Resta un popolo umile e povero
«Mi ha colpito che ad aspettare il Papa in Francia c’era ancora un popolo. Persone che andavano da sole, non perché qualcuno le aveva organizzate. Sono i poveri, i piccoli del Vangelo». Intervista con il cardinale Godfried Danneels, primate del Belgio. Sul Sinodo e su altro
Intervista con il cardinale Godfried Danneels di Gianni Valente
Godfried Danneels appare
serenamente indaffarato. Nella sua diocesi di Mechelen-Bruxelles, il
cardinale primate del Belgio continua a lavorare coi suoi ritmi nordici.
Negli ultimi mesi, Benedetto XVI lo ha nominato in più occasioni
inviato pontificio alle celebrazioni di popolari santuari belgi e francesi.
Il prossimo anno, tocca alla sua diocesi primaziale celebrare i 450 anni
dalla fondazione. Lui, nel frattempo, ha compiuto 75 anni a inizio giugno.
La lettera di dimissioni che ogni vescovo deve inviare al Papa quando
raggiunge quella soglia dell’età pensionabile l’aveva
già imbucata qualche settimana prima, «che con le poste
italiane non si sa mai». E il 5 ottobre è sceso a Roma, per
prendere parte al Sinodo dei vescovi convocato dal Papa sulla Parola di
Dio. È un veterano delle assise sinodali: dal 1980 ha partecipato a
tutte le assemblee ordinarie di questi “Stati generali” della
cattolicità. Lui, si sa, non è tipo da conventicole:
«La cosiddetta “politica ecclesiastica”», dice,
«in questo momento è davvero poco interessante». Il tema
trattato dal Sinodo, invece, gli sta molto a cuore.
Allora, finalmente, ha potuto partecipare anche al
Sinodo sulla Parola di Dio.
GODFRIED DANNEELS: Sono contento. In ogni Sinodo, verso la fine dei lavori, si chiede ai padri sinodali di fare proposte per aiutare il papa nella scelta del tema del Sinodo successivo. Ricordo che il cardinale Martini, fin dagli anni Ottanta, nei primi Sinodi ai quali ho assistito insieme a lui, chiedeva sempre di dedicare un Sinodo alla Sacra Scrittura. Finalmente, dopo più di venti anni, e dopo aver trattato tutti gli altri temi possibili e immaginabili, ci si è arrivati. Mi pare importantissimo.
Quindi anche lei un Sinodo su questo argomento lo attendeva da tanto tempo. Nostalgie della gioventù?
DANNEELS: In effetti, nella mia vita, la riscoperta della Parola di Dio e della sua centralità nella vita della Chiesa coincide con il Concilio Vaticano II, e specialmente con la costituzione dogmatica Dei Verbum, il documento del Concilio sulla divina Rivelazione. Un documento conciliare che è stato un po’ messo da parte. Ma che tratta della cosa più importante. Quella che è descritta nelle prime righe, con una citazione della prima Lettera dell’apostolo Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo».
Lei accennava al fatto che questo testo è stato un po’ accantonato.
DANNEELS: Quelli che parlano del Concilio citano sempre la costituzione dogmatica Lumen gentium, dove la Chiesa ha parlato di sé stessa, o la Gaudium et spes, che trattava dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. Ma probabilmente è la Dei Verbum il documento nel quale la riflessione della Chiesa sul proprio statuto e la propria natura è stata più acuta. La Chiesa è uno strumento. «Queste cose vi scriviamo», avverte Giovanni sempre nella sua prima Lettera, «perché la nostra gioia sia perfetta».
Come presentare oggi la Bibbia? Essa è il “codice” della nostra civiltà, iscritto nel nostro Dna, come dicono alcuni?
DANNEELS: Certo che la Sacra Scrittura, la Bibbia, è anche un fenomeno culturale, sociale e umano molto rilevante. Questo è vero ma è secondario. Non è il cuore, il core business della Sacra Scrittura. Perché la Bibbia, la Sacra Scrittura non è un testo. È la Parola viva che è stata pronunciata in Gesù, e che continua a essere pronunciata in Gesù da Dio. Dunque è il contatto, l’incontro con una persona che è viva, che continua a essere presente e a rivelarsi operando. Questo è il proprium della lettura della Bibbia, anche rispetto ai testi sacri delle religioni. Non si legge un libro, si sente e si ascolta una voce viva.
