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IMMIGRAZIONE
tratto dal n. 01 - 1998

Parla l’arcivescovo di Lecce, diocesi in prima linea nell’emergenza

Noi e i popoli in fuga


Prima sono sbarcati gli albanesi, poi i curdi. La Chiesa salentina ha allestito campi e centri di accoglienza, ha aiutato centinaia di famiglie musulmane coinvolgendo la popolazione locale. Monsignor Cosmo Francesco Ruppi racconta questi mesi di mobilitazione continua. Intervista


Intervista con Cosmo Francesco Ruppi di Paolo Mattei


Di emergenza in emergenza. L’immigrazione sulle coste pugliesi è quotidianamente vissuta dalla gente del posto come si attende una burrasca presentita attraverso segni vaghi provenienti dal cielo e dal mare. E dalle notizie sui giornali, che raccontano di bastimenti di disperati salpati da Meridione o da Oriente a cercare fortuna in Italia o altrove, in Europa, addirittura oltre Atlantico. Passaggio obbligato: il sud Italia. Allora è emergenza. E parte l’organizzazione per sistemare i profughi, inizia la fatica di giorni e mesi.
Monsignor Cosmo Francesco Ruppi, pugliese di Alberobello, è l’arcivescovo di Lecce. Conosce, perché le vive in prima persona, tutte le difficoltà che la popolazione e le strutture ecclesiastiche di volontariato della sua regione affrontano ogni giorno per garantire una permanenza dignitosa ai nuovi arrivati. Come è accaduto per i curdi. Come succede per gli albanesi. Gli abbiamo posto alcune domande.

