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AMERICA LATINA
tratto dal n. 04 - 2002

CILE. Intervista con Ricardo Lagos in occasione della sua prima visita in Vaticano

In agenda la causa di chi non può più aspettare


Il presidente della Repubblica cilena interviene sui rapporti con la Chiesa cattolica e la situazione politica ed economica del continente latinoamericano: «Viviamo in un mondo che richiede molta fraternità e molta dedizione verso le cause migliori a favore degli umili e dei derelitti, in un mondo in cui i poveri – quelli che non possono più aspettare – vedono che la globalizzazione bussa alla porta degli altri ma passa molto lontano dalla loro»


di Roberto Rotondo


Il presidente del Cile Ricardo Lagos

Il presidente del Cile Ricardo Lagos

Maggiore apertura al mercato estero e miglioramento dello Stato sociale. Su queste due assi poggia da due anni la politica del presidente Ricardo Lagos, socialista, arrivato alla presidenza nel gennaio del 2000 con la coalizione di centro sinistra “Concertación”. Una politica che, sommata al tradizionale orientamento al mercato estero del Cile e alla biografia del presidente Lagos (in qualità di ministro dei Lavori pubblici fu l’artefice del programma di privatizzazione delle autostrade), ha rappresentato una garanzia anche per gli investitori esteri, tanto che oggi lo stato di salute dell’economia cilena può essere definito buono.
Lagos, pochi giorni prima del suo viaggio in Europa, il 16 maggio per incontrare il Papa a Roma, il 17 per partecipare al vertice dell’America Latina, dell’Europa e del Caribe a Madrid, ha accettato di rispondere alle nostre domande.

Il 16 maggio lei sarà a Roma per incontrare Giovanni Paolo II. Quali temi saranno affrontati durante l’incontro?
RICARDO LAGOS: Si parlerà degli argomenti che riterremo opportuno affrontare nel tempo a disposizione. Le complesse realtà di vita nel mondo di oggi e le condizioni critiche che colpiscono tanti esseri umani già di per sé costituiscono un’agenda di temi da affrontare con urgenza. E per affrontare questi problemi non può bastare il tempo a disposizione durante l’incontro. Non c’è un altro papa nella storia dell’umanità che abbia raggiunto tanti luoghi nel mondo per portare la sua parola a popoli di culture tanto diverse, e per me conoscere la sua visione del mondo, come emerge da questo inizio di XXI secolo, costituisce, di per sé, un fatto molto significativo.
Al tempo del suo ultimo viaggio in Italia, in febbraio, i rapporti tra Cile e Vaticano sembravano un po’ tesi, a causa di una proposta di legge per introdurre il divorzio in Cile. Lei allora smorzò le polemiche definendo il caso «un equivoco creato dalla destra cilena». Come sono oggi i rapporti con il Vaticano? E con la Chiesa cattolica cilena?
Quando cerchiamo accordi con altri Paesi o regioni del mondo lo facciamo sapendo che il nostro riferimento è l’America Latina. È da qui che sentiamo, pensiamo e vediamo il mondo. Non credo alle visioni
LAGOS: Innanzitutto devo chiarire che nella mia visita precedente non ci sono stati equivoci né elementi che potessero disturbare la normalità dei nostri rapporti con la Santa Sede. Ci sono state speculazioni giornalistiche, che è diverso. In realtà, quando sono arrivato a Roma a febbraio sapevo che l’incontro con il Papa non poteva avvenire in quell’occasione, per questioni di agenda. Inoltre già era in atto la ricerca di un’altra data per la mia visita allo Stato Vaticano. Si è lavorato con buona volontà ed ora faremo una cosa che non è solita: andare a Roma esclusivamente per un incontro con papa Giovanni Paolo II e con le più alte autorità vaticane. Questo avviene perché i nostri rapporti sono normali, così come lo sono quelli con la Chiesa cilena. Viviamo in un mondo che richiede molta fraternità e molta dedizione verso le cause migliori a favore degli umili e dei derelitti, in un mondo in cui i poveri – quelli che non possono più aspettare – vedono che la globalizzazione bussa alla porta degli altri ma passa molto lontano dalla loro. Come ha detto papa Giovanni Paolo II all’inizio del nuovo millennio, l’umanità inizia questa nuova tappa della sua storia con molte ferite aperte. Ogni nazione cerca la forza per penetrare, di fronte alle nuove sfide, nelle radici della propria cultura, in ciò che l’ha dotata di un modo di sentire condiviso. In Cile la Chiesa è stata, ancor prima della Repubblica, un fattore chiave per la formazione dell’identità nazionale.
Il Cile oggi è tra i Paesi dell’America Latina che godono di una certa stabilità economica e sociale. Addirittura potrebbe diventare l’unico Paese del continente ad aprirsi contemporaneamente al libero scambio con Europa e Stati Uniti. Ma i casi della Colombia, del Venezuela e la crisi economica dell’Argentina possono far pensare che il continente latinoamericano stia per iniziare a vivere un periodo buio. Cosa differenzia il suo Paese dagli altri?
LAGOS: Il Cile si è proposto di raggiungere nel 2010, data del bicentenario della nostra indipendenza, il traguardo di Paese sviluppato. È un compito difficile che ci impone di fare tutto il possibile per mantenere i migliori livelli di crescita. A differenza di altri Paesi, più del 50 per cento del nostro prodotto interno lordo dipende dal commercio estero. È lì, in quello che esportiamo verso gli altri mercati e in quello che importiamo per lo sviluppo della nostra società, che si gioca buona parte del nostro futuro. Per questo motivo il Cile è favorevole al libero scambio e all’accesso senza barriere artificiose ai mercati. E vogliamo che nel commercio mondiale ci siano regole chiare, eque e stabili.
Una delle tante favelas dell’America Latina

Una delle tante favelas dell’America Latina

Ma quando cerchiamo accordi con altri Paesi o regioni del mondo lo facciamo sapendo che il nostro riferimento è l’America Latina. È da qui che sentiamo, pensiamo e vediamo il mondo. Non credo alle visioni apocalittiche della crisi di oggi, perché abbiamo sempre saputo trovare il nostro cammino. Così è stato quando ci siamo lasciati dietro il periodo oscuro della nostra democrazia soffocata. L’importante è saper interpretare i segni dei tempi, renderci conto di come il mondo sia cambiato e continuerà a cambiare per poterci inserire in esso con un profilo solido e nostro.
Lei disse in un’intervista al quotidiano la Repubblica: «La Colombia, il ritorno alla guerriglia, è un problema che può scoppiarci tra le mani e trasformarsi in una crisi come quella che per l’Europa è stata la disintegrazione della Iugoslavia. Un fatto locale che poco a poco coinvolge tutti gli altri Paesi». Può approfondire questo suo pensiero? Chi può avere interesse a trasformare il continente in una nuova Iugoslavia?
LAGOS: Credo che la storia della ex Iugoslavia sia stata una lezione profonda per tutto il mondo. Anche oggi in situazioni simili, la prima cosa che ci si augura è che le forze interne ad un Paese in conflitto siano capaci di aprirsi ad un negoziato e trovare la pace. Se questo non avviene, il problema passa nelle mani della regione e, se nemmeno lì ci sono le condizioni per la pace, il conflitto si allarga e coinvolge anche Paesi di altri continenti. Così può accadere che le decisioni sul futuro di un Paese o di una regione in crisi vengano prese in luoghi distanti rispetto a dove la crisi stessa è nata. È vero che oggi globalizzazione e localismo interagiscono in un modo che il mondo non ha mai conosciuto prima, ma ciò non esime nessuno dal compito di costruire e salvaguardare la pace nel proprio mondo, in quei luoghi che sono da sempre il nostro ambiente e il nostro spazio culturale. Quando questo non avviene e un altro conflitto si somma alle grandi tragedie dell’umanità, arriva il momento di cercare fra tutti la soluzione, di lavorare con la visione di un’umanità in crisi, a cominciare dagli organismi multilaterali che abbiamo creato per questo.
Quanto la recente crisi dell’Argentina è frutto di politiche interne sbagliate e quanto dell’applicazione alla lettera di un neocapitalismo ultraliberista, basato più sulle speculazioni finanziarie che sulla produzione e sul lavoro?
LAGOS: La crisi dell’Argentina dimostra che l’austerità e la responsabilità sono valori essenziali per il governo di un Paese. Quello che è accaduto lì è stato la conseguenza di aver speso oltre le risorse a disposizione. È vero che gli organismi finanziari internazionali hanno premuto insistentemente perché fossero attuate certe politiche che lei chiama ultraliberiste. Ma è anche vero che c’è stato chi le ha accolte ed applicate. Lo abbiamo detto prima: per poter svilupparci, l’elemento fondamentale è ciò che facciamo all’interno dei nostri Paesi. Nessuno affronterà per noi il lavoro necessario per la nostra crescita, per una maggiore equità e maggiori prospettive di giustizia e di sviluppo degno. Quello che è accaduto in Argentina ci addolora, sono nostri vicini. Però bisogna rendersi conto che questa crisi viene dopo altre e non è ancora chiaro se sono state ben comprese le lezioni che era necessario apprendere. Nel 1995 c’è stata la crisi del Messico, nel ’98 quella della Russia. Le stesse preoccupazioni si sono ripresentate con il Brasile nel ’99, poi con la Turchia nel 2000, e nel 2001 con l’Argentina. Tutto questo dimostra che abbiamo bisogno di un nuovo sistema internazionale, capace di muoversi nelle emergenze con regole chiare e modalità specifiche per affrontare le crisi. Perché questa sequenza di crisi economiche è anche una sequenza di gente che soffre in luoghi diversi quasi per le stesse cause.
L’economia è diventata finanza e la finanza ha globalizzato l’economia. Non crede che questo sia il vero motivo di tante crisi all’interno del processo di globalizzazione mondiale?
LAGOS: Le istituzioni create nel 1945 a Bretton Woods rispondevano alle esigenze di quel periodo e sono nate con convinzioni che la realtà ha progressivamente sgretolato. Però sono lì ed è necessario avanzare verso un nuovo sistema, una nuova architettura finanziaria internazionale. Ci sono molte voci, da luoghi diversi, che prospettano idee nuove affinché i finanziamenti ed i flussi internazionali di capitale producano una crescita effettiva e uno sviluppo a favore della gente. Alcuni parlano della cosiddetta Tobin tax; altri puntano sui diritti speciali sulle transazioni, cercando risorse per superare il divario tra Paesi con alto sviluppo ed altri che, a livelli diversi della scala, sono più indietro.
Lei ha detto che quella unità di intenti che si è coalizzata dopo l’11 settembre è il soggetto che deve dare risposte ai rischi della globalizzazione. Un po’ come avvenne al termine della seconda guerra mondiale quando tutti dissero di sì alla nascita dell’Onu. Può approfondire?
Lagos e Chavez

Lagos e Chavez

LAGOS: La grande coalizione creata dopo gli attentati dell’11 settembre può anche assumersi questo compito. Dopo l’intervento contro il terrorismo ha l’opportunità di muoversi a favore di nuove condizioni di sviluppo affrontando i pericoli che comporta la globalizzazione. Così come alla fine della seconda guerra mondiale c’è stata una grande coalizione che ha realizzato le Nazioni Unite ed un nuovo spazio di rapporti internazionali, oggi resta aperta l’opportunità di affrontare le sfide di una globalizzazione che ancora non ha unito la sua dinamica economica ad una vocazione per l’essere umano in quanto soggetto essenziale dei suoi successi.
Una domanda che riguarda il passato: ora che si è chiusa la vicenda del processo a Pinochet, come giudica l’operato della Chiesa cattolica durante il regime militare?
LAGOS: Lei ha detto bene, è un argomento del passato. Il Cile si sta pian piano lasciando dietro le sue ferite, sta imparando a convivere in una democrazia in cui i consensi fondamentali si stanno consolidando. I diritti umani sono una realtà inserita nella visione dei nostri diritti e sono diventati parte della nostra storia comune. E in questo storico cambiamento la Chiesa cattolica, in particolare, è stata un fattore chiave. Sono ancora molti i cileni che non trovano i loro cari, non possono dar loro una sepoltura e, dopo il lutto, guardare al futuro. Quello che abbiamo passato è stato molto duro e la Chiesa ha avuto un cuore grande ed un abbraccio fraterno per proteggere il perseguitato e dare un tetto al diseredato; la Chiesa è stata la voce di coloro che non avevano voce. E lo ha fatto verso tutti i settori e a diversi livelli. Il mondo accademico che rifiutava di accettare un Paese di idee limitate, censurate e miopi, trovò nelle istituzioni della Chiesa l’appoggio per continuare ad esistere e portare avanti le sue esigenze di pensiero libero e di dibattito creativo. È da allora che si sono poste le basi per una convivenza che continua ancor oggi ad arricchire il Paese.


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