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TEOLOGIA
tratto dal n. 01 - 1998

Quel qualcosa che stupiva...


Era una ragazza delle Langhe e fu uccisa da un soldato tedesco durante l’ultima guerra. Sta per diventare beata. Non fece mai nulla di straordinario, eppure, come testimoniò un bottegaio del suo paese nel processo di beatificazione, «quando c’era lei tutto era diverso»


di Stefania Falasca


«Simplices, anime semplici, semplici bimbi, / Palma et coronis luditis./ […] Ecco quello che accade nel mio paradiso. / A che si potrà mai giocare / Con una palma e delle corone di martiri? / Penso che giochino al cerchio, dice Dio, e forse ai cerchietti / (almeno lo penso, perché non crediate / che mai mi si chieda il permesso)./ Tale è il mio paradiso, dice Dio. Il mio paradiso è quello che
c’è di più semplice».

È con questa immagine che Charles Péguy chiude il Mistero dei santi innocenti: «Il mio paradiso», dice Dio, «è quello che c’è di più semplice», così semplice come lo sguardo chiaro di questa ragazzetta delle Langhe piemontesi morta a vent’anni. Si chiama Teresa Bracco. È stata uccisa il 28 agosto del 1944 da un ufficiale tedesco durante un rastrellamento. Agli onori degli altari la vedremo salire presto. Il processo di beatificazione iniziato appena dieci anni fa è infatti giunto celermente al suo epilogo con il riconoscimento del martirio. Rimane quindi solo da stabilire la data in cui proclamarla beata. Ma per la gente delle Langhe, per quanti l’hanno conosciuta, Teresa lo è già. Già lo era in vita. Benché è proprio questo il paradosso: durante la sua breve esistenza non ha fatto nulla, veramente nulla, non solo nulla di straordinario e di importante, neanche nulla di più dell’ordinario. Non ha fondato niente, non è appartenuta a nessun ordine religioso, nemmeno ad associazioni cattoliche, non era impegnata, né una ragazza brillante; non ha lasciato scritti, fatta eccezione per una letterina di Natale che scrisse a dieci anni, di quelle che scrivono i bambini per questa circostanza (unico allegato agli atti processuali). Di lei non si ricordano neppure discorsi di qualche rilievo. Figlia di contadini, penultima di sette fratelli, Teresa era nata a Santa Giulia, un piccolo borgo nella diocesi di Acqui Terme, il 24 febbraio 1924. Tre giorni dopo è battezzata. Nel ’31 riceve la prima comunione e nel ’33 la cresima. Finite le elementari, a fianco del padre e delle sorelle maggiori, si dedica al lavoro dei campi. Questo è tutto. Tutta la sua vita. Che cosa c’era allora in tutta questa normalità? Che cosa c’era da indurre la gente a considerarla diversa e a far sì che la sua memoria e la sua fama non solo rimanessero vive ma crescessero fino a diffondersi anche oltre i confini nazionali?

«Semplicemente era battezzata e cresimata»
La strada che porta alla sua casa attraversa vigne e colline, sono le «aspre e dure colline», le stesse colline che han fatto l’infanzia e la storia di Cesare Pavese, il poeta-scrittore della Luna e i falò e del Mestiere di vivere (il cui paese nativo, Santo Stefano Belbo, è poco più a nord). Terre arate e vigne, lavoro e fatica di intere generazioni, che molti hanno poi abbandonato per andare altrove, lontano. Ma non era ancora così quando c’era Teresa, in quegli anni prima della guerra. Una modesta costruzione di pietra e la stalla: questa è la casa della numerosa famiglia Bracco a Santa Giulia. Una famiglia di contadini di tradizione cristiana come tante. Nella casa c’è ancora la camera e il letto di Teresa. Appesa sopra il muro un’immagine di san Domenico Savio, l’allievo di san Giovanni Bosco, con sotto una frase: «La morte, ma non i peccati». «L’aveva ritagliata dal Bollettino salesiano a cui il papà era abbonato» racconta una delle sue sorelle. «Le piaceva Domenico Savio per quella frase lì. Mia sorella ha fatto le elementari e a scuola andava volentieri, andava volentieri anche al catechismo e seguiva con così tanta diligenza che il parroco, don Natale Olivieri, la premiava con dei libretti. Quei libretti del catechismo li aveva tanto cari da averli tutti consumati per l’uso, fino al punto che dovette ricucirgli la copertina». «Finite le scuole» ricorda sua sorella maggiore «Teresa cominciò ad aiutare il papà nelle semine, nei raccolti e ad accudire il bestiame. La sera si tornava a casa stanche e spesso, prima di dormire, la vedevo in ginocchio accanto al letto. E dopo la preghiera all’angelo custode, sovente concludeva con l’invocazione alla santa che porta il suo nome: “Santa Teresa del Bambin Gesù, la via del cielo insegnami tu”». «Era sempre contenta» dice sua sorella minore; «frequentava assiduamente i sacramenti più di noialtre e non era neppure iscritta alle Figlie di Maria, come la nostra sorella maggiore e alcune delle nostre compagne. Tanto che quando certe mattine la vedevo dal letto alzarsi prestissimo per andare alla messa, le dicevo: “Ma tu non ne hai mica l’obbligo, non fai parte neanche delle Figlie di Maria!”». «Una volta» testimonia una delle sue compagne più strette «mentre si recitava il rosario, vidi Teresa con le lacrime agli occhi e le chiesi: “Cos’hai?”, e lei: “Non ho niente… È la Madonna”. Più volte l’ho vista commuoversi mentre recitava il rosario. Il rosario era la sua passione, portava sempre con sé la corona quando andava al pascolo e a lavorare nei campi». Questo è quanto di più importante ricordano le persone che l’hanno avuta più vicina. «Di Teresa basterebbe semplicemente dire che era battezzata e cresimata» dice don Ignazio Albenga che per primo ne ha steso le memorie. E questo potrebbe davvero essere tutto.

