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ANTONI GAUDI'
tratto dal n. 04 - 2002

«Io ho immaginazione, non fantasia»


Così Gaudí diceva di se stesso. Immaginazione viene da immagine: vedere la realtà delle cose. Le cose come sono, non come la fantasia le elabora. Intervista con Joan Bassegoda, uno dei massimi conoscitori dell’artista catalano


di Giovanni Ricciardi


Casa Battló (1904-1906), Barcellona.

Casa Battló (1904-1906), Barcellona.

Joan Bassegoda i Nonell è uno dei massimi conoscitori della vita e dell’opera di Gaudí. Architetto e direttore della Real Cátedra Gaudí dell’Università Politecnica di Barcellona dal 1968 al 2000, è autore di numerosissimi saggi sull’architetto catalano. In veste di studioso e conoscitore di Gaudí, ha recentemente testimoniato al processo di beatificazione.
Professor Bassegoda, è rimasto sorpreso dall’apertura del processo di beatificazione di Gaudí?
JOAN BASSEGODA: No. La fama di santità di Gaudí non è una cosa nuova. Alla sua morte, nel 1926, erano moltissimi i testimoni e i collaboratori che lo consideravano già allora un santo. E l’espressione “Gaudí: l’architetto di Dio”, che è il motto dell’Associazione per la beatificazione, fu coniata allora. Né mi sorprende che la questione sia rimasta “congelata” per tanti anni. Dopo la morte di Gaudí, venne un periodo difficile. Nel 1931 ci fu la repubblica, poi la guerra civile. La Sagrada Familia era rimasta quasi interrotta. Durante la guerra civile l’hanno bruciata. Non ci fu occasione per riprendere questo discorso. Poi, dopo la guerra, è venuta la ricostruzione, un processo lungo, c’era scarsità di mezzi. Finalmente, nel 1956, si incomincia la facciata della Passione, e riprende l’opera della Sagrada Familia. Poco prima, nel 1952, era stato commemorato il centenario della nascita di Gaudí. Fu allestita una mostra che girò il mondo e che rappresentò una riscoperta di Gaudí, che era rimasto un po’ in ombra, sia per le note ragioni storiche, e poi perché, quando muore Gaudí, Gropius inaugura la Bauhaus a Dessau, che è la negazione, architettonicamente parlando, di Gaudí.
Lei sottoscriverebbe l’espressione: “Gaudí, architetto di Dio”?
BASSEGODA: Ráfols, l’autore della prima biografia di Gaudí, che uscì nel 1929, diceva che Gaudí fuori della fede è incomprensibile, se non si ha la fede non lo si può capire. Questa per me è un po’ un’esagerazione. Ma è fuor di dubbio che Gaudí fu un cristiano esemplare e che visse la fede come il cardine della sua vita e del suo lavoro. Per certi aspetti, senza dubbio, in modo eroico. Ma non sarò io a decidere su questo. Piuttosto, oggi si va affermando una lettura di Gaudí che rischia di deformarne profondamente l’immagine.
Quale tipo di deformazione?
BASSEGODA: Quella di voler ricomprendere Gaudí all’interno del movimento modernista, considerarlo un “episodio” di questa tendenza. Questo è assurdo. Gaudí ha lavorato sempre isolato. Non ha avuto relazioni non soltanto con i movimenti, ma persino con gli altri architetti. Gaudí non appartiene a un movimento.
E a che cosa si ispira allora l’architettura di Gaudí?
BASSEGODA: Gaudí non dipende da una scuola, da uno stile o da un tempo, perché ha sempre cercato la sua ispirazione direttamente nella natura. E, in particolare, nella natura del Mediterraneo. Uno spazio che caratterizza allo stesso modo il Peloponneso e il Camp di Tarragona. La stessa luce, che arriva inclinata a 45 gradi, permettendo un’illuminazione perfetta degli oggetti. E fa vedere chiaramente la realtà. E Gaudí diceva di se stesso: io ho immaginazione, non fantasia. Immaginazione viene da immagine: vedere la realtà delle cose. Le cose come sono, non come la fantasia le elabora. A lui non piaceva la fantasia. Un falegname che lavorava con lui diceva spesso: «Gaudí ha le idee chiare». Quella era la qualità di Gaudí. Aggiungerei: era molto ingenuo, e aveva una grande capacità di osservazione.
