Ecce crucem domini: fugite partes adversae...
Il ciclo apocalittico affrescato nella cripta della cattedrale di Anagni raffigura a un tempo l’accaduta vittoria di Cristo e la sua guerra ancora in corso contro la guerra, l’inferno e la morte
di Lorenzo Cappelletti
Il catino dell’abside principale della cripta di Anagni con al centro l’Agnello apocalittico circondato dai quattro viventi e dai ventiquattro vegliardi
La parola "apocalisse", come sa anche chi abbia una semplice infarinatura di Sacra Scrittura, significa rivelazione, una dimostrazione, uno svelarsi. "Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere", recita il primo versetto Apocalittici o integrati? Di fronte a questa alternativa per nulla alternativa fra lutopia e lacquiescenza, lApocalisse da sempre pretende gettare una luce più vera sulle vicende della storia: un punto di vista incommensurabile eppure supremamente realistico, né apocalittico né integrato. Oggi di fronte ai tamburi di una guerra più grande di noi, ne sentiamo più che mai la necessità.
La parola "apocalisse", come sa anche chi abbia una semplice infarinatura di Sacra Scrittura, significa rivelazione, una dimostrazione, uno svelarsi. "Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere", recita il primo versetto programmatico, ripreso quasi identico in chiusura (Ap 1,1 e 22,6). Gesù Cristo, "il testimone fedele, il primogenito dei morti e principe dei re della terra" (Ap 1,5), dopo la sua vittoria mostra allapostolo Giovanni, che viene "rapito in estasi" al di fuori della storia, ciò che davvero accade in essa. Come scriveva il grande esegeta Heinrich Schlier allinizio di un noto saggio sullApocalisse (che abbiamo ripercorso qualche anno fa: cfr. 30Giorni n. 5, maggio 1995, pp. 64-70): "lApocalisse di Giovanni è lunico libro del Nuovo Testamento che abbia per tema la storia. È perciò meditando su di essa che si è essenzialmente sviluppata la riflessione cristiana intorno alla storia". Riflessione espressa lungo i secoli non solo attraverso le parole, ma anche con immagini e colori.
Nella volta soprastante l’arco absidale, gli angeli posti ai quattro angoli della terra trattengono i venti di distruzione e dai ventiquattro vegliardi
Proprio perché vuole essere una lettura del tempo della Chiesa come tempo finale sub gratia e non limmagine del superamento di tale tempo, il ciclo apocalittico anagnino è fatto solo di scene tratte dai primi dodici capitoli di Apocalisse, e, dei suoi successivi tre settenari (dei sigilli, delle trombe e delle coppe), sceglie di rappresentare solo quello dei sigilli, fermandosi alle soglie dellapertura del settimo. Sceglie di fermarsi cioè alla proclamazione del giudizio, non si interessa di investigare negli aspetti più immaginifici della promulgazione e della esecuzione di esso. (Probabilmente non si erano perfezionati ancora quegli "strumenti politici e spirituali pieni di potenza e di degenerazione" [Schlier] che oggi sembrano realizzare alla lettera alcune profetiche visioni dei capitoli 13-18 di Apocalisse).
Così, in una versione pittorica piena di grazia, è rappresentata con suprema compostezza linesorabilità della vittoria riportata da Gesù Cristo insieme agli elementi di una lotta che, certo, si combatte ancora ma che non può far più paura. Infatti ad Anagni la guerra e la morte (Ap 6,4-8) sbarrano gli occhi impaurite, gli astri che mutano colore (Ap 6,12) sono due palline sottoposte al soffio pacato di un angelo, il drago dalle dieci corna (Ap 12,3) è un draghetto sotto i piedi di un soave arcangelo, mentre tutto lonore, la forza e la bellezza sono riservati a Colui che siede sul trono e allAgnello e a coloro che condividono la sua vittoria e portano la corona regale dei vincitori, ai ventiquattro vegliardi, ai vergini e ai martiri allineati in bellordine quasi musicale.
Cristo
è il mostrarsi
di una forza vittoriosa
sul mondo
Al centro di tutto il programma pittorico, nel cuore del catino absidale, in mezzo ai quattro esseri viventi e ai ventiquattro vegliardi, sta il vincitore, lAgnello nