EDITORIALE
tratto dal n. 01 - 1998

Luci da Cuba



Giulio Andreotti


Non credo arbitrario collegare l’ultimo messaggio papale per la Giornata mondiale della pace con il viaggio a Cuba che il Santo Padre si apprestava a effettuare, dopo una lunga e complessa preparazione diplomatica. Senza nulla togliere, infatti, all’importanza di alcuni temi specifici in agenda vi è un filo diretto tra gli indirizzi fondamentali ribaditi nel documento del primo gennaio e i passi di maggior rilievo dei discorsi a L’Avana.
Il problema dominante della globalizzazione economica è stato infatti da tempo recepito dal Pontefice in una chiave che non rigetta gli inevitabili risvolti economici, ma sostiene con forza l’ineludibilità e il primato di una concezione morale dell’uomo e dei suoi rapporti.
Durante il faticoso iter del negoziato sul commercio internazionale (Uruguay Round) mi sono più volte posto l’interrogativo se l’abbattimento di barriere doganali non rischiasse di avvantaggiare le economie avanzate marginalizzando ancora di più le altre. L’adesione però di moltissimi Paesi cosiddetti in via di sviluppo (modo gentile di classificare i sottosviluppati) indusse a rimuovere dubbi e riserve. Ed è troppo presto per aver conferme positive o ripristino delle vecchie riserve. Tuttavia quando Giovanni Paolo II deplora, rifiutando l’automatismo dell’economia di mercato, che vi sia tuttora un impoverimento dei poveri e un arricchimento dei ricchi, non si può non meditare e studiare rimedi effettivi.
In cinquantatré anni di vita parlamentare italiana ed anche in tante occasioni di incontri comunitari o internazionali ho sentito ripetere un’infinità di volte che non è giusto che un quinto del genere umano continui ad avere la disponibilità di quattro quinti delle risorse. Non è giusto, ma purtroppo non vi sono stati correttivi sensibili in questo squilibrio, che le politiche di cooperazione hanno intaccato in modo poco significativo. Da noi stessi, dopo anni di una grande sensibilità – ricordo le marce pasquali di Pannella e di altri esponenti di partito – hanno prevalso considerazioni di finanza nazionale e forse anche la dura strada dell’aggiustamento “post-Maastricht”.
Premesso che «la giustizia cammina con la pace e sta con essa in relazione costante e dinamica» e che «giustizia e pace mirano al bene di ciascuno e di tutti, esigendo per questo ordine e verità», di fronte alla globalizzazione economico-finanziaria ci si deve chiedere se tutti abbiano la possibilità di goderne gli effetti.
Di qui la puntuale attenzione alla persona umana, auspicando non retoricamente che le Nazioni Unite diventino una «famiglia di nazioni». Aumento generalizzato del tenore di vita e connesso godimento di più ampia libertà sono i punti di orientamento cui gli Stati devono secondo il magistero pontificio ispirarsi.
Il Papa ha insistito molto sullo spinoso problema dell’indebitamento dei Paesi meno abbienti, che dovrebbe essere alleggerito e ove possibile cancellato attraverso un grande sforzo di solidarietà. Iniziative di questo tipo sono state in passato più volte messe in campo, sia collettivamente che da singoli governi (Italia compresa), ma il meccanismo degli interessi e le necessità di crediti ulteriori pesano in modo schiacciante, mantenendo situazioni di «affronto alla dignità della persona umana».
Non si tratta tanto o soltanto di appelli alla carità perché si fa preciso riferimento alla esistenza di «mezzi adeguati per eliminare la miseria, quali la promozione di consistenti investimenti sociali e produttivi da parte di tutte le istanze economiche mondiali».
L’analisi fatta con l’indicazione di chiare priorità concerne il mondo come tale ed anche l’interno di singole nazioni dove esistono situazioni di povertà estrema. Sviscerando ulteriormente il tema il Pontefice ha indicato due delle forme di ingiustizia che mettono a rischio la pace.
«Innanzi tutto l’assenza di mezzi per accedere equamente al credito. I poveri sono tante volte costretti a restare fuori dai normali circuiti economici o a mettersi nelle mani di trafficanti di danaro senza scrupoli che esigono interessi esorbitanti, con il risultato finale del peggioramento di una situazione già di per sé precaria. Per questo è dovere di tutti impegnarsi perché ad essi sia reso possibile l’accesso al credito in termini equi e con interessi favorevoli. Per la verità, in diverse parti del mondo già esistono istituzioni finanziarie che praticano il micro-credito a condizioni di favore per chi ne ha bisogno. Sono iniziative da incoraggiare, perché è su questa strada che si può giungere a stroncare alle radici la vergognosa piaga dell’usura, facendo in modo che i mezzi economici necessari per lo sviluppo dignitoso delle famiglie e delle comunità siano accessibili a tutti».
È significativo che Sua Santità anche in queste occasioni – messaggio e Cuba – abbia dichiarato che la sua fiducia riposa nei giovani: «A voi giovani del mondo intero, che spontaneamente aspirate alla giustizia e alla pace, dico: tenete sempre viva la tensione verso questi ideali, ed abbiate la pazienza e la tenacia di perseguirli nelle concrete condizioni in cui vi trovate a vivere. Siate pronti a respingere le tentazioni di scorciatoie illegali verso falsi miraggi di successo o di ricchezza; abbiate invece il gusto di ciò che è giusto e vero, anche quando attenersi a questa linea richiede sacrificio ed impegna ad andare controcorrente. È in questo modo che dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti».
Alla gioventù cubana il Papa ha rivolto l’invito a lavorare per un avvenire migliore non indulgendo alla tentazione di espatriare. Mi sembra lo stesso consiglio che veniva dato ai polacchi che, lasciando la patria, sia pur per obiettivi motivi, finivano col togliere forze alla resistenza contro il monopolio comunista. Da allora molte cose sono cambiate in Europa e nel mondo. L’Unione Sovietica e il Comecon non esistono più; ma come significato politico anche il gruppo dei Non Allineati non è che un ricordo. Cuba ha avuto più di altri Paesi il contraccolpo di tutte queste novità.
Sarebbe però storicamente improprio dare all’atteggiamento recente di Fidel Castro un mero significato di adeguamento alla fine della guerra fredda. Già nel settembre 1981 quando si tenne a L’Avana la Conferenza dell’Unione interparlamentare, ascoltai sia nell’udienza privata sia nella visita che – privilegiandoci rispetto alle altre delegazioni – fece in ambasciata italiana, espressioni molto diverse da quelle correnti nella nomenclatura. Esplicito fu ad esempio il desiderio di incontrare il Papa; e poiché l’Italia non lo invitava, il suo auspicio era che il Papa andasse laggiù. Fece un cenno preciso alla libertà di culto, dicendo che non si doveva prendere alla lettera la citazione congressuale (sottolineatagli se ben ricordo da Franco Maria Malfatti) che lo sviluppo del socialismo avrebbe rimosso dal popolo le “credenze religiose”.
Lungo gli anni successivi le cronache registrarono incontri con alti esponenti per così dire centrali della Chiesa cattolica, in una difformità inizialmente molto netta con il n tripudio di folla plaudente nella piazza della Rivoluzione dominata da una immagine grandiosa del Sacro Cuore.
Vi sono momenti in cui ogni considerazione politica lascia il passo soltanto alla commozione e alla preghiera.


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