In che senso era ingenuo?
BASSEGODA: Nel senso che aveva un rapporto diretto con la realtà. Aveva, diciamo così, una certa innocenza. Non era capace cioè di una “mediazione intellettuale” di fronte alle cose. Gaudí non è stato mai un intellettuale. Era intelligente, il che è molto diverso. L’intellettuale gioca con le conoscenze di cui dispone, mentre l’uomo intelligente è quello che guarda la realtà per quello che è. E Gaudí vedeva che la natura fa le cose non con l’intenzione di guadagnare premi o medaglie nei concorsi: fa le cose con assoluta funzionalità. La natura è assolutamente funzionale: un animale, un albero, una montagna, hanno la forma che devono avere e non ne possono avere un’altra! E lui tentava di fare cose funzionali. Per questo, dal punto di vista strutturale, Gaudí adotta un tipo di geometria “rigata”, che riproduce le forme naturali. E ciò rende Gaudí un architetto unico nel suo genere.
In cosa consiste questo tipo di geometria?
BASSEGODA: Gli architetti non hanno mai usato la geometria della natura, ma la geometria semplice, euclidea, quella del triangolo, della sfera, del prisma e della piramide. E perché? Perché sono le forme che si disegnano col compasso e con la squadra. L’architetto rifiuta le forme difficili da disegnare. È la legge del “minimo sforzo”. Ma la natura in molti casi ha un’altra geometria, che è rappresentabile con superfici curve nello spazio, ma composte di linee rette, come il paraboloide iperbolico, l’iperboloide, il conoide e l’elicoide.
Può fare un esempio?
BASSEGODA: Gaudí non usa l’arco classico, ma l’arco catenario. Che è una cosa semplicissima. Quando si tiene una catenella, o una corda, per gli estremi, esse disegnano, per la forza di gravità, una forma spontanea, che è la catenaria. È una forma non soltanto funzionale, ma anche piacevole. Ed è piacevole, aggiungerebbe Gaudí, proprio perché è funzionale e spontanea. Il semicerchio si fa col compasso, ma non esiste in natura. Come non esiste la linea retta. L’arco catenario si ottiene “rovesciando” la catena e mettendo al posto del ferro, o della corda, pietre e mattoni. In quest’arco, la linea di pressione è uniformemente distribuita su tutta la superficie, e corrisponde esattamente alla linea della catenaria. Ciò vuol dire che con il minimo di materiale si ottiene la massima resistenza.
Gaudí ha inventato queste forme o erano già note?
BASSEGODA: No, era tutto già conosciuto. Anche nei libri del secolo XIX, per esempio in Rondelet, era spiegato il valore della catenaria. Effettivamente è l’arco migliore dal punto di vista meccanico, perché, come ho detto, la linea di pressione segue esattamente la forma della catenaria e in ogni punto la pressione si distribuisce in modo uniforme e arriva perpendicolare alla pietra. Ma, osserva Rondelet, non si usa perché è difficile da tracciare. Questo non è vero, perché la catenaria si può tracciare senza strumento. Per fare il cerchio si ha bisogno di un compasso, per la catenaria è sufficiente seguire con la matita la forma della corda o della catena. Inoltre, aggiunge Rondelet, è una forma brutta. Invece Gaudí ritiene che la forma più funzionale sia anche la più bella. Gaudí pensava: se io cerco la funzionalità, arriverò alla bellezza, e se cerco la bellezza, arriverò all’estetica, alla filosofia dell’arte, cose di per sé molto complicate. Quanto alla bellezza, certo, può essere una questione di gusto, e il gusto è una cosa delicatissima. È chiaro, se uno ha come modello di bellezza i dipinti di Piero della Francesca, la bellezza ideale neoplatonica, così distante dalla realtà… beh, Gaudí è un’altra cosa. È l’esplosione di un’arte diversa, che si pone “accanto” alla natura. L’artista s’ispira “da lontano” alla natura.
parco Güell la facciata esterna del padiglione settentrionale d’ingresso