Lei, come la definirebbe?
DANNEELS: La Sacra Scrittura è il racconto della storia di Dio con gli uomini. Rivela cosa Dio vuole riguardo agli uomini. E questo, Dio non lo esprime per concetti, per filosofie, per pensieri, ma per fatti. In questi fatti è la rivelazione di Dio. Questo è il metodo con cui Dio entra nella storia umana con tutte le imperfezioni, le avventure, le tragedie, ma anche le buone cose che ci sono nel cuore degli uomini. È l’immensa umiliazione di Dio per adattarsi a noi. Dio, con Cristo, è sceso sulla terra per vivere con noi. La Scrittura è forse il luogo dove è possibile a tutti percepire e porsi con tutta semplicità davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo divino. Ne rappresenta la manifestazione più semplice.
Diceva sant’Agostino: «Dal Signore viene la Scrittura. Ma non ha alcun interesse umano, se non vi si riconosce Cristo». Invece, a volte, sembra che la lettura della Sacra Scrittura sia di per sé la sorgente dell’inizio della fede.
DANNEELS: Non è la sorgente. Ma il contatto con la Parola viva e soprattutto predicata può essere normalmente l’occasione per l’inizio della fede. Lì passa qualcosa tra Dio e me. La Parola non scritta, ma predicata e confessata. Proprio citando Agostino, la Dei Verbum si proponeva di esporre la dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, «affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami».
Lei, di recente, ha usato una definizione originale,
quando ha detto durante un’omelia che la fede è un
«rapporto affettivo».
DANNEELS: Non è un rapporto in primo luogo cognitivo. È un rapporto di innamoramento, non di conoscenza. C’è anche conoscenza, perché non si può amare ciò che non si incontra e non viene riconosciuto. Ma non si è cristiani per le conclusioni di un ragionamento esatto, per una dimostrazione di verità. Questo vale anche per la Bibbia. Lo scopo della Bibbia non è innanzitutto quello di fornire istruzioni e informazioni. Ma raccontare i continui ricominciamenti, le continue riprese della pazienza di Dio con noi uomini.
In certi richiami all’importanza della Sacra Scrittura, non c’è la pretesa di trasformare tutti i cristiani in professionisti dell’esegesi?
DANNEELS: Non professionisti, ma amatori. O come si dice: dilettanti, nel senso di quelli che si dilettano. Ci sono due cose che mi auguro siano favorite dal Sinodo. Primo, che il popolo cristiano legga la Bibbia. Su questo, noi cattolici abbiamo un ritardo sui protestanti. Secondo, occorre poter pregare con la Bibbia. Leggere un passo dicare la maniera in cui i cristiani vivono nel mondo. Gesù non parla mai di qualcosa di roccioso e di immobile, ma del lievito che fa lievitare la pasta quasi impercettibilmente, o della luce della lampada che passa attraverso tutte le fessure di porte e finestre per illuminare dovunque. Sono immagini familiari e pacifiche. Sono l’opposto della paura e della chiusura in sé stessi, tipiche di molti gruppi umani identitari. La Parola di Dio è tutta imballata nella dolcezza, nella tenerezza, nell’umiltà. Se non è così, gli uomini non la “scartano”, e non scoprono la promessa che contiene. La lasciano lì, chiusa in sé stessa.
Ciò vale anche per il rapporto con il potere. Proprio lei, durante la messa nella Giornata del Re che si celebra in Belgio, ha suggerito come paradigma del rapporto tra i cristiani e le autorità civili un passo tratto anch’esso dalla Sacra Scrittura.
DANNEELS: Ho letto il brano in cui san Paolo fa le sue raccomandazioni a Timoteo: «Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità». Paolo dice che bisogna pregare per tutte le autorità, quelle buone, ma anche le altre. Nella stessa omelia, ho citato anche quello che Paolo suggerisce nella Lettera ai Filippesi: «Non fate niente per rivalità, niente per la gloria, ma con umiltà, stimate sempre gli altri come superiori a voi». Non sono idee mie. Sono brani del Nuovo Testamento. Questo è il primo dovere della Chiesa e dei cristiani: pregare. Noi crediamo nel potere della preghiera del giusto.
Nella stessa omelia, lei ha anche detto cose non troppo di moda sul rapporto tra Chiesa e politica.
DANNEELS: Ho detto che la Chiesa deve evitare di interferire nella vita politica. L’organizzazione della società e delle istituzioni appartiene ai politici. Questo non tutti lo accettano. In certe nazioni c’è sempre più la tendenza a fare la lezione ai politici. Certo, le autorità civili non sono sempre nella giusta direzione. Ma c’è chi pensa che brandendo con irruenza la verità gli altri cederanno. E non è così che succede.
Anche quando il Papa è andato in Francia, c’era chi auspicava una “Ratisbona numero due”…
DANNEELS: Sulla laicità…
Qualcuno sembra attaccato al cliché del Papa che
“sfida”, lancia battaglie culturali…
DANNEELS: Ma questo non avrebbe funzionato, in Francia. Il Papa lo sapeva, e ha fatto molto bene le cose. Anche il discorso più impegnativo, quello dai Bernardins, non è stato un manifesto. Un aiuto è venuto anche dalle autorità civili, perché Sarkozy adesso si dice convinto dell’utilità delle religioni, specialmente del cattolicesimo, per la società e la vita civile. Non è un laico “anti”. Come ce ne sono in Francia.
La Chiesa francese, e anche la Chiesa belga, vengono spesso rimproverate di passività davanti alla secolarizzazione. Il prossimo anno ci si appresta a celebrare il giubileo, per i centocinquant’anni dalla morte, di Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars, patrono di tutti i parroci. Cosa può suggerire questo santo alla Chiesa di oggi?
DANNEELS: Che testimoniare la fede in sé stessa è la sola arma che abbiamo. E la sola che può vincere. Non abbiamo bisogno di costruzioni ausiliarie. La fede e la Parola di Dio sono sufficientemente forti in sé stesse per penetrare nei cuori, avvincere la libertà degli uomini che vivono nella società. Manchiamo sempre di fiducia nella forza della fede e della Parola di Dio in sé stessa. Dimentichiamo sempre che la nostra fede, come dice san Paolo, non si basa su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza. Non è qualcosa di magico.
Cosa l’ha colpita nell’accoglienza che ha avuto il Papa in Francia?
DANNEELS: Che ad accoglierlo c’era ancora un popolo. Persone che andavano da sole, non perché qualcuno le aveva organizzate. Specialmente a Lourdes. Dove c’è Maria, si trova il popolo. Non erano dei gruppi speciali. C’era anche qualche gruppo speciale, ma dentro la folla di un popolo.
Lei intende dire: cristiani “generici”, semplici fedeli, non organizzati in sigle…
DANNEELS: Il cristianesimo sarà “generico”, o non sarà. Possono sorgere dei gruppi speciali, che a un certo momento sottolineano qualcosa, ma la fede si radica nel popolo semplice che non ha ideologia, non ha progetti, strategie, non ha niente… è semplicemente sé stesso. Sono i poveri, i piccoli del Vangelo. E la preghiera dei poveri è il rosario. Anche nei conventi del Medioevo, dove i frati laici non sapevano pregare i salmi in latino insieme ai monaci, loro pregavano centocinquanta Ave Maria al posto dei centocinquanta salmi. Già allora il rosario era come il salterio dei poveri. Anche Gesù, nell’orto degli ulivi, pregò un po’ allo stesso modo. «Ripetendo le stesse parole», dice il Vangelo di Matteo.
Il Papa negli ultimi tempi l’ha mandata come rappresentante pontificio alle celebrazioni giubilari di diversi santuari.
DANNEELS: Sono stato a Banneux, al santuario della Vierge des pauvres, poi a Valencienne, ed è stata la stessa cosa, veramente impressionante: cinquemila persone alla messa sulla pubblica piazza, la domenica mattina alle nove. E poi a Reims per san Remigio, e in Lussemburgo per san Willibrordo. È stato un anno in cui mi sono trovato immerso nella devozione popolare. Con grande sollievo. Quello lì è l’humus fecondo. Tutto il resto nella Chiesa vive solo se è piantato in questo humus. Sono le folle di cui parla il Vangelo.
L’unica indicazione pastorale che lei ha dato
anche sul bollettino della diocesi, è stata quella di andare in
pellegrinaggio ai santuari mariani, anche i più vicini. Come
vescovo, lei non è uno che riempie di istruzioni i suoi fedeli.
Qualcuno glielo rimprovera.
DANNEELS: Quando ero professore di Teologia, lavoravo su un registro che da me esigeva soprattutto chiarezza e rigore metodologico nel lavoro intellettuale. Da quando sono divenuto vescovo, è la carità pastorale che ha preso il sopravvento. Il teologo ha il diritto e anche il dovere di esprimere le proprie idee su qualsiasi tema. Per il vescovo è un’altra cosa. Non è così importante che esprima il suo pensiero teologico con perspicacia intellettuale. Da vescovo, ci si accorge che nel mondo, lontano dalle biblioteche e dai libri, succedono tante cose. Si vedono le miserie degli uomini. Si vede la mescolanza sociale e culturale in cui viviamo immersi. È tutto diverso. Il teologo è istallato in un certo status ben definito. Il pastore, invece, deve vivere una sorta di “bilocazione”: deve camminare davanti, a guidare il suo popolo. Ma deve stare anche in fondo, a chiudere la fila, perché se qualche agnello si ferisce, o si rompe una gamba, tocca a lui prenderlo sulle proprie spalle. Imitando, se possibile, quello che fa Gesù, l’unico pastore del gregge.
Riguardo ai vescovi, il Concilio aveva inteso valorizzare la figura del vescovo. A distanza di quarant’anni, alcuni registrano una specie di appiattimento, di “omologazione” nell’episcopato.
DANNEELS: Agli ultimi Sinodi cui ho partecipato, ho visto tante brave persone, ma il livello non è quello dei vescovi del Concilio. Tutti sono gentili e pieni di buone intenzioni, ma mi sembra che manchi un po’ d’intelligenza, che non guasta mai. Un’intelligenza del cuore.
Lo stesso vale per il modo in cui vengono stabiliti i ruoli nella Chiesa…
DANNEELS: Per essere più elastici, bisognerebbe riprendere la distinzione tra potere d’ordine e di giurisdizione. Adesso, questi due poteri sono indissociabili. Il potere di giurisdizione può essere affidato solo a qualcuno che è ordinato. La teologia del Concilio Vaticano II ha reso ancora più forte questo nesso. Eppure, nel Medioevo, erano le badesse dei grandi monasteri che concedevano ai preti la giurisdizione per ascoltare le confessioni. Chissà se adesso si permetterebbe di nuovo una prassi del genere.
Il cardinale Godfried Danneels
GODFRIED DANNEELS: Sono contento. In ogni Sinodo, verso la fine dei lavori, si chiede ai padri sinodali di fare proposte per aiutare il papa nella scelta del tema del Sinodo successivo. Ricordo che il cardinale Martini, fin dagli anni Ottanta, nei primi Sinodi ai quali ho assistito insieme a lui, chiedeva sempre di dedicare un Sinodo alla Sacra Scrittura. Finalmente, dopo più di venti anni, e dopo aver trattato tutti gli altri temi possibili e immaginabili, ci si è arrivati. Mi pare importantissimo.
Quindi anche lei un Sinodo su questo argomento lo attendeva da tanto tempo. Nostalgie della gioventù?
DANNEELS: In effetti, nella mia vita, la riscoperta della Parola di Dio e della sua centralità nella vita della Chiesa coincide con il Concilio Vaticano II, e specialmente con la costituzione dogmatica Dei Verbum, il documento del Concilio sulla divina Rivelazione. Un documento conciliare che è stato un po’ messo da parte. Ma che tratta della cosa più importante. Quella che è descritta nelle prime righe, con una citazione della prima Lettera dell’apostolo Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo».
