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MESSICO
tratto dal n. 01 - 1998

L’incontro con Gesù Cristo e il grido del povero

Assassinati mentre pregavano il Signore


Intervista con l’arcivescovo di Città del Messico Norberto Rivera Carrera, che sarà creato cardinale da Giovanni Paolo II nel prossimo concistoro del 21 febbraio


Intervista con Norberto Rivera Carrera di Andrea Tornielli


Due anni fa era soltanto il giovane vescovo di Tehuacán, una piccola diocesi messicana. A sorpresa, il Papa lo ha scelto per succedere al cardinale primate Ernesto Corripio Ahumada, alla guida della diocesi di Città del Messico. E ora ha deciso di elevarlo alla porpora. Il neocardinale Norberto Rivera Carrera, pastore aperto e benvoluto dai fedeli, fin dai primi mesi dopo il suo ingresso in diocesi non ha mancato di far sentire la sua voce per denunciare le ingiustizie e i tanti crimini che hanno insanguinato il Paese americano.

Che cosa pensa del massacro avvenuto in Chiapas prima di Natale?
NORBERTO RIVERA CARRERA: Deve essere considerato – da qualsiasi punto di vista, non solo da quello religioso – un crimine abominevole, un atto irrazionale, che non può avere alcuna giustificazione. Bisogna cercare di fermare il deteriorarsi delle relazioni sociali in Chiapas per costruire, attraverso l’educazione e la fede, spazi nei quali sia possibile far rinascere la concordia fra gli abitanti. Il crimine di Acteal è ormai noto ed è stato denunciato. Purtroppo ne vengono commessi molti altri, meno conosciuti, che restano impuniti.
Crede che le vittime possano essere considerate dei martiri?
RIVERA CARRERA: Non esistono, per il momento, elementi sufficienti per affermare o per scartare questa ipotesi. Sarebbe conveniente che la Chiesa realizzasse un’indagine rigorosa, per chiarire questo aspetto della tragedia, vale a dire la possibilità del martirio per la fede di questi nostri fratelli che sono stati assassinati mentre pregavano il Signore. Secondo alcune voci, infatti, le vittime sapevano il rischio che correvano recandosi a quella funzione. È una possibilità che va accertata seriamente. In seguito la Chiesa potrebbe procedere con la dovuta saggezza e prudenza. Azzardare giudizi, soprattutto, usare il sangue di un crimine per fini di partigianeria è da irresponsabili.
Quali sono, secondo lei, le cause del massacro? Sono stati individuati i colpevoli?
RIVERA CARRERA: Si è parlato di diversi possibili moventi. C’è chi dice che sia stato un atto di vendetta fra etnie indigene. Altri sostengono che sia stato un atto premeditato di gruppi di potere allo scopo di provocare un’irruzione armata dell’esercito nelle zone del conflitto, una provocazione al governo che è costata la vita a molti innocenti, inclusi donne e bambini. Da ultimo c’è stato chi ha supposto – a mio avviso è una tesi assurda – che lo stesso governo abbia pianificato il genocidio. Questo, insisto, non è credibile né sostenibile. Spetta alla giustizia messicana, e questo è davvero importante, scoprire e punire gli esecutori e i mandanti di questa strage, per ristabilire lo Stato di diritto in quella zona così sofferente del nostro Paese. È indispensabile che i colpevoli non restino impuniti. Dall’impunità nascono arbitri e ingiustizie, che sono agli antipodi del Vangelo che Gesù Cristo ci ha dato. Purtroppo rimaniamo increduli per il fatto che alcuni gravi crimini che hanno colpito la nostra patria continuano a essere avvolti dall’oscurità e non sono ancora stati individuati i responsabili.
Qual è la posizione della Chiesa messicana sui fatti del Chiapas?
