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ARGENTINA
tratto dal n. 08 - 2008

Villas miserias

Tra bulldozer e referendum



di Gianni Valente


 Un murale dedicato all’eroe popolare Gauchito Gil, a Villa 3

Un murale dedicato all’eroe popolare Gauchito Gil, a Villa 3

Le villas miserias di Buenos Aires sono un effetto della forza d’attrazione che la metropoli bonaerense ha sempre esercitato su chi sceglie di lasciare le proprie terre d’origine per assicurare un futuro a sé e ai propri figli. Secondo alcuni storici, le prime villas apparvero addirittura ai primi del Novecento, con l’arrivo massiccio di emigranti europei, soprattutto spagnoli e italiani, che alzavano dimore di fortuna nei dintorni dell’Hotel des Immigrantes e poi, a partire dai primi anni Trenta, nell’area di Puerto Nuevo. Ma la vera escalation inizia a partire dal secondo dopoguerra. Ondate successive di nuovi immigrati provenienti dalle province più povere dell’Argentina si susseguono dal 1941 fin al 1960. Nel 1968, nella vasta area del cono urbano bonaerense si contavano più di 259 insediamenti, dove abitavano più di 500mila abitanti. Già allora all’interno dei soli confini della capitale federale le villas erano trentatré.
«Per vivere in città, te lo devi meritare» era il motto di Osvaldo Cacciatore, intendente della città durante la dittatura, regista del plan de erradicación disposto dal regime per ripulire la città dalle villas. In realtà, la politica delle demolizioni e delle deportazioni ebbe l’unico effetto di far spostare temporaneamente duecentomila villeros dall’area centrale alla provincia e ai settori suburbani. Ma con il ritorno della democrazia le villas tornarono a popolarsi a ritmi vertiginosi anche dentro il perimetro urbano.
Secondo i dati contenuti in un rapporto riservato dell’auditoria porteña – e pubblicati lo scorso 17 luglio dal quotidiano Crítica – al momento attuale 400mila bonaerensi vivono una condizione abitativa «deficitaria». Le villas e gli insediamenti abitativi “irregolari” sarebbero ben cinquantanove nella sola area cittadina, concentrati nella zona sud, con un costante incremento di nuovi arrivi provenienti dalla Bolivia, dal Paraguay e dalle province povere dell’Argentina – negli ultimi cinque anni.
Dopo la “soluzione” tentata durante la dittatura, i governi che si sono succeduti a livello nazionale e locale hanno fatto registrare una quasi totale assenza di iniziative. È stato calcolato che se la costruzione di case popolari continuerà al ritmo tenuto negli anni successivi alla crisi del 2001, ci vorranno più di ottant’anni per risolvere il problema abitativo degli attuali abitanti delle villas. L’attuale governo cittadino, guidato dall’imprenditore Mauricio Macri, ha annunciato un referendum per far decidere ai cittadini di tutta Buenos Aires cosa fare delle villas. Un’idea subito respinta dall’equipo dei curas villeros. «È necessario porre attenzione al cuore del villero perché le possibili soluzioni non provengano da uffici dove lavorano tecnici che ignorano la realtà, e che invece di migliorare la situazione la peggiorano», hanno scritto nei loro comunicati. Demolendo i comodi pregiudizi di chi bolla i villeros come falliti perdigiorno viziati dalle iniziative di carità ecclesiale. Spiega padre José “Pepe” di Paola, attuale responsabile dell’equipo: «Oggi le villas sono quartieri operai. La maggior parte della gente che ci abita lavora nei settori più faticosi. Ogni villa vuol dire prima di tutto migliaia di uomini e donne con le loro storie e i loro sacrifici, che faticano tutto il giorno per garantire ai propri figli e nipoti il necessario per vivere, partendo da una condizione obiettiva di svantaggio e discriminazione».


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