Lei accennava al fatto che questo testo è stato un po’ accantonato.
DANNEELS: Quelli che parlano del Concilio citano sempre la costituzione dogmatica Lumen gentium, dove la Chiesa ha parlato di sé stessa, o la Gaudium et spes, che trattava dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. Ma probabilmente è la Dei Verbum il documento nel quale la riflessione della Chiesa sul proprio statuto e la propria natura è stata più acuta. La Chiesa è uno strumento. «Queste cose vi scriviamo», avverte Giovanni sempre nella sua prima Lettera, «perché la nostra gioia sia perfetta».
Come presentare oggi la Bibbia? Essa è il “codice” della nostra civiltà, iscritto nel nostro Dna, come dicono alcuni?
DANNEELS: Certo che la Sacra Scrittura, la Bibbia, è anche un fenomeno culturale, sociale e umano molto rilevante. Questo è vero ma è secondario. Non è il cuore, il core business della Sacra Scrittura. Perché la Bibbia, la Sacra Scrittura non è un testo. È la Parola viva che è stata pronunciata in Gesù, e che continua a essere pronunciata in Gesù da Dio. Dunque è il contatto, l’incontro con una persona che è viva, che continua a essere presente e a rivelarsi operando. Questo è il proprium della lettura della Bibbia, anche rispetto ai testi sacri delle religioni. Non si legge un libro, si sente e si ascolta una voce viva.
Lei, come la definirebbe?
DANNEELS: La Sacra Scrittura è il racconto della storia di Dio con gli uomini. Rivela cosa Dio vuole riguardo agli uomini. E questo, Dio non lo esprime per concetti, per filosofie, per pensieri, ma per fatti. In questi fatti è la rivelazione di Dio. Questo è il metodo con cui Dio entra nella storia umana con tutte le imperfezioni, le avventure, le tragedie, ma anche le buone cose che ci sono nel cuore degli uomini. È l’immensa umiliazione di Dio per adattarsi a noi. Dio, con Cristo, è sceso sulla terra per vivere con noi. La Scrittura è forse il luogo dove è possibile a tutti percepire e porsi con tutta semplicità davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo divino. Ne rappresenta la manifestazione più semplice.
Diceva sant’Agostino: «Dal Signore viene la Scrittura. Ma non ha alcun interesse umano, se non vi si riconosce Cristo». Invece, a volte, sembra che la lettura della Sacra Scrittura sia di per sé la sorgente dell’inizio della fede.
DANNEELS: Non è la sorgente. Ma il contatto con la Parola viva e soprattutto predicata può essere normalmente l’occasione per l’inizio della fede. Lì passa qualcosa tra Dio e me. La Parola non scritta, ma predicata e confessata. Proprio citando Agostino, la Dei Verbum si proponeva di esporre la dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, «affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami».
Cristo in gloria, vetrata della Cattedrale di Chartres, Francia [© Ciric]
DANNEELS: Non è un rapporto in primo luogo cognitivo. È un rapporto di innamoramento, non di conoscenza. C’è anche conoscenza, perché non si può amare ciò che non si incontra e non viene riconosciuto. Ma non si è cristiani per le conclusioni di un ragionamento esatto, per una dimostrazione di verità. Questo vale anche per la Bibbia. Lo scopo della Bibbia non è innanzitutto quello di fornire istruzioni e informazioni. Ma raccontare i continui ricominciamenti, le continue riprese della pazienza di Dio con noi uomini.
In certi richiami all’importanza della Sacra Scrittura, non c’è la pretesa di trasformare tutti i cristiani in professionisti dell’esegesi?
