hoxha, siamo tornati e abbiamo ritrovato sei padri che ormai davamo per morti. A quel punto m’attaccai al fax per contattare un po’ di giovani spagnoli e italiani, che conoscevo bene e che avevano frequentato le nostre scuole, per farmi dare una mano. Me ne aspettavo quindici. Se ne presentarono duecento. Non sapevo dove metterli. Dovette darmi una mano don Luigi Di Liegro. Fu l’inizio del “Progetto speranza” nel quale confluirono tutti i gruppi giovanili della Compagnia di Gesù. Là abbiamo fondato sette case-famiglia per ragazzi handicappati. Nel 1997, con lo scoppio della guerra civile, abbiamo lasciato l’Albania e, grazie all’interessamento di un giovane padre gesuita che lavorava in una parrocchia di Sarajevo, nell’estate del 1997 sono andato in Bosnia insieme a cento volontari.
A chi propone di partire per i campi? E che cosa fanno questi giovani una volta giunti là?
NEVOLA: Propongo di partire ai ragazzi delle ultime classi del liceo. Altri sono ex alunni, ormai universitari, che vivono ancora l’esperienza della Lega. I campi, ovviamente, si fanno d’estate, e durano da un minimo di quindici giorni a un massimo di due mesi. Certo, in Perù, nello Sri Lanka o a Cuba, ci vanno i più grandi e per un tempo più lungo. I più piccoli li porto in Romania. I ragazzi aiutano nei cantieri a imbiancare, a fare lavoretti umili. Imparano soprattutto a guardare come vivono i nostri missionari della Compagnia di Gesù. Il viaggio se lo pagano da soli. Insomma, pagano per lavorare. Tutto quello che si riesce a fare è dono della Divina Provvidenza. Noi non riceviamo contributi dagli enti pubblici e le offerte sono tutte libere e private. Molte arrivano proprio dalle famiglie dei nostri ragazzi. Per esempio, per sostenere le tre case-famiglia a Sighet, in Romania, i ragazzi del Massimo hanno voluto fare una onlus particolare, come quelli di Torino per il Perù. La Lega poi, da qualche tempo, s’è integrata al Magis, l’organizzazione non governativa che raggruppa tutte le associazioni e le opere di cooperazione della Compagnia di Gesù.
Mi diceva di Cuba…
NEVOLA: Dopo tre viaggi di sopralluogo, alla fine, per andarci con i miei studenti, mi sono fatto raccomandare da Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani. Ha studiato dai gesuiti e suo padre è stato presidente della Congregazione mariana, un’altra nostra associazione. Grazie a una sua lettera, dopo quarantasette anni dalla rivoluzione castrista siamo stati la prima associazione che la Chiesa ha potuto utilizzare per inventarsi un campo di evangelizzazione popolare. Certo, bisogna muoversi con una certa prudenza, senza urtare le sensibilità locali. Ma è stata un’esperienza straordinaria: insomma, dei giovani occidentali che si mettono ad arare i campi e a fare catechismo ai contadini. E io, che con la mia veste bianca entro negli ospedali, magari sotto la foto di Che Guevara. Sono cose che non s’erano mai viste. Insomma, noi lo Stato di polizia non l’abbiamo avvertito. Si sono aperte tutte le porte. E poi, anche nell’ultimo villaggio sperduto c’è sempre una scuola e un ambulatorio: l’educazione è garantita e obbligatoria. Se non mandi i figli a scuola, sono guai.
A proposito di comunismo, si pensi alla Romania. Là il comunismo è crollato da diciotto anni. Ma allora i bambini e i ragazzi che vivono nelle fogne non c’erano.
E i suoi ragazzi come hanno vissuto quest’esperienza?
NEVOLA: Sono tornati trasformati, entusiasti. Vogliono tornare. Nessuno è rimasto indifferente. Sono esperienze, queste, che permettono anche ai più distanti dalla fede, che magari non accedono ai sacramenti da tempo, di sciogliersi e riaccostarsi alla comunione e alla confessione.

Padre Massimo Nevola (a sinistra nella foto) in un ospedale cubano sotto la foto di Che Guevara
MASSIMO NEVOLA: Aprire il cervello e il cuore alla mondialità mediante lo studio delle problematiche emergenti. Ma soprattutto mediante il coinvolgimento fattivo nel lavoro per le missioni. Negli anni Trenta era impossibile mandare studenti all’estero. Non c’era la cultura. Grazie a padre Pellegrino e al suo successore, padre Vincenzo Cardillo, i ragazzi hanno incominciato a partire volontari. Con la nascita dei Centri missionari diocesani in Italia, il ruolo della Lega, certo, s’è ridimensionato. Oggi i nostri studenti sono circa un migliaio e operano esclusivamente all’interno di istituzioni legate alla Compagnia di Gesù.
