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AMERICA LATINA
tratto dal n. 03 - 2002

COLOMBIA. L’assassinio di monsignor Duarte

...come si trattasse di una nuova Iugoslavia»


Intervista con il cardinale Darío Castrillón Hoyos che ricorda l’arcivescovo di Cali, ucciso il 16 marzo scorso, tre settimane dopo l’appello per la pace della Conferenza episcopale: «I colombiani non sono disposti a ulteriori divisioni del Paese...


di Gianni Cardinale


«Ancora una volta il sagrato di una chiesa si è intriso del sangue di un testimone del Vangelo. L’arcivescovo di Cali, Isaías Duarte Cancino, è stato trucidato sabato sera da due giovanissimi sicari...». Con queste drammatiche parole L’Osservatore Romano pubblicato il lunedì 18 marzo ha dato la notizia dell’uccisione di monsignor Duarte, guida spirituale della terza arcidiocesi della Colombia, avvenuta dopo che aveva presieduto la cerimonia del rito del matrimonio per un centinaio di coppie nella parrocchia del Buon Pastore, nel distretto di Aguablanca, uno dei quartieri più poveri della città. L’esecuzione del presule ha destato grande impressione in un Paese già sconvolto da una violenza endemica che negli ultimi dieci anni ha fatto 35mila morti. Ai suoi funerali hanno partecipato un milione di fedeli, compreso l’attuale presidente Andrés Pastrana (che quando ha preso la parola è stato fischiato dalla folla).
Sopra, fedeli durante la veglia 
di preghiera per l’uccisione del vescovo di Cali; sotto il  cardinale Darío Castrillón Hoyos

Sopra, fedeli durante la veglia di preghiera per l’uccisione del vescovo di Cali; sotto il cardinale Darío Castrillón Hoyos

Per ricordare la figura dell’arcivescovo Duarte, 30Giorni ha posto alcune domande al cardinale Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero e presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei». Nel corso del colloquio inevitabilmente si è finiti per parlare dell’attuale, drammatica, situazione della Colombia. Un Paese con un potere statuale incapace di controllare il territorio e di far rispettare le leggi, infestato dal narcotraffico e devastato da una guerra civile che vede contrapposte organizzazioni guerrigliere di ispirazione marxista (le Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia – Farc, l’Ejército de liberación del pueblo – Elp, l’Ejército de liberación nacional – Eln) che complessivamente controllano circa il 40 per cento del Paese, e i gruppi paramilitari delle Auc (Autodefensas unidas de Colombia).
Castrillón Hoyos, nato a Medellín 73 anni fa, nel ’71 è nominato coadiutore e nel ’76 vescovo di Pereira, quindi nel ’92 viene promosso arcivescovo di Bucaramanga, dove rimane fino al ’96 quando è chiamato a prestare la sua opera nella Curia romana. Ha ricoperto inoltre gli incarichi di segretario generale (’83-87) e presidente (’87-91) del Consiglio episcopale dell’America Latina (Celam). È cardinale dal ’98.
«Monsignor Duarte» afferma subito il porporato colombiano «era un vescovo pienamente dedito alla vita del popolo cristiano, un uomo che ha consegnato se stesso a Dio e alla Chiesa. Un uomo di grandi capacità intellettuali – quando presiedevo la Commissione per la cultura della Conferenza episcopale colombiana volli che ne facesse parte – ma anche di grande capacità operativa».