parco Güell la facciata esterna del padiglione settentrionale d’ingresso

Quindi c’è anche un atteggiamento di umiltà in questo modo di fare arte…
BASSEGODA: Gaudí si considerava un “copiatore”, non un creatore di forme, perché l’unico Creatore è Dio. Allora cercava le soluzioni nella natura e le trasferiva in architettura. Questa era la sua mentalità, che si potrebbe definire “francescana”.
In che senso?
BASSEGODA: Per Francesco la natura è opera di Dio e per il fatto che è opera di Dio deve essere amata. È la valorizzazione della creazione, della realtà come opera di Dio. Francesco ama la natura come creazione di Dio. E Gaudí diceva: l’uomo continua la creazione con il suo lavoro. Dio continua la creazione attraverso l’uomo. È l’idea di unire con un “filo d’oro” la creazione di Dio, la natura, con l’architettura.
Gaudí era consapevole del richiamo a Francesco?
BASSEGODA: Sì, sì, assolutamente. E anche i suoi allievi. Con questo spirito francescano, umile e soprattutto ammiratore della bellezza della natura, Gaudí non ha ripetuto mai una soluzione. Mai. Nel portico della colonia Güell ha costruito volte di paraboloide iperbolico per la prima volta nella storia dell’architettura. Ma, all’interno, ha usato un’altra soluzione. Disponeva di una varietà così grande di forme naturali che non aveva bisogno di ripetersi. Al contrario di altri architetti, che trovano una soluzione e la ripetono costantemente.
Lei faceva riferimento alla Bauhaus e all’architettura razionalista…
BASSEGODA: Il movimento razionalista pretende di fuggire dalla complicazione del modernismo, dell’eclettismo – con il suo stile molto caricato, molto pesante – e cercare la semplicità. Ma cerca una semplicità che non è “vera”, perché le forme cubiche o piane tipiche del razionalismo non esistono in natura. È un’astrazione della forma. Gaudí non è stato mai astratto. Non capiva questo stile. Le Corbusier fece un grande elogio di Gaudí quando venne a Barcellona, nel 1928. Fece un disegno della scuola annessa alla Sagrada Familia, e ne rimase affascinato. Disse che Gaudí era il miglior architetto in pietra del secolo XX. Invece Gaudí, vedendo fotografie delle opere di Le Corbusier aveva detto: «Questo signore potrebbe essere un buon falegname per fare casse per il sapone!».
Torniamo al rapporto di Gaudí con le correnti dell’architettura moderna.
BASSEGODA: Nullo. Non esiste.
Eppure alcuni mettono in relazione l’opera di Gaudí con le teorie di Rudolf Steiner, il fondatore dell’“antroposofia”, che influenzò largamente molti architetti delle avanguardie.
BASSEGODA: Gaudí non sapeva niente di Steiner. Nemmeno sapeva chi era. Figuriamoci se gli interessavano le sue teorie antroposofiche. Gaudí era un uomo concreto. L’astrazione gli dispiaceva, gli dispiaceva questo modo di vedere la realtà e ridurla a un’altra cosa. La realtà è così e basta. Parole come “antroposofia” suonano molto bene, ma sono vuote. Sono giochi dell’intelletto. Gaudí non era un intellettuale, era intelligente.
Gaudí non si è incorporato al movimento moderno, al razionalismo, perché non era razionalista. Era razionale, che non è lo stesso. Gli bastava guardare le cose come sono. La filosofia non gli piaceva, era troppo semplice per capire queste cose.
Molti però pensano che ci sia una “sapienza nascosta” nelle sue opere.
BASSEGODA: Su Gaudí si è detto tutto. Che era templare, che era alchimista, che avrebbe scritto frasi che solo un iniziato alla cabala poteva pronunciare. O che era massone. Sono tutte stupidaggini. Chi non riesce a guardare in modo diretto alla bellezza, è costretto a fare dietrologie. La verità è che a molta gente, e specialmente a certi architetti, preoccupa il fatto che due milioni di persone all’anno visitino la Sagrada Familia. Quale architetto riceve un omaggio come questo, settantasei anni dopo la sua morte? Un architetto che non si è fatto mai pubblicità! Güell, il grande mecenate e scopritore di Gaudí, organizzò una grande mostra in suo onore a Parigi, nel 1910. E per delicatezza mandò suo figlio a portare l’invito a Gaudí. Gaudí rispose: «Dica a suo padre che è un autentico principe del Rinascimento, perché lei sa perfettamente che se fosse stato lui a chiederemelo non avrei potuto dire di no». E non andò!