DANNEELS: Non professionisti, ma amatori. O come si dice: dilettanti, nel senso di quelli che si dilettano. Ci sono due cose che mi auguro siano favorite dal Sinodo. Primo, che il popolo cristiano legga la Bibbia. Su questo, noi cattolici abbiamo un ritardo sui protestanti. Secondo, occorre poter pregare con la Bibbia. Leggere un passo dicare la maniera in cui i cristiani vivono nel mondo. Gesù non parla mai di qualcosa di roccioso e di immobile, ma del lievito che fa lievitare la pasta quasi impercettibilmente, o della luce della lampada che passa attraverso tutte le fessure di porte e finestre per illuminare dovunque. Sono immagini familiari e pacifiche. Sono l’opposto della paura e della chiusura in sé stessi, tipiche di molti gruppi umani identitari. La Parola di Dio è tutta imballata nella dolcezza, nella tenerezza, nell’umiltà. Se non è così, gli uomini non la “scartano”, e non scoprono la promessa che contiene. La lasciano lì, chiusa in sé stessa.
Ciò vale anche per il rapporto con il potere. Proprio lei, durante la messa nella Giornata del Re che si celebra in Belgio, ha suggerito come paradigma del rapporto tra i cristiani e le autorità civili un passo tratto anch’esso dalla Sacra Scrittura.
DANNEELS: Ho letto il brano in cui san Paolo fa le sue raccomandazioni a Timoteo: «Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità». Paolo dice che bisogna pregare per tutte le autorità, quelle buone, ma anche le altre. Nella stessa omelia, ho citato anche quello che Paolo suggerisce nella Lettera ai Filippesi: «Non fate niente per rivalità, niente per la gloria, ma con umiltà, stimate sempre gli altri come superiori a voi». Non sono idee mie. Sono brani del Nuovo Testamento. Questo è il primo dovere della Chiesa e dei cristiani: pregare. Noi crediamo nel potere della preghiera del giusto.
Nella stessa omelia, lei ha anche detto cose non troppo di moda sul rapporto tra Chiesa e politica.
DANNEELS: Ho detto che la Chiesa deve evitare di interferire nella vita politica. L’organizzazione della società e delle istituzioni appartiene ai politici. Questo non tutti lo accettano. In certe nazioni c’è sempre più la tendenza a fare la lezione ai politici. Certo, le autorità civili non sono sempre nella giusta direzione. Ma c’è chi pensa che brandendo con irruenza la verità gli altri cederanno. E non è così che succede.
Anche quando il Papa è andato in Francia, c’era chi auspicava una “Ratisbona numero due”…
DANNEELS: Sulla laicità…
Un bambino ai piedi dell’altare della cappella di Santa Bernadette, Basilica di Nostra Signora del Rosario, Lourdes, Francia [© Ciric]
DANNEELS: Ma questo non avrebbe funzionato, in Francia. Il Papa lo sapeva, e ha fatto molto bene le cose. Anche il discorso più impegnativo, quello dai Bernardins, non è stato un manifesto. Un aiuto è venuto anche dalle autorità civili, perché Sarkozy adesso si dice convinto dell’utilità delle religioni, specialmente del cattolicesimo, per la società e la vita civile. Non è un laico “anti”. Come ce ne sono in Francia.
La Chiesa francese, e anche la Chiesa belga, vengono spesso rimproverate di passività davanti alla secolarizzazione. Il prossimo anno ci si appresta a celebrare il giubileo, per i centocinquant’anni dalla morte, di Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars, patrono di tutti i parroci. Cosa può suggerire questo santo alla Chiesa di oggi?
DANNEELS: Che testimoniare la fede in sé stessa è la sola arma che abbiamo. E la sola che può vincere. Non abbiamo bisogno di costruzioni ausiliarie. La fede e la Parola di Dio sono sufficientemente forti in sé stesse per penetrare nei cuori, avvincere la libertà degli uomini che vivono nella società. Manchiamo sempre di fiducia nella forza della fede e della Parola di Dio in sé stessa. Dimentichiamo sempre che la nostra fede, come dice san Paolo, non si basa su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza. Non è qualcosa di magico.
Cosa l’ha colpita nell’accoglienza che ha avuto il Papa in Francia?
DANNEELS: Che ad accoglierlo c’era ancora un popolo. Persone che andavano da sole, non perché qualcuno le aveva organizzate. Specialmente a Lourdes. Dove c’è Maria, si trova il popolo. Non erano dei gruppi speciali. C’era anche qualche gruppo speciale, ma dentro la folla di un popolo.