Lei è il direttore della Lega da dodici anni. Come ha impostato il suo lavoro quando è stato chiamato a guidare un movimento con una storia tanto grande alle spalle?
NEVOLA: Appena finita la formazione in Spagna, i miei superiori mi chiesero di aiutare la missione in Albania, dove, prima del regime comunista, i Gesuiti avevano una parrocchia a Tirana. Appena crollata la dittatura di Enver Hoxha, siamo tornati e abbiamo ritrovato sei padri che ormai davamo per morti. A quel punto m’attaccai al fax per contattare un po’ di giovani spagnoli e italiani, che conoscevo bene e che avevano frequentato le nostre scuole, per farmi dare una mano. Me ne aspettavo quindici. Se ne presentarono duecento. Non sapevo dove metterli. Dovette darmi una mano don Luigi Di Liegro. Fu l’inizio del “Progetto speranza” nel quale confluirono tutti i gruppi giovanili della Compagnia di Gesù. Là abbiamo fondato sette case-famiglia per ragazzi handicappati. Nel 1997, con lo scoppio della guerra civile, abbiamo lasciato l’Albania e, grazie all’interessamento di un giovane padre gesuita che lavorava in una parrocchia di Sarajevo, nell’estate del 1997 sono andato in Bosnia insieme a cento volontari.
A chi propone di partire per i campi? E che cosa fanno questi giovani una volta giunti là?
NEVOLA: Propongo di partire ai ragazzi delle ultime classi del liceo. Altri sono ex alunni, ormai universitari, che vivono ancora l’esperienza della Lega. I campi, ovviamente, si fanno d’estate, e durano da un minimo di quindici giorni a un massimo di due mesi. Certo, in Perù, nello Sri Lanka o a Cuba, ci vanno i più grandi e per un tempo più lungo. I più piccoli li porto in Romania. I ragazzi aiutano nei cantieri a imbiancare, a fare lavoretti umili. Imparano soprattutto a guardare come vivono i nostri missionari della Compagnia di Gesù. Il viaggio se lo pagano da soli. Insomma, pagano per lavorare. Tutto quello che si riesce a fare è dono della Divina Provvidenza. Noi non riceviamo contributi dagli enti pubblici e le offerte sono tutte libere e private. Molte arrivano proprio dalle famiglie dei nostri ragazzi. Per esempio, per sostenere le tre case-famiglia a Sighet, in Romania, i ragazzi del Massimo hanno voluto fare una onlus particolare, come quelli di Torino per il Perù. La Lega poi, da qualche tempo, s’è integrata al Magis, l’organizzazione non governativa che raggruppa tutte le associazioni e le opere di cooperazione della Compagnia di Gesù.
Mi diceva di Cuba…
NEVOLA: Dopo tre viaggi di sopralluogo, alla fine, per andarci con i miei studenti, mi sono fatto raccomandare da Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani. Ha studiato dai gesuiti e suo padre è stato presidente della Congregazione mariana, un’altra nostra associazione. Grazie a una sua lettera, dopo quarantasette anni dalla rivoluzione castrista siamo stati la prima associazione che la Chiesa ha potuto utilizzare per inventarsi un campo di evangelizzazione popolare. Certo, bisogna muoversi con una certa prudenza, senza urtare le sensibilità locali. Ma è stata un’esperienza straordinaria: insomma, dei giovani occidentali che si mettono ad arare i campi e a fare catechismo ai contadini. E io, che con la mia veste bianca entro negli ospedali, magari sotto la foto di Che Guevara. Sono cose che non s’erano mai viste. Insomma, noi lo Stato di polizia non l’abbiamo avvertito. Si sono aperte tutte le porte. E poi, anche nell’ultimo villaggio sperduto c’è sempre una scuola e un ambulatorio: l’educazione è garantita e obbligatoria. Se non mandi i figli a scuola, sono guai.
A proposito di comunismo, si pensi alla Romania. Là il comunismo è crollato da diciotto anni. Ma allora i bambini e i ragazzi che vivono nelle fogne non c’erano.
E i suoi ragazzi come hanno vissuto quest’esperienza?
NEVOLA: Sono tornati trasformati, entusiasti. Vogliono tornare. Nessuno è rimasto indifferente. Sono esperienze, queste, che permettono anche ai più distanti dalla fede, che magari non accedono ai sacramenti da tempo, di sciogliersi e riaccostarsi alla comunione e alla confessione.