Non aveva il senso del protagonismo, tipico di molti artisti della sua epoca.
BASSEGODA: Assolutamente. Non si è mai fatto pubblicità, non ha mai fatto conferenze. Non aveva tempo per spiegare tutto quello che usciva dalla sua testa. Il professor Cardellac, ingegnere e architetto, diceva che lo stesso Gaudí non sapeva il torrente di idee che era nella sua testa. A Gaudí non si poteva “chiedere” un progetto, perché era come una cascata di idee, che spaventava tutti. Spaventava non questa capacità di creare, bensì di vedere le cose della natura e trasferirle in architettura.
Per questo alcune delle sue soluzioni architettoniche, sono in realtà cose elementari, ma è straordinario pensare che mai nessuno prima di lui le avesse viste. E Gaudí le vedeva semplicemente perché era un uomo ingenuo, un uomo molto innocente, un uomo con una grande visione della realtà, con una “proprietà” negli occhi: questa capacità di vedere cose che sono logiche. Le porte della Pedrera, ad esempio, hanno maniglie di una forma particolare: un disegno molto originale. In realtà, si tratta semplicemente di una forma anatomica. Se si stringe con la mano un materiale duttile e poi si apre la mano, rimane quella forma. Così, le sedie di Gaudí hanno forme che sono “parallele” al corpo umano, perché vi si adattino e servano alla loro funzione. Il problema per Gaudí non è lo stile, ma la funzionalità.
Quindi il realismo di Gaudí è conseguenza diretta di questo voler imparare dalla natura…
BASSEGODA: Non “voler” imparare. Imparare direttamente! La natura parla, offre soluzioni, Gaudí le prende e le inserisce nella costruzione. Gaudí diceva che il femore è una magnifica colonna, che permette di camminare: se Dio avesse voluto fare questa colonna in una forma dorica, ionica o corinzia, l’avrebbe fatta. Invece l’ha fatta nella forma di un iperboloide, perché funziona meglio! E con questa forma ha disegnato le colonne della facciata della Passione nella Sagrada Familia.
Le colonne sembrano tese in uno sforzo drammatico…
BASSEGODA: È così. L’architettura di Gaudí ha questa forza espressiva straordinaria. Le pietre di Gaudí parlano. Per questo l’architettura di Gaudí la capiscono meglio i bambini che gli architetti, perché i bambini non hanno pregiudizi, hanno ancora l’innocenza. Vedono una cosa che è piacevole perché somiglia alla natura, e la natura è piacevole.
Cosa vuol dire che l’architettura di Gaudí è più “familiare” ai bambini?
BASSEGODA: Questa “ingenuità” di Gaudí la capiscono molto meglio i bambini che gli adulti. Non so come spiegare. Non soltanto i bambini, ma in genere le persone prive di pregiudizi. Per esempio, Dalí andava con García Lorca a vedere la facciata della Natività, e García Lorca diceva: «vedendo questa facciata io sento gridare! Sento gente che grida! Guardo più in alto e aumenta il grido, e si mescola col suono delle trombe degli angeli, e non posso resistere… e doveva chiudere gli occhi e le orecchie…» Era un poeta, che ascoltava le pietre parlare. Un poeta ha questa capacità di capire queste cose evidenti, e anche i bambini ce l’hanno. Ma in alcuni c’è invece un’ossessione, per cui le cose troppo chiare diventano oscure. Non riescono a credere che in Gaudí tutto sia così netto, così facile.
È vero che Picasso detestava l’architettura di Gaudí?
BASSEGODA: Picasso era un grande artista, ma aveva tutt’altra sensibilità. Io non ho mai letto espressioni di odio di Picasso contro Gaudí, ma è evidente che non c’era una consonanza fra i due. Fra l’altro, non si sono mai conosciuti, perché Picasso è andato a Parigi all’inizio del XX secolo. Invece Dalí era un grande ammiratore di Gaudí.
Sopra, particolare del Rosario monumentale di Montserrat (1900): a Gaudí fu affidata la realizzazione 
del primo mistero glorioso, la resurrezione . Sotto: Sala del trono del Palazzo episcopale di Astorga (1887-1893). Gaudí lasciò l’opera incompiuta

