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TERRA SANTA
tratto dal n. 04 - 2002

CRISI. Le strategie del governo israeliano

«Abbiamo, come tutti, il diritto di vivere in pace e sicurezza»


Intervista con Avi Pazner, portavoce del governo israeliano. Le ragioni di Sharon, le prospettive di uscire dalla crisi, il rapporto con la Santa Sede, gli Usa e l’Unione europea. Attendendo una conferenza di pace


di Giovanni Cubeddu


Soldati israeliani perquisiscono un palestinese a Hebron

Soldati israeliani perquisiscono un palestinese a Hebron

Cronache dopo l’11 settembre. Mentre scriviamo la basilica di Betlemme è sotto assedio da ventisette giorni, Yasser Arafat rimane recluso a Ramallah dal dicembre scorso e chi oggi azzardasse un pronostico sulla ripresa di un vero processo di pace si condannerebbe ad essere silenziosamente irriso. Però... mentre scriviamo si vedono anche gli effetti dell’ultimo incontro tra il presidente Bush e il principe reggente saudita Abdullah: disponibilità di Sharon a rilasciare Arafat (virtualmente liberato da una dichiarazione del ministro della Difesa israeliano Ben Eliezer già il 29 aprile), ipotesi di un impegno permanente della diplomazia americana, dilazione almeno fino al 2003 dell’attacco all’Iraq per non esasperare i Paesi arabi e, sperato preludio ad una soluzione definitiva del tragico assedio della Natività, la presenza del cardinale Roger Etchegaray, inviato dal Papa, in Terra Santa dal 1 maggio. Se dietro le quinte si giungesse ad un accordo globale, finalmente si potrebbe arrivare ad una conferenza di pace, magari entro l’estate.
Come sempre, in questa fase di imprevedibili sviluppi, le dichiarazioni e le posizioni delle parti cambiano di ora in ora. Le strategie di fondo del governo israeliano, dopo l’11 settembre, appaiono invece ben ancorate a dei punti fermi, come ci spiega Avi Pazner, portavoce del governo (e nella vita civile presidente del Keren Hayesod, il fondo che raccoglie le donazioni della diaspora internazionale ad Israele).
Quando nel 1995 lasciò Roma dopo quattro anni di onorato servizio come ambasciatore di Israele, Pazner promise personalmente che sarebbe stato anche altrove un “ambasciatore di buona volontà” dell’Italia, dove con grande passione nel ’92 aveva tentato di far tenere dei negoziati segreti di pace tra israeliani e palestinesi, con l’appoggio certo e discreto del governo italiano (allora Washington bloccò).
Oggi la sua composta precisione nei toni e negli aggettivi danza su un mondo di disperati kamikaze fanciulli, rappresaglie poco chirurgiche, odio. Nella terra di Gesù.
Il Papa ha definito la situazione di Betlemme «disumana». Non crede che questa crisi condurrà ad un raffreddamento dei rapporti tra Israele e la Santa Sede?
AVI PAZNER: Il Papa sa molto bene chi è il responsabile della situazione. Se non lo sapeva fino ad un certo punto, lo ha certo compreso dopo che sono riusciti a fuggire dal convento alcuni religiosi armeni, che hanno raccontato, di certo anche al rappresentante pontificio, che cosa realmente avviene dietro quelle mura. Cioè: vi sono terroristi – un nucleo di trenta o cinquanta banditi su un gruppo di circa duecento rifugiati – che tengono in ostaggio i religiosi, anche se, comprensibilmente, chi è là dentro sotto la “tutela” palestinese non può certo dire questo a piena voce… Dalle testimonianze dei fuggitivi abbiamo saputo che costoro hanno rubato suppellettili preziose, rotto dei crocifissi… Chiedetelo a questi armeni. È solo il fatto che vi siano dei religiosi in ostaggio che ci ha trattenuto dall’assaltare i locali, mentre di regola lo avremmo già fatto. Aspetteremo che i terroristi si arrendano. Nel frattempo abbiamo intavolato delle trattative, ma con un punto fermo, secondo noi: i terroristi devono sottoporsi al giudizio in Israele o andare volontariamente in esilio. Ma la soluzione non si farà attendere per molto, non credo che l’assedio durerà ancora delle settimane…
Le ripeto la domanda sui rapporti con la Santa Sede.
PAZNER: Una volta che tutto ciò sarà terminato, anche la cordialità dei rapporti tra noi si ristabilirà. Credo che in questa vicenda il Vaticano debba guardare piuttosto alle responsabilità palestinesi.
Perché il vostro governo ha mantenuto una linea militarmente così dura, nel diniego di acqua e cibo ai rifugiati? Ha destato clamore il rifiuto della Corte suprema di Israele verso un ricorso presentato dai francescani affinché, per motivi umanitari, fossero riallacciate luce ed acqua e giungessero viveri agli assediati…
È la prima volta che l’Arabia Saudita si pronuncia direttamente in favore della pace, e siamo contenti che i sauditi siano entrati nel circolo dei Paesi che ne sono interessati. Detto ciò, la proposta ricalca la classica posizione dei Paesi arabi, che è differente dalla nostra, ma siamo pronti a discutere
PAZNER: Ripeto: chi è fuggito dall’assedio ha raccontato che cosa succede davvero all’interno. Noi facciamo di tutto per evitare di spargere il sangue palestinese e il nostro. Dovete però capire che tra i rifugiati vi sono alcuni terroristi tra i più pericolosi. E questi se ne devono andare, per sempre.
L’operazione che l’esercito israeliano ha compiuto a Jenin è stata giudicata dall’inviato delle Nazioni Unite «una della pagine più tristi della storia di Israele». Il vostro governo ha ostacolato una commissione di inchiesta ad hoc. Anche gli americani hanno criticato la condotta di Israele circa i diritti umani dei palestinesi…