RIVERA CARRERA: La posizione è rimasta invariata: di annuncio e di denuncia, in sintonia con il Vangelo di Gesù nostro Signore, che ha avuto un’attenzione speciale per i poveri e i diseredati. La Chiesa non ha smesso di predicare il Vangelo in quelle zone. Ha promosso instancabilmente la dignità dei nostri fratelli indigeni e ha difeso il loro diritto a uno sviluppo integrale, riguardante tutti gli aspetti della loro realtà: sociale, politico, etico e religioso. Proprio questo impegno ha reso anche necessario denunciare le innumerevoli ingiustizie di ogni genere che esistono in questa regione: dalla iniqua distribuzione delle ricchezze alla manipolazione politica che si fa dei gruppi etnici. È certo che, in questo senso, si sono imputate alla Chiesa cattolica in Chiapas molte intenzioni che non corrispondono alla verità e alla realtà. La Chiesa non ha intenzioni o strategie politiche. Insiste solo nella necessità di creare le condizioni necessarie per la pace, come premessa indispensabile per lo sviluppo. È un impegno che deve coinvolgere il governo, i partiti politici, le stesse comunità indigene. E anche la Chiesa cattolica, che deve diventare un fattore sempre più determinante nella costruzione della pace.
Lei, subito dopo il massacro, ha detto che «non basta condannare ma bisogna rimuovere le cause». Che cosa intendeva dire?
RIVERA CARRERA: Bisogna individuare i fattori che generano la violenza in Chiapas per evitare nuovi scontri o massacri come quello di Acteal. Non serve perdere tempo nelle condanne che restano sulla carta. Invece, è urgente creare e mettere a disposizione tutte le condizioni economiche, politiche, sociali e religiose che impediscano il ripetersi di questi tristi episodi. Non basta il dialogo, non sono sufficienti le riforme costituzionali che devono essere fatte. È necessario togliere dalla condizione di estrema povertà i nostri fratelli del Chiapas e del resto del Paese.
Il governo messicano sta facendo qualcosa per combattere la povertà degli indios?
RIVERA CARRERA: Dalla stampa abbiamo appreso che il governo sta lavorando a un progetto di sviluppo globale per la regione. Si tratta, senza dubbio, di uno sforzo rimarchevole da parte del governo federale. Però sarà necessario, da parte della società civile e dello stesso governo, vigilare affinché questi progetti vengano davvero applicati con onestà ed efficienza per migliorare la qualità della vita di tutti gli abitanti del Chiapas, senza distinzioni politiche, razziali o religiose. Purtroppo abbiamo constatato di frequente, anche in tempi recenti, il cattivo uso che è stato fatto di questi progetti. In molti pensano che l’attuale governo del Messico abbia l’intenzione di sradicare la situazione di emarginazione e di grave miseria che c’è in Chiapas. Dobbiamo chiedere al Signore che le autorità non vengano meno a questo proposito, al quale devono cooperare tutti i messicani di buona volontà.
Perché subito dopo il massacro lei ha detto che quanto è accaduto ad Acteal era una «violenza annunciata»?
RIVERA CARRERA: Se lei vede fumo, capisce che c’è il fuoco. Se viene a sapere da fonti degne di fede che le armi abbondano fra le diverse fazioni che si combattono in Chiapas, è logico denunciare il rischio che si odano spari e non parole. Da molti anni – e ci sono documenti che lo provano – la Chiesa ha cercato di avvertire la società civile e il governo della continua e massiccia penetrazione di armi nella regione, e, di conseguenza, dell’esistenza di una situazione esplosiva. Del clima di violenza che ha preso piede e che purtroppo è esploso. C’è anche da aggiungere che in quella regione per molto tempo sono state esaltate la violenza e la lotta di classe.

È passato ormai un ventennio da quando Giovanni Paolo I (la cui morte improvvisa è stata un sacrificio reale), seguendo fedelmente la Sacra Scrittura e la Tradizione, ha ricordato che l’oppressione dei poveri grida vendetta al cospetto di Dio. Riproponiamo le sue parole, pronunciate in occasione della presa di possesso della Cattedrale della Chiesa di Roma, la Basilica Lateranense, il 23 settembre 1978: «Alcune delle sue parole [del sindaco di Roma] m’hanno fatto venire in mente una delle preghiere che, fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: “I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono… opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”. A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?”. Ed io rispondevo col Catechismo di san Pio X: “…Perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio”».


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