Sopra, particolare del Rosario monumentale di Montserrat (1900): a Gaudí fu affidata la realizzazione del primo mistero glorioso, la resurrezione . Sotto: Sala del trono del Palazzo episcopale di Astorga (1887-1893). Gaudí lasciò l’opera incompiuta

Eppure anche Dalí sembra molto distante dalla sensibilità artistica di Gaudí…
BASSEGODA: Evidentemente, anche se bisogna dire che il Dalí “privato” era molto diverso dall’immagine che dava di sé all’esterno. Il suo personaggio pubblico era calcolatissimo. Certo, sapeva che andare a Parigi o a New York e parlare di religione cristiana non avrebbe giovato al suo successo. Ed era un uomo che teneva innanzitutto alla sua immagine. Proprio il contrario di quello che era Gaudí. Lui non poteva capire questi atteggiamenti da “divo”. Era occupato con la sua professione. Per lui l’arte era una cosa molto seria. Non ha fatto altro che costruire. Non si è sposato, non ha viaggiato, se non per andare a vedere i cantieri che dirigeva fuori da Barcellona. Non ha scritto. Ha pubblicato, quand’era giovane, un solo articolo, l’unico della sua vita. Non ha mai tenuto conferenze. Una volta un gesuita gli chiese insistentemente di fare una conferenza. Lui rifiutò con decisione. Alla fine il gesuita gli disse: «Se io avessi autorità su di lei, la obbligherei a tenere questa conferenza». E Gaudí ribatté: «Lei è un tiranno e un despota!». Era molto cattolico e aveva un profondo rispetto per i sacerdoti, ma quando vedeva queste cose si ribellava. Non era un san Luigi Gonzaga. Ma aveva una dimensione sacra del lavoro, e una grande umiltà nel vivere sempre a stretto contatto con i suoi operai, ai quali illustrava direttamente il lavoro. Ed era un uomo profondamente devoto. Viveva di messa, di sacramenti, di rosario, della Sacra Scrittura.
Leggeva assiduamente la Bibbia?
BASSEGODA: Sì, soprattutto l’Apocalisse. E si vede nelle sue opere, tante volte: i 24 vegliardi, le porte di Gerusalemme con gli angeli, le parole «Sanctus, Sanctus, Sanctus» sulla Sagrada Familia che salgono elicoidalmente, questo “fumo d’incenso” della parola “santo”. Queste cose lo influenzarono molto.
Oltre alla Scrittura, quali erano i suoi libri spirituali?
BASSEGODA: Aveva il Messale romano, che ancora si conserva. E L’Année liturgique di dom Guéranger, abate di Solesmes, per la vita liturgica. Sulla liturgia ne sapeva più dei canonici. Gaudí era molto attratto dalla liturgia. Perché la liturgia è una cosa che si fa e che si vede, e che si fa in accordo con l’architettura. E lui leggeva tutti i giorni L’Année liturgique perché gli interessava adattare l’architettura alle esigenze della liturgia. Trovò persino il tempo di seguire un corso di canto gregoriano. Inoltre, la Sagrada Familia è ricchissima di riferimenti alla dottrina. Una volta Bergós, uno dei suoi biografi, lo trovò nel cantiere della Sagrada Familia con una cartella in mano. Era la pianta della chiesa con le sue simbologie. E Gaudí disse: «Guarda, in questa cartella c’è tutta la dottrina cristiana». Ed è effettivamente così. Andava a messa tutti i giorni, recitava il rosario, era devoto alla Madonna, ma non amava la teologia.
Anche in questo caso rifuggiva dalle astrazioni…