PAZNER: A noi piacerebbe molto che anche i nostri diritti umani venissero presi in considerazione, ad esempio in Europa, dove l’antisemitismo sta rinascendo. Noi abbiamo l’impressione che quando i kamikaze si fanno esplodere ciò non sia dagli europei tenuto in considerazione: nel solo mese di marzo abbiamo avuto 131 morti e più di mille feriti, in proporzione è come se fossero morti 1300 italiani e feriti diecimila, e non ho sentito in Occidente il medesimo clamore sui diritti umani degli ebrei, che credo abbiano, come tutti, il diritto di vivere in pace e sicurezza. Ci date l’impressione che vi siano due pesi e due misure, e che le sofferenze palestinesi contino più di quelle israeliane. Ciò causa in noi amarezza, perché abbiamo cercato per mesi di mantenere la moderazione di fronte agli attentati che rendono la nostra vita intollerabile. Quale sarebbe stato in una tale situazione l’atteggiamento dell’Italia?
Ma lei è d’accordo con chi dice che una soluzione militare in prospettiva non ha possibilità di riuscita? Il primo ministro Sharon aveva minacciato che Tsahal, l’esercito, potesse entrare anche a Gaza, come difatti è poi successo. L’escalation incontrollabile è dietro l’angolo.
PAZNER: Ai problemi del Medio Oriente non è possibile imporre una soluzione militare. Occorre una soluzione politica. Purtroppo i terroristi ci hanno dichiarato guerra, e alla guerra si va con l’esercito. Ora non è più tempo di trattative e di pace, una pace che il nostro ex primo ministro Ehud Barak offrì ampiamente ad Arafat. Avremmo dato il 97 per cento dei territori e una parte di Gerusalemme! La risposta di Arafat è stata questa nuova intifada e il terrorismo da cui ora siamo costretti a difenderci militarmente. Per fare la pace dovremo restaurare la sicurezza e trovare dall’altra parte un partner davvero intenzionato a dialogare. Arafat ne aveva la possibilità e l’ha rifiutata. Quando avremo terminato di difenderci stroncando il terrorismo, riprenderemo i negoziati.
Con Arafat?
PAZNER: Questo dipenderà interamente da lui. Purtroppo un anno e mezzo fa ha abbandonato la strada della pace per tornare ai suoi istinti di terrorista, come era agli inizi. Prima vinciamo la battaglia col terrorismo, poi vedremo. Per il momento Arafat non parla questo linguaggio, e anche di fronte a Colin Powell ha rifiutato una sua chiara dichiarazione di mettere fine al terrorismo, anzi ha dato ordine di continuare. Come possiamo fidarci di lui, ora? Se poi l’uomo cambierà vedremo, ma ora non desidera vivere con noi in pace.
Se non Arafat, chi sarà a parlare con voi?
PAZNER: Vi sono molte personalità palestinesi che ora non possono far nulla perché Arafat ha ancora il potere.
Chi?
PAZNER: Abu Ala, Abu Mazen, Mohammed Dahlan, Jibril Rajoub [rispettivamente il presidente del parlamento palestinese, il “numero due” di Arafat e i due capi della sicurezza, ndr], e altri.
Sappiamo che costoro sono leader critici della gestione di Arafat, e da tempo lo accusano di condurre tutti alla catastrofe. Ma Arafat si crede un Saladino dei tempi moderni, guarda tutti noi come fossimo dei crociati mentre lui si reputa la leggenda personificata della rivoluzione palestinese e non ha alcuna intenzione di sottoscrivere un accordo. Perciò dovremo attendere che vi sia un cambiamento di vertice tra i palestinesi.
Esiste una proposta saudita, fatta propria dalla Lega araba, che offre a Israele una pace globale coi Paesi arabi: di quale considerazione gode nel governo israeliano?
PAZNER: È la prima volta che l’Arabia Saudita si pronuncia direttamente in favore della pace, e siamo contenti che i sauditi siano entrati nel circolo dei Paesi che ne sono interessati. Detto ciò, la proposta ricalca la classica posizione dei Paesi arabi, che è differente dalla nostra, ma siamo pronti a discutere. Per questo il primo ministro Sharon ha proposto già a Colin Powell di tenere una conferenza regionale a Washington con i Paesi arabi interessati alla pace, includendo per la prima volta l’Arabia Saudita. Stiamo aspettando la risposta degli arabi.
Quali punti della proposta sono per voi inaccettabili?
PAZNER: Primo. Si chiede il ritiro di Israele entro le frontiere del giugno 1967. Noi non crediamo che quelle linee di armistizio, decise nel 1949 alla fine della guerra di indipendenza di Israele, siano qualcosa di sacro. Non sono confini internazionalmente riconosciuti, e ciò fa decadere le pretese arabe suddette. Crediamo invece che potremo raggiungere una configurazione di confini per via di negoziati con i nostri vicini arabi. Il summit di Camp David – quando Barak offrì il ritiro dal 97 per cento dei territori – dimostra che vogliamo negoziare veramente.
Secondo. La proposta saudita chiede il diritto al ritorno in Israele dei profughi palestinesi. A questo tutto il popolo israeliano dice concordemente no. Se questi arabi vorranno, potranno tornare nel futuro Stato palestinese, ma non potremo mai accettare che milioni di arabi di ritorno trasformino Israele in un secondo Stato palestinese.
padre Ibrahim Faltas, insieme al negoziatore Tony Salman,
scorta l’uscita dalla basilica della Natività di uno dei palestinesi in essa asserragliati

