Intervista con Rémi Brague
Battezzati. Non militanti
«Vedo in atto un forte processo di clericalizzazione. Se ripenso agli anni Cinquanta e Sessanta, c’erano Gilson, Maritain. C’era ancora Claudel, c’era Mauriac… Uomini liberi come Gilson, Maritain… non esistono più nella vita culturale. Quando i media devono parlare della Chiesa, fanno domande a qualche ecclesiastico»
Intervista con Rémi Brague di Gianni Valente
Se c’è una cosa
di cui ringrazia Dio, è quella di non essere un intellettuale di
corte. Soprattutto di corte ecclesiastica. Anche per questo a Rémi
Brague, professore di Filosofia medievale alla Sorbona e alla
Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, riesce facile
smantellare con nonchalance consolidati cliché. Dicendo cose semplici e chiare che valgono in Francia, ma
anche in tanti altri posti.
Professore, come sta la Chiesa in Francia?
C’è chi dice che è morta, e chi dice che va tutto bene.
RÉMI BRAGUE: Il problema è che anche in Francia per decenni si sono confusi e identificati i cristiani coi militanti, i battezzati con i gruppi di pressione. Quello che dicono i gruppi di pressione viene presentato come la voce della Chiesa e del popolo cristiano. I discorsi e le parole d’ordine di queste lobbycontinuano a imperversare sui media, con una specie di gioco dello specchio: i media non interpellano altro che i rappresentanti di questi gruppi di pressione, che a loro volta rispondono secondo il copione già predisposto per loro nel racconto mediatico della realtà.
Ma al di là delle sigle e delle loro recite, come stanno le cose?
BRAGUE: La realtà effettuale delle cose è forse più grave di quello che dicono certi gruppi di pressione – che tendono sempre a celebrarsi come “villaggi Potëmkin”, luoghi di cartapesta dove si dice che tutto va alla perfezione – ma allo stesso tempo è meno grave di come talvolta la descrivono i media. Che anche per pigrizia continuano a ripetere che in Francia il cristianesimo è finito. Non mi inquietano più di tanto. Lo dicevano già nelle loro conversazioni i filosofi e gli intellettuali del XVIII secolo. Abbiamo sentito lo stesso refrain per tutto il XIX secolo.
Il cardinal Danneels, parlando proprio della visita del Papa in Francia, ha ripreso la definizione di “chrétiens ordinaires”, dicendo che «Il cristianesimo sarà “generico”, o non sarà.».
BRAGUE: Io frequento soprattutto ambienti intellettuali e accademici, e perciò vivo come dentro a una bolla. Mi sembra che sia innegabile un calo delle pratiche più semplici della vita cristiana, nonostante il gran darsi da fare e le buone qualità di tanti bravi preti. Proprio la classe intellettuale di cui faccio parte dovrebbe battersi il petto, per la spocchia con cui in tante situazioni si è burlata della fede apostolica confessata in semplicità da tanti cristiani “ordinari”.
Certe volte sembra che la testimonianza cristiana sia questione di “protagonismo” ecclesiale.
BRAGUE: Vedo in atto un forte processo di clericalizzazione. Se ripenso agli anni Cinquanta e Sessanta, c’erano Gilson, Maritain. C’era ancora Claudel, c’era Mauriac… Uomini liberi così non esistono più nella vita culturale francese. Quando i media devono parlare della Chiesa, fanno domande a qualche ecclesiastico. La Chiesa viene identificata con il clero. Così sembra che i vescovi e i cardinali siano portavoce di un’azienda. Per quello che possono, fanno anche bene il mestiere, ma il problema è che non è il loro mestiere. Le Conferenze episcopali hanno la propensione a occuparsi di questioni che non le riguardano, su cui non hanno alcun titolo e alcuna competenza. Una cosa positiva è che i giovani preti mi sembrano più liberi da complessi. Mi sembra che non perdano troppo tempo a porsi questioni astruse e oziose, su come “prendere posizione” davanti a tutto. Vivono senza complessi, forse anche troppo tranquilli, ma sono comunque contento di vederli così, non contratti, andare avanti con serenità col poco che hanno, in tempi di penuria.
Anche in Francia ha fatto discutere la remissione della scomunica ai lefebvriani. Lei risulta essere il secondo firmatario della petizione al Papa lanciata dal settimanale cattolico La Vie già il 27 gennaio, in cui si chiedeva di prendere ogni distanza possibile dalle teorie negazioniste di Williamson.
BRAGUE: Considero del tutto positiva la scelta del Papa di revocare la scomunica. Ha detto ai lefebvriani: le porte sono aperte, se volete entrate. La storia della Francia dimostra che è meglio riassorbire le ferite finché si è in tempo, perché poi rischiano di cronicizzarsi. Qui ci sono tanti piccoli scismi. Pensi, a Lione e nello Charolais ci sono ancora i seguaci della Petite Église, la piccola Chiesa scismatica nata dai vescovi che rifiutarono il Concordato del 1801. E ci sono i vecchi cattolici, nati dallo scisma che rifiutò l’infallibilità pontificia così come era stata definita dal Concilio Vaticano I. Ho firmato l’appello perché temevo da subito – era facile prevederlo – che si sarebbe prodotto un terribile cortocircuito. Che i media avrebbero presentato le cose come se il Papa flirtasse coi negazionisti.
Come giudica le reazioni più critiche davanti
alla decisione del Papa?
BRAGUE: Molti, ormai, considerano la Chiesa come un partito, e reclamano che la linea del partito-Chiesa sia ben ferma. Ma la Chiesa sono persone, non è un partito né un’azienda di servizi. Forse questa tolleranza verso persone legate alla sensibilità liturgica di prima del Concilio si capirebbe meglio nelle intenzioni del Papa se venisse per così dire relativizzata, mostrando che la stessa apertura e disponibilità vale verso altre situazioni e altre realtà, come quella dei vescovi cinesi che per decenni hanno dovuto convivere con un regime ostile, e meritano rispetto per questo, e non sospetti.
Insomma, l’eventuale ritorno alla comunione con Roma dei lefebvriani non comporterà un revival in chiave postmoderna delle nostalgie da ancien régime?
BRAGUE: Io credo che bisogna sempre tener presenti con gratitudine le distinzioni tradizionali tra politica e religione, Chiesa e potere civile. La mitizzazione della condizione della Chiesa ai tempi dell’ancien régime è del tutto fuori luogo. L’ancien régime è una storia di conflitti costanti tra papato e impero, e tra la tendenza gallicana e l’ultramontanismo, che hanno solo appesantito e reso opaca la Chiesa, che realizza tanto meglio il suo compito quanto più è trasparente di Cristo.
Anche oggi torna di continuo la discussione su come immaginare il rapporto tra la Chiesa e il mondo.
BRAGUE: Su questo punto bisogna tener ben presente una
Rémi Brague [© Romano Siciliani]
RÉMI BRAGUE: Il problema è che anche in Francia per decenni si sono confusi e identificati i cristiani coi militanti, i battezzati con i gruppi di pressione. Quello che dicono i gruppi di pressione viene presentato come la voce della Chiesa e del popolo cristiano. I discorsi e le parole d’ordine di queste lobbycontinuano a imperversare sui media, con una specie di gioco dello specchio: i media non interpellano altro che i rappresentanti di questi gruppi di pressione, che a loro volta rispondono secondo il copione già predisposto per loro nel racconto mediatico della realtà.
Ma al di là delle sigle e delle loro recite, come stanno le cose?
BRAGUE: La realtà effettuale delle cose è forse più grave di quello che dicono certi gruppi di pressione – che tendono sempre a celebrarsi come “villaggi Potëmkin”, luoghi di cartapesta dove si dice che tutto va alla perfezione – ma allo stesso tempo è meno grave di come talvolta la descrivono i media. Che anche per pigrizia continuano a ripetere che in Francia il cristianesimo è finito. Non mi inquietano più di tanto. Lo dicevano già nelle loro conversazioni i filosofi e gli intellettuali del XVIII secolo. Abbiamo sentito lo stesso refrain per tutto il XIX secolo.
Il cardinal Danneels, parlando proprio della visita del Papa in Francia, ha ripreso la definizione di “chrétiens ordinaires”, dicendo che «Il cristianesimo sarà “generico”, o non sarà.».