BASSEGODA: Sì. La teologia era troppo astratta per lui. Gaudí era un uomo pratico, figlio di un artigiano. Tutta la sua famiglia era composta di artigiani. La sua biblioteca si riduceva a questi pochi libri: Guéranger, il Messale romano. In più aveva qualche cosa di Verdaguer, il grande poeta catalano. Certamente conosceva la storia dell’arte e dell’architettura. Per esempio, cercava continuamente fotografie di opere d’arte. Nel suo atelier alla Sagrada Familia, aveva fotografie di chiese bizantine, per vedere i mosaici, che poi ha usato per la parte alta del tempio della Sagrada Familia. Certamente non era un ignorante, non era però un erudito. Non giocava con l’intelligenza, la usava.
A proposito della devozione a Maria, è vero che Gaudí avrebbe voluto porre in cima alla Pedrera una statua della Vergine del Rosario e che il proprietario, Pedro Milá, gli negò il permesso?
BASSEGODA: È vero. Questo è un fatto molto interessante. Al signor Milá disse che se avesse saputo che gli avrebbero fatto portare via la Madonna, non avrebbe accettato di costruire la Pedrera. Gaudí aveva una grande devozione alla Madonna. Ed effettivamente, nel progetto esiste un disegno della Madonna per il tetto della casa.
E Milá non lo sapeva?
BASSEGODA: Milá era uno snob. Aveva sposato una ricchissima vedova e conduceva una vita molto libertina. Di Gaudí ammirava l’originalità, non certo la devozione a Maria. Comunque non si interessava ai dettagli del progetto. Ma quando vide il modello della Madonna in gesso – il costruttore aveva già fatto predisporre il supporto per collocarla – disse di no, disse che non gli piaceva. E Gaudí se ne andò. Poi, il gesuita Ignacio Casanovas lo convinse a ritornare, ma l’anno seguente Milá licenziò il decoratore che collaborava con Gaudí e Gaudí abbandonò definitivamente la direzione dei lavori. Ha lasciato la Pedrera senza finirla. Allora mandò la minuta dei suoi onorari e Milá fu costretto a ipotecare la casa per pagarlo: 100mila pesetas di quel tempo, una fortuna. Gaudí prese il danaro e lo diede a padre Casanovas perché lo distribuisse ai poveri di Barcellona.
E quando morì non aveva più un soldo. E morì all’ospedale dei poveri.
BASSEGODA: Era un suo desiderio, l’aveva detto tante volte. Gli sarebbe piaciuto morire fra i poveri, anche se poi lo portarono all’ospedale della Santa Croce perché quando fu investito dal tram nessuno lo riconobbe. C’era già andato qualche anno prima. Per rappresentare “la morte del giusto” nella cappella del Rosario, aveva assistito fino alla fine un moribondo senza famiglia. Il giorno in cui fu investito stava andando a piedi al quotidiano colloquio col padre spirituale, Agustín Mas. Arrivava all’oratorio di San Filippo Neri, parlava col direttore spirituale, faceva la visita al Santissimo Sacramento e poi andava a casa. Normalmente lo faceva tutti i giorni.
La lezione di Gaudí è recepita oggi?
BASSEGODA: Assolutamente no. Se guardo certe chiese di oggi, penso proprio di no. Ci sono cose che si possono fare con la tecnica, ma l’architettura non è soltanto tecnica. Gaudí ha fatto architettura anche senza fare architettura. Nel Rosario monumentale che si trova a Montserrat, a Gaudí fu affidato di rappresentare il primo mistero glorioso: la resurrezione. Gaudí ha fatto un buco nella montagna e ci ha piantato davanti delle piante aromatiche. E diceva: il giorno di Pasqua, queste piante saranno fiorite. Allora il primo raggio di sole arriverà alla tomba di Cristo, vuota. In quell’ora, i passeri cantano più dolcemente e l’acqua messa sulle piante aromatiche evapora col primo sole. E in quel momento si deve celebrare la messa dell’aurora. Ha fatto architettura senza colonne, senza pilastri, senza pareti! Un buco nella montagna, e l’immagine di Cristo risuscitato.





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