Come è stata gestita la recente emergenza curdi?
COSMO FRANCESCO RUPPI: Il problema dei curdi è esploso nella nostra terra alla fine dello scorso anno, nel giorno dei morti. Eravamo appena rientrati dalle celebrazioni quando siamo stati avvertiti dalla prefettura che una nave con 870 curdi era arrivata di soppiatto nel porto di Santa Maria di Leuca. In meno di cinque ore abbiamo risistemato due grandi centri di accoglienza che durante l’emergenza albanese avevamo attrezzato nell’ex colonia Regina Pacis e nell’Oasi di spiritualità, nelle località di Roca e di San Foca. Abbiamo fatto uno sforzo immenso per accogliere questa moltitudine di curdi. Siamo riusciti a gestire l’emergenza mantenendo con loro ottimi rapporti, direi rapporti fraterni.
Un secondo grosso arrivo di curdi è avvenuto il 1° gennaio, a Otranto dove sono stati sbattuti dopo innumerevoli peripezie marine, con assalti di delinquenti sulla nave, 370 profughi, di varia provenienza. Ma ve ne sono – a quanto si sa – ancora alcune migliaia che sarebbero pronti a raggiungere l’Italia e l’Europa centrale. Quello dei curdi è un grosso problema, di cui il mondo deve occuparsi. È un problema che riguarda non soltanto l’Europa, ma la coscienza dell’intera umanità. Sono 25 milioni e hanno diritto ad avere una loro patria.
I curdi arrivati da noi non avevano l’intento di rimanere, ma soltanto quello di raggiungere i loro connazionali in Francia, in Germania e in altre parti d’Europa dove immaginano e sperano di trovare lavoro. L’emergenza, quindi, è durata nei nostri centri diocesani di Lecce una decina di giorni, giusto il tempo che serviva loro per ottenere il visto e ripartire.
Il fatto che i curdi approdati sulle coste pugliesi fossero per la maggior parte di confessione islamica ha provocato qualche tensione?
RUPPI: Abbiamo avuto la soddisfazione, nonostante fossero musulmani, di avere un rapporto molto buono. Anzi, per rispettare la loro tradizione, abbiamo chiesto che cosa volessero mangiare, quali erano i cibi che volevano evitare. Abbiamo fatto alloggiare molti di loro, soprattutto donne e bambini, nelle chiese e nelle cappelle perché non avevamo altro posto, in quanto avevamo riempito tutti i centri di accoglienza. È stato molto bello vedere questi fratelli di fede musulmana ospitati nelle cappelle cattoliche e addirittura qualche bambino adagiato sull’altare che nel frattempo era stato denudato delle tovaglie e della suppellettile sacra.
In che misura un gesto di carità nei confronti di un popolo islamico può aiutare ad allentare la diffidenza verso le piccole comunità cattoliche del Nord Africa o del Medio Oriente dove l’islam è maggioritario?
RUPPI: Noi cristiani, quando compiamo il nostro dovere di accoglienza, non abbiamo in mente alcun ritorno in termini di interesse contingente. Noi operiamo perché il Signore ci spinge, perché aderiamo a quanto ci dice: «Ero forestiero e mi hai accolto». Certo può apparire strano che da parte nostra ci sia stata e ci sia tuttora una così grande accoglienza ed apertura, mentre le nostre piccole comunità cattoliche che vivono nei grandi Paesi islamici non ricevono nessuna garanzia di libertà e non hanno a volte neppure la possibilità di manifestare delle piccole esigenze di culto. Indubbiamente il problema del rispetto delle minoranze non riguarda solo noi, ma deve riguardare anche le nazioni a maggioranza musulmana. Spero quindi che l’accoglienza data a queste moltitudini di musulmani, curdi o albanesi che siano, abbia un certo peso per ciò che concerne la libertà religiosa e la reciprocità anche nei Paesi a grande maggioranza musulmana.
Ha registrato, nella sua diocesi, la paura strisciante di un’“invasione islamica”?
RUPPI: Paura assolutamente no. Sebbene il fenomeno vada considerato con molta attenzione e anche con molta vigilanza. Secondo molti l’islamizzazione è uno dei pericoli che sono davanti a noi. Non ho elementi di giudizio in merito. Sono però convinto che più saremo autentici nella nostra fede, più saremo pronti a resistere alle influenze esterne, da qualsiasi parte esse vengano.
Qual è stato e quale deve essere l’impegno della Chiesa nell’affronto dell’emergenza immigrazione?
RUPPI: L’impegno della Chiesa è stato costante, massiccio e, per molti versi, anche eroico. Basti soltanto annotare che su 1.800 profughi albanesi arrivati nella provincia di Lecce, 1.200 sono stati accolti nei quattro centri di accoglienza della diocesi. E sui circa mille curdi arrivati nei primi di novembre, 870 hanno avuto la stessa sistemazione.
Devo onestamente dire che abbiamo avuto molta comprensione da parte delle autorità. Sotto certi aspetti, invece, abbiamo supplito alle carenze organizzative delle istituzioni. Infatti, negli anni passati, erano stati promessi tre centri di prima accoglienza in Puglia e non ne è stato realizzato nessuno. Se non ci fosse stato lo sforzo della Chiesa credo che le conseguenze sarebbero state irreparabili per lo Stato, per il governo, e per la stessa immagine dell’Italia.
Quindi per chi è in prima linea nel lavoro dell’accoglienza la fatica non è poca...
RUPPI: Certamente no. A volte i volontari hanno avuto l’impressione di trovarsi da soli a sopportare il peso di un’accoglienza che in alcuni periodi si è fatto veramente gravoso. Ma a me non piace fare polemiche e neppure lanciare accuse alle istituzioni. Mi auguro che il concerto e il dialogo che ci sono stati soprattutto in provincia di Lecce tra la nostra struttura diocesana e le strutture periferiche dello Stato possano rappresentare anche un modello d’intesa e di collaborazione sempre rispettoso delle reciproche competenze, ma profondamente mirato al sostegno dei poveri. Mi auguro che l’aiuto dato dalla Chiesa salentina allo Stato possa essere ricambiato con una attenzione più vigile del governo verso i tre popolazioni sul tema dell’accoglienza. Anche se c’è stata qualche reazione negativa da parte di chi lamentava che alla grande attenzione della Chiesa verso l’accoglienza corrispondesse una disattenzione altrettanto grande da parte dello Stato e del governo nei confronti della disoccupazione dei nostri giovani.
Sono comprensibili queste reazioni che scaturiscono dal fatto che la disoccupazione, soprattutto giovanile, cresce continuamente di mese in mese. Ma, nonostante tutto, la stragrande maggioranza della nostra gente ha mostrato grande apertura verso gli immigrati. Ritengo però che una catechesi più organica sul fenomeno dell’immigrazione ed un impegno di responsabilità da parte delle Chiese locali in tal senso debba essere perseguito con tenacia e con perseveranza, per far sì che nasca una coscienza dell’accoglienza e l’immigrato non sia visto come un intruso, ma come un fratello che viene a condividere il nostro pane e a percorrere le nostre stesse strade.
Pensa che sia urgente l’introduzione di una normativa chiara e definitiva che regoli l’immigrazione nei confini della penisola?
RUPPI: Spero che la nuova legge, in corso di approvazione da parte del Parlamento, sia non solo chiara, ma soprattutto efficace, perché in materia di immigrazione è necessario che la legislazione stabilisca e regoli i flussi migratori, anche stagionali, e soprattutto ponga un argine preciso all’immigrazione clandestina. Il problema più delicato, infatti, che riguarda non solo le coste pugliesi, ma anche molte altre aree italiane, è quello dell’immigrazione clandestina, selvaggia, soprattutto quando, attraverso essa, vengono introdotte nel nostro territorio armi, tonnellate di droga e prostituzione. Peggiorando, così, una già grave situazione sociale e civile e determinando l’intreccio tra mafia e malavita organizzata.


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