Lei intende dire: cristiani “generici”, semplici fedeli, non organizzati in sigle…
DANNEELS: Il cristianesimo sarà “generico”, o non sarà. Possono sorgere dei gruppi speciali, che a un certo momento sottolineano qualcosa, ma la fede si radica nel popolo semplice che non ha ideologia, non ha progetti, strategie, non ha niente… è semplicemente sé stesso. Sono i poveri, i piccoli del Vangelo. E la preghiera dei poveri è il rosario. Anche nei conventi del Medioevo, dove i frati laici non sapevano pregare i salmi in latino insieme ai monaci, loro pregavano centocinquanta Ave Maria al posto dei centocinquanta salmi. Già allora il rosario era come il salterio dei poveri. Anche Gesù, nell’orto degli ulivi, pregò un po’ allo stesso modo. «Ripetendo le stesse parole», dice il Vangelo di Matteo.
Il Papa negli ultimi tempi l’ha mandata come rappresentante pontificio alle celebrazioni giubilari di diversi santuari.
DANNEELS: Sono stato a Banneux, al santuario della Vierge des pauvres, poi a Valencienne, ed è stata la stessa cosa, veramente impressionante: cinquemila persone alla messa sulla pubblica piazza, la domenica mattina alle nove. E poi a Reims per san Remigio, e in Lussemburgo per san Willibrordo. È stato un anno in cui mi sono trovato immerso nella devozione popolare. Con grande sollievo. Quello lì è l’humus fecondo. Tutto il resto nella Chiesa vive solo se è piantato in questo humus. Sono le folle di cui parla il Vangelo.
Fedeli in processione con le reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino a Lisieux, Francia [© Corbis]
DANNEELS: Quando ero professore di Teologia, lavoravo su un registro che da me esigeva soprattutto chiarezza e rigore metodologico nel lavoro intellettuale. Da quando sono divenuto vescovo, è la carità pastorale che ha preso il sopravvento. Il teologo ha il diritto e anche il dovere di esprimere le proprie idee su qualsiasi tema. Per il vescovo è un’altra cosa. Non è così importante che esprima il suo pensiero teologico con perspicacia intellettuale. Da vescovo, ci si accorge che nel mondo, lontano dalle biblioteche e dai libri, succedono tante cose. Si vedono le miserie degli uomini. Si vede la mescolanza sociale e culturale in cui viviamo immersi. È tutto diverso. Il teologo è istallato in un certo status ben definito. Il pastore, invece, deve vivere una sorta di “bilocazione”: deve camminare davanti, a guidare il suo popolo. Ma deve stare anche in fondo, a chiudere la fila, perché se qualche agnello si ferisce, o si rompe una gamba, tocca a lui prenderlo sulle proprie spalle. Imitando, se possibile, quello che fa Gesù, l’unico pastore del gregge.
Riguardo ai vescovi, il Concilio aveva inteso valorizzare la figura del vescovo. A distanza di quarant’anni, alcuni registrano una specie di appiattimento, di “omologazione” nell’episcopato.
DANNEELS: Agli ultimi Sinodi cui ho partecipato, ho visto tante brave persone, ma il livello non è quello dei vescovi del Concilio. Tutti sono gentili e pieni di buone intenzioni, ma mi sembra che manchi un po’ d’intelligenza, che non guasta mai. Un’intelligenza del cuore.
Lo stesso vale per il modo in cui vengono stabiliti i ruoli nella Chiesa…
DANNEELS: Per essere più elastici, bisognerebbe riprendere la distinzione tra potere d’ordine e di giurisdizione. Adesso, questi due poteri sono indissociabili. Il potere di giurisdizione può essere affidato solo a qualcuno che è ordinato. La teologia del Concilio Vaticano II ha reso ancora più forte questo nesso. Eppure, nel Medioevo, erano le badesse dei grandi monasteri che concedevano ai preti la giurisdizione per ascoltare le confessioni. Chissà se adesso si permetterebbe di nuovo una prassi del genere.