padre Ibrahim Faltas, insieme al negoziatore Tony Salman, scorta l’uscita dalla basilica della Natività di uno dei palestinesi in essa asserragliati

Ma voglio ripetere che siamo contenti della proposta saudita e che vogliamo discutere.
Una parola sui vostri rapporti con gli Stati Uniti. Il reggente saudita Abdullah ha avuto gioco facile nel criticare l’eclatante inefficacia dei numerosi richiami di Bush a che l’esercito israeliano si ritirasse dai territori palestinesi.
PAZNER: Noi siamo un Paese sovrano, e nello stesso tempo abbiamo un legame stretto, da amici e alleati, con gli Stati Uniti, ma non siamo i servitori degli Stati Uniti. Siamo un Paese alleato, siamo il Paese più forte del Medio Oriente, quando possiamo “obbligare” gli Stati Uniti lo facciamo. Anche Israele ha i suoi interessi, della cui tutela siamo noi i responsabili davanti al nostro popolo. Perciò diciamo anche agli Stati Uniti che noi facciamo prima di tutto gli interessi israeliani, e pur con tutta la buona volontà che poniamo nel lavorare assieme agli americani, ci sono aspetti della realtà del Medio Oriente in cui non vediamo le cose allo stesso modo. A quel punto siamo costretti a fare i nostri interessi, ma sempre mettendo in conto anche quelli strategici statunitensi nell’area. Con questa formula nell’ultimo anno e mezzo di intifada abbiamo potuto conservare i nostri legami con gli americani.
Come reagiscono gli Stati Uniti a questa dottrina israeliana?
PAZNER: Credo che loro abbiano molto rispetto per noi, e sappiano che se facciamo qualcosa che non gli piace, non è per poco rispetto ma per la sopravvivenza di Israele. Gli Stati Uniti questo lo capiscono bene.
Senta che cosa ha detto il presidente delle comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto, a proposito dell’idea di far entrare Israele nell’Unione europea: «…Però attenzione. C’è un solco fra israeliani e palestinesi da colmare. Se si punta solo su una delle due parti la tragedia diventa maggiore. Bisognerebbe portare, far entrare tutti e due i popoli, tutte e due le nazioni nella Ue… Un sogno anche geografico, ma è con questo spirito che dobbiamo muoverci».
PAZNER: Non conoscevo questa frase di Luzzatto. È un’idea profonda, ma ora non vedo come questo possa realizzarsi. Al contrario, abbiamo tante difficoltà con le istituzioni europee, e siamo impegnati proprio a convincere gli europei che non siamo noi gli aggressori. È una battaglia diplomatica difficile. Nella situazione internazionale attuale di Israele non si può ipotizzare molto circa i legami futuri con l’Unione europea. Ma lo stesso penso valga anche per i palestinesi. Vorremmo molto avere un rapporto migliore con gli europei, non capiamo la ragione del vento freddo che spira verso di noi. Ma ci siamo abituati: è come vent’anni fa, ai tempi della guerra in Libano. Noi prendiamo atto della realtà: gli americani sono maggiormente amici nostri e gli europei lo sono più dei palestinesi. Ma vogliamo sviluppare i rapporti con l’Europa…
Nella migliore delle ipotesi si riuscirà a tornare al tavolo delle trattative. Ma se la crisi dovesse estendersi, sarebbe difficile controllarla. Lo sa che c’è, anche tra gli esperti ebrei, chi ventila la possibilità che Israele possa usare armi non convenzionali?
PAZNER: Non bisogna entrare in uno stato di panico. Per il momento il conflitto è solo tra noi e i palestinesi. E spero che non vi entrino altri Paesi arabi, perché si creerebbe una situazione molto pericolosa… Non abbiamo alcun interesse a che vi sia una guerra nel Medio Oriente con i Paesi arabi, e faremo di tutto per evitare un tale sviluppo.
Alcuni ipotizzano che Arafat e Sharon debbano fare la parte dei padri nobili che riaprono il dialogo e poi, per rasserenare il campo, cedono entrambi lo scettro a nuovi leader.
PAZNER: Credo fermamente che Sharon potrebbe fare la pace. Solo una persona forte può imporre al popolo delle concessioni dolorose e necessarie per un accordo. Sharon è un pragmatico, e una volta che avrà curato il problema del terrorismo – e siamo nella direzione giusta – volgerà la sua attenzione alla pace. Ha detto già che, come capo di un governo di unità nazionale, questo è il suo compito.
Roger Etchegaraye il presidente israeliano Moshe Katzav