Monsignor Duarte è stato vescovo ausiliare di Bucaramanga e poi ordinario di Apartadó. Due realtà che lei conosce bene...
ARÍO CASTRILLÓN HOYOS: Apartadó prima di diventare una diocesi autonoma faceva parte di quella di Santa Fe de Antioquia dove ho frequentato il seminario minore. È una terra immersa nella foresta, una zona molto difficile, che ha avuto uno sviluppo molto veloce grazie alla coltivazione di banane. Poi però i signori della droga hanno messo gli occhi su questo territorio, hanno comprato le aziende e hanno trasformato le colture. È una zona climaticamente propizia per la coltivazione della coca ed essendo vicino al mare la droga può essere facilmente caricata in piccole imbarcazioni per essere trasportata nelle acque internazionali e poi negli Usa. A peggiorare la condizione è poi intervenuta la guerriglia e quindi le squadre paramilitari. Monsignor Duarte si è trovato in una situazione difficile. Aggravata dal fatto di poter contare su pochi sacerdoti e di svolgere la sua azione pastorale tra una popolazione fatta per lo più di immigrati con una scarsa tradizione religiosa. Ma ha lavorato bene. Ha svolto una grande azione evangelizzatrice. Si è comportato da uomo forte, senza paura, franco, che dice il vero. La sua voce ha acquistato peso nella Chiesa e nel Paese.
Tanto da essere promosso arcivescovo di Cali.
CASTRILLÓN HOYOS: Sì, della terza arcidiocesi del Paese dopo Bogotá e Medellín. Dove ha trovato, se possibile, una situazione ancora peggiore: la famosa congrega di narcotrafficanti del cosiddetto Cartello di Cali e una guerriglia molto presente nei dintorni della città. Senza contare poi che quella zona ha una tradizione di violenza politica che risale agli scontri tra conservatori e liberali che ne hanno insanguinato le strade per non pochi decenni dello scorso secolo. Un’arcidiocesi molto difficile quindi. In cui dovette subire, tra l’altro, una incursione della guerriglia in una chiesa e il sequestro dei fedeli che erano lì riuniti. Monsignor Duarte fu in quel caso molto duro e arrivò a scomunicare i guerriglieri. Quella storia ebbe un epilogo curioso, quando quegli stessi guerriglieri a Roma consegnarono una lettera al Papa per spiegare il loro gesto: chiedendo perdono, assicurando di rispettare la vita degli ostaggi e manifestando l’esigenza del pagamento di un riscatto.
L’ultimo capitolo difficile nella vita di questo grande arcivescovo si è svolto durante l’ultima campagna elettorale per le elezioni parlamentari celebrate il 10 marzo, una settimana prima della sua uccisione. Campagna che si è effettuata in un clima reso particolarmente pesante per la rottura del dialogo tra governo e guerriglia. Ebbene, in questo contesto monsignor Duarte ha denunciato pubblicamente che la campagna elettorale era inquinata dal denaro dei narcotrafficanti che avevano finanziato alcuni candidati, di cui non aveva fatto i nomi. Alcuni analisti dicono che questo gesto, forse, gli è costato la vita.
L’uccisione di un presule cattolico purtroppo non è una novità in America Latina. È già successo nell’80 con l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero nel Salvador, nel ’93 con il cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo in Messico, nel ’98 con il vescovo Juan Gerardi Conedera in Guatemala...
CASTRILLÓN HOYOS: E anche in Colombia nell’89 la guerriglia sequestrò e uccise monsignor Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, vescovo di Arauca. Si tratta di ecclesiastici che hanno versato il proprio sangue per aver dato voce ai più deboli e ai più indifesi. Ma i contesti sono differenti. Le uccisioni di Romero e Gerardi si situano nel quadro della risposta armata della destra politico-economica alla teologia della liberazione. In Colombia la situazione è differente. Le forze di autodifesa unite (Auc), ad esempio, non sono etichettabili, come spesso si fa in Europa, semplicemente come forze paramilitari di destra, ma sono state in parte una risposta all’incapacità incolpevole, vista la vastità del territorio e la scarsezza dei mezzi, delle autorità colombiane di garantire la sicurezza in tutto il Paese di fronte a gruppi armati mobili come quelli della guerriglia.
Ma queste squadre paramilitari sono accusate di crimini orrendi nei confronti della popolazione civile...
CASTRILLÓN HOYOS: Queste forze nascono in reazione alla guerriglia e usano gli stessi metodi: uccidono senza pietà chi non dà loro informazioni e chi secondo loro aiuta l’avversario. E se è vero che continuano a esistere gruppi di autodifesa legittimi in quanto non fanno altro che difendere la vita e la proprietà delle persone, è altrettanto vero che in questi ultimi anni sono cresciute forze che sono diventate gruppi di potere militare che hanno tutti i peccati di coloro che senza lavorare vogliono impossessarsi dei beni altrui. Chiedendo, ad esempio, a negozianti e imprenditori di pagare il “pizzo” per garantire la loro protezione... Non solo. Anche loro hanno cominciato a trafficare la droga. A fare sequestri. A uccidere. E lo fanno con una ferocia pari a quella della guerriglia. Anzi, superandola qualche volta. Quando ero arcivescovo di Bucaramanga uno di questi gruppi di paramilitari ha catturato un contadino e, davanti a moglie e figli, lo ha sezionato verticalmente in due parti con una motosega. Gli avevano chiesto se aveva visto passare la guerriglia, lui aveva risposto di no, e allora lo hanno diviso in due parti affinché potesse vedere meglio...
È questo lo scenario di fronte al quale si è trovato a operare monsignor Duarte. E non era di quelli che di fronte a queste situazioni stava zitto.
Chi può averlo ucciso?
CASTRILLÓN HOYOS: Difficile saperlo. I principali indiziati sembrano essere i narcotrafficanti. Ho letto poi che i due principali raggruppamenti guerriglieri, le Farc e l’Eln, hanno dichiarato di non essere coinvolti nell’omicidio. Ma questo non vuol dire nulla. La guerriglia non consiste in entità monolitiche ma è costituita da un insieme di gruppi autonomi coordinati ma indipendenti, i cui capi hanno un potere quasi assoluto sulla zona sottoposta al loro controllo. Anche le squadre paramilitari di autodifesa hanno una struttura simile.
Sembra la descrizione di un sistema feudale...
CASTRILLÓN HOYOS: In effetti può capire la Colombia chi conosce il Medioevo feudale, con il suo sistema di signori e signorotti padroni assoluti a casa loro, con un potere centrale lontano e spesso ininfluente.
Vede una via d’uscita da questa situazione?
CASTRILLÓN HOYOS: Questi guerriglieri, questi paramilitari non sono personaggi dei fumetti, sono uomini come noi, hanno anche loro paura, avvertono stanchezza, nutrono sentimenti, non sono extraterrestri. Possono cambiare. Anche nei cuori più induriti può balenare una scintilla di umanità, una scintilla di fede. E poi nel passato della Colombia ci sono stati periodi turbolenti che si sono conclusi con degli accordi tra i capi delle fazioni in lotta.
Ma oggi i capifazione da mettere d’accordo sembrano un po’ troppi...
Monsignor Duarte

Monsignor Duarte

CASTRILLÓN HOYOS: In effetti gli interlocutori da coinvolgere sarebbero molti. I molti che si sono impadroniti di pezzi di Paese. Bisognerebbe fare un lavoro molto capillare di dialogo, di trattativa. Ed è estremamente difficile, in un Paese che malgrado tutto è di grande cultura politica e democratica. In cui il presidente non può offrire a nessuno niente dal punto di vista giudiziario, che è competenza della magistratura; in cui il giudice non può che rispettare le leggi che però non fa lui; in cui i deputati e i senatori legiferano non ognuno a suo modo ma ciascuno in accordo con i propri gruppi parlamentari. Paradossalmente c’è chi pensa che il sistema giuridico attuale non permetta, chiunque sia il presidente, una soluzione vera e soddisfacente della crisi. Il percorso costituzionale non è facile e non può diminuire i tempi per un cambiamento delle leggi e quindi c’è chi pensa che con un dittatore, con una guida carismatica, coinvolgendo personalità civili e militari, la soluzione potrebbe sembrare più facile...
In questo quadro si situa il “Plan Colombia”, nato nel ’99 con un accordo tra il presidente Usa Bill Clinton e quello colombiano Andrés Pastrana e approvato dal Congresso statunitense nell’autunno del 2000...
CASTRILLÓN HOYOS: Il “Plan Colombia” è molto importante perché senza combattere il narcotraffico è difficile affrontare la guerriglia e i paramilitari che si autofinanziano con il commercio della coca. Combattere il narcotraffico è necessario, ma non è sufficiente. Bisogna recuperare in qualche modo le decine di migliaia di guerriglieri e paramilitari che non essendo stati sconfitti militarmente e non avendo gli utili del narcotraffico si scatenano in altre attività criminali, ad esempio nei sequestri. E poi ci deve essere una alternativa economica a chi coltiva la coca...
Non sono esperto in politica internazionale ma credo inoltre che il governo statunitense goda del sostegno interno non per un intervento armato risolutivo, ma solo per la lotta specifica contro la droga, problema che sta a cuore a molte famiglie americane che si ritrovano con figli tossicodipendenti. Ma noi non possiamo essere i soli a pagare per la salute del popolo americano (per i colombiani la droga è un “lusso” inaccessibile). In Colombia poi un intervento armato statunitense susciterebbe perplessità. Il ricordo della separazione di Panama dalla Colombia, fomentata dagli Usa all’inizio del secolo scorso, è ancora vivo. E non credo che i colombiani siano disposti ad ulteriori divisioni del Paese come si trattasse di una nuova Iugoslavia.





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