BRAGUE: Io frequento soprattutto ambienti intellettuali e accademici, e perciò vivo come dentro a una bolla. Mi sembra che sia innegabile un calo delle pratiche più semplici della vita cristiana, nonostante il gran darsi da fare e le buone qualità di tanti bravi preti. Proprio la classe intellettuale di cui faccio parte dovrebbe battersi il petto, per la spocchia con cui in tante situazioni si è burlata della fede apostolica confessata in semplicità da tanti cristiani “ordinari”.
Certe volte sembra che la testimonianza cristiana sia questione di “protagonismo” ecclesiale.
BRAGUE: Vedo in atto un forte processo di clericalizzazione. Se ripenso agli anni Cinquanta e Sessanta, c’erano Gilson, Maritain. C’era ancora Claudel, c’era Mauriac… Uomini liberi così non esistono più nella vita culturale francese. Quando i media devono parlare della Chiesa, fanno domande a qualche ecclesiastico. La Chiesa viene identificata con il clero. Così sembra che i vescovi e i cardinali siano portavoce di un’azienda. Per quello che possono, fanno anche bene il mestiere, ma il problema è che non è il loro mestiere. Le Conferenze episcopali hanno la propensione a occuparsi di questioni che non le riguardano, su cui non hanno alcun titolo e alcuna competenza. Una cosa positiva è che i giovani preti mi sembrano più liberi da complessi. Mi sembra che non perdano troppo tempo a porsi questioni astruse e oziose, su come “prendere posizione” davanti a tutto. Vivono senza complessi, forse anche troppo tranquilli, ma sono comunque contento di vederli così, non contratti, andare avanti con serenità col poco che hanno, in tempi di penuria.
Anche in Francia ha fatto discutere la remissione della scomunica ai lefebvriani. Lei risulta essere il secondo firmatario della petizione al Papa lanciata dal settimanale cattolico La Vie già il 27 gennaio, in cui si chiedeva di prendere ogni distanza possibile dalle teorie negazioniste di Williamson.
BRAGUE: Considero del tutto positiva la scelta del Papa di revocare la scomunica. Ha detto ai lefebvriani: le porte sono aperte, se volete entrate. La storia della Francia dimostra che è meglio riassorbire le ferite finché si è in tempo, perché poi rischiano di cronicizzarsi. Qui ci sono tanti piccoli scismi. Pensi, a Lione e nello Charolais ci sono ancora i seguaci della Petite Église, la piccola Chiesa scismatica nata dai vescovi che rifiutarono il Concordato del 1801. E ci sono i vecchi cattolici, nati dallo scisma che rifiutò l’infallibilità pontificia così come era stata definita dal Concilio Vaticano I. Ho firmato l’appello perché temevo da subito – era facile prevederlo – che si sarebbe prodotto un terribile cortocircuito. Che i media avrebbero presentato le cose come se il Papa flirtasse coi negazionisti.
Paolo VI e Jacques Maritain
BRAGUE: Molti, ormai, considerano la Chiesa come un partito, e reclamano che la linea del partito-Chiesa sia ben ferma. Ma la Chiesa sono persone, non è un partito né un’azienda di servizi. Forse questa tolleranza verso persone legate alla sensibilità liturgica di prima del Concilio si capirebbe meglio nelle intenzioni del Papa se venisse per così dire relativizzata, mostrando che la stessa apertura e disponibilità vale verso altre situazioni e altre realtà, come quella dei vescovi cinesi che per decenni hanno dovuto convivere con un regime ostile, e meritano rispetto per questo, e non sospetti.
Insomma, l’eventuale ritorno alla comunione con Roma dei lefebvriani non comporterà un revival in chiave postmoderna delle nostalgie da ancien régime?
BRAGUE: Io credo che bisogna sempre tener presenti con gratitudine le distinzioni tradizionali tra politica e religione, Chiesa e potere civile. La mitizzazione della condizione della Chiesa ai tempi dell’ancien régime è del tutto fuori luogo. L’ancien régime è una storia di conflitti costanti tra papato e impero, e tra la tendenza gallicana e l’ultramontanismo, che hanno solo appesantito e reso opaca la Chiesa, che realizza tanto meglio il suo compito quanto più è trasparente di Cristo.
Anche oggi torna di continuo la discussione su come immaginare il rapporto tra la Chiesa e il mondo.
BRAGUE: Su questo punto bisogna tener ben presente una