Roger Etchegaraye il presidente israeliano Moshe Katzav

A proposito dei palestinesi di tutte le età che si fanno esplodere o compiono atti di terrorismo. Hamas ha chiesto che almeno non si usino più dei bambini (ma avrebbe dovuto condannare i kamikaze in assoluto). Lei però ricorderà che l’ex primo ministro di Israele Ehud Barak affermò che, data la situazione di disperazione, se fosse stato un palestinese sarebbe anche lui diventato un terrorista.
PAZNER: Sucessivamente ha spiegato che non intendeva dire questo [che Barak abbia fatto tale affermazione non ha mai avuto una smentita, ndr]. Noi combattiamo contro le barbarie dei palestinesi. Ricordo una madre palestinese che mesi fa raccontava di suo figlio che si era fatto esplodere: diceva che quello era “solo” il suo figlio maggiore e che sperava che anche gli altri tre diventassero «martiri per la causa della Palestina». Si può mai dire così? Se vengono educati così dai loro genitori, a che livello è giunto l’odio dei palestinesi, l’incitamento contro di noi? Bisogna avere molto ottimismo per credere che questa stessa gente domani cambi. Malgrado ciò, noi che siamo un popolo che ama la pace, noi che siamo il popolo del Libro, vogliamo fare tutto il possibile.
Ha citato le Scritture. Che peso ha in tutto quanto sta succedendo ora il fattore religioso?
PAZNER: La crisi è politica ma vi sono aspetti religiosi, perché una parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi è religiosa, se si può qui usare a proposito tale aggettivo: se un kadi musulmano manda a suicidarsi qualcuno tra i civili, che religione è? Al contrario direi che la religione è stata strumentalizzata dai leader palestinesi, per aggiungere più incitazione e più odio all’ondata di terrorismo. Perché da parte nostra la religione non ha un ruolo.
«In Israele stesso c’è chi sospetta che il popolo di Israele, per rigenerarsi, voglia strappare nuovi dolori dai giorni futuri, sognando una specie di secondo Olocausto. Tanto più urgenti sono il risveglio e la vigilanza di chi non vuole avere a che fare con simile tentazione apocalittica, e ha davvero cura dello Stato ebraico». Lo ha scritto recentemente una celebre intellettuale ebrea, Barbara Spinelli.
PAZNER: Non conosco la signora Spinelli, ma direi che la verità è molto più semplice. Ci difendiamo dalla peggiore forma di terrorismo che sia mai stata inventata, difendiamo il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, l’unico stato democratico nel Medio Oriente. E per difenderci certamente dobbiamo prendere delle misure militari, altrimenti da noi la paura paralizzerà definitivamente tutti.


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