«In un modo, in un modo così bello...»
Eppure anche se tutti dicevano che Teresa era una ragazza normalissima, tutti dicevano che qualcosa di speciale pure l’aveva. Nessuno tuttavia, di quanti la conobbero, sapeva dire bene in cosa consistesse questo “qualcosa”. Un’amica della famiglia Bracco così testimonia al processo: «Teresa era buona, una ragazza bella, discreta, serena… di ragazze come quella lì non ne ho mica più viste». Domanda: «Lei non ricorda niente di particolare?». Risposta: «No… Anzi sì, qualcosa ricordo. Un piccolo episodio. Una sera venne a chiamare mio figlio perché andasse a cena a casa sua. Mi rimase impresso il modo con cui glielo chiese… Mi pare ancora di rivedere la sua faccia… Glielo chiese in un modo, in un modo così bello… che mi parve una santa». «Aveva un altro istinto» dice il bottegaio che spesso vedeva Teresa per qualche commissione: «Quando lei c’era tutto era diverso». Il buon parroco l’aveva capito subito: «Quella ragazzina lì ha più fede di un intero seminario di chierici, è un fiore, accarezzato dalla grazia di Dio». E nessuno si meravigliò quando in quella terribile fine d’agosto del ’44 giunse a tutti la notizia che Teresa era stata uccisa da quel soldato. Nessuno si meravigliò che Teresa avesse preferito la morte piuttosto che perdere la grazia di Dio.
La sua uccisione è avvenuta durante un’azione di rastrellamento condotta dalle truppe tedesche occupanti per snidare le formazioni partigiane nascoste nei boschi di quelle colline. Dopo lo sfascio dell’esercito italiano e la rottura dell’alleanza con la Germania, ebbe infatti inizio la guerriglia partigiana che proprio in questo territorio delle Langhe ebbe scontri molto violenti, scontri che rappresentarono per l’inerme popolazione soprusi e violenze.
I fatti di quel 28 agosto del ’44 andarono così.
cappare al riparo con loro. Le scorsero invece i tedeschi che avevano razziato le case cercando i partigiani, e avevano raggruppato gli abitanti, separando gli uomini dalle donne. Teresa, insieme ad altre due ragazze, venne trascinata via dai soldati. Il motivo era chiaro: violenza carnale. I testimoni la videro che tentava di divincolarsi con tutte le sue forze dal soldato che la portava verso il bosco. La ritrovarono due giorni dopo. Andò il parroco a cercarla, dopo il ritorno a casa delle altre due ragazze che avevano subito violenza: la vide distesa nell’erba, la testa fracassata, la mano sinistra sul cuore, bucata dal proiettile, l’altra mano sollevata come per respingere l’aggressore. Il soldato non era riuscito nel suo intento. «T’amo mio Dio, mia forza», «Chi mai potrà separarmi da Te?»: quella stessa mattina Teresa era andata a messa con una delle sue compagne e aveva recitato i salmi. Quando gli eventi cominciarono a precipitare, la sua compagna le disse: «Teresa, ho paura che ci ammazzino». E racconta: «Lei mi incitava a pregare, mi diceva di avere fiducia in Gesù e nella sua Mamma e mi disse: “Non temere, abbiamo fatto la comunione, se pure ci dovessero ammazzare… fa niente”».
A causa del pericolo fu fatto un funerale brevissimo, la riposero in terra così come la trovarono. Ma la fama della santità e del martirio si diffuse immediatamente e spontaneamente anche con la visita alla tomba e al luogo dell’eccidio, dove si dice che l’erba non crebbe più. E non si contano le grazie e i favori concessi per sua intercessione.
«Quello che c’è di straordinario e di eccezionale nella storia di questa ragazza è proprio l’assoluta semplicità» dice don Alfredo Vignolo, parroco a Cassine nella diocesi di Acqui Terme. «E quello che commuove è che la grazia di Dio, operando in persone semplicissime come Teresa, ha lasciato un segno più forte, più tangibile e vero che trent’anni di progetti pastorali». Bisogna tuttavia attendere il 1988 perché, per l’insistenza della gente e per l’opera appassionata di un altro parroco, don Giuseppe Olivieri di Orsara Bormida, la sua causa venisse aperta. «È la gente che ha fatto tutto, che ha sostenuto generosamente le grosse spese della causa di beatificazione. La sua stessa beatificazione possiamo perciò considerarla un miracolo» dice sorridendo don Olivieri. «Speriamo che la data sia fissata al più presto. Credo comunque probabile il 24 maggio prossimo, quando il Papa verrà in visita a Torino».
I resti mortali di Teresa vennero esumati per la prima volta nell’89. Tra le ossa i presenti videro luccicare dei grani azzurri. Erano quelli del rosario, la sua corona. Quella che sempre portava con sé e che quel giorno, stringendola al petto, l’aveva portata diritta al cielo più alto, lì accanto ad Agnese, Cecilia, alla schiera delle vergini martiri dei primi secoli. Di tutti i secoli.
La sua immagine circondata da fiori è rimasta nel piccolo cimitero di Santa Giulia. Gli occhi azzurri, le trecce bionde da bambina… «È come il mattino» scriveva Pavese nella poesia Incontro. «E ha negli occhi / un proposito fermo: la luce più netta / che abbia mai avuto l’alba su queste colline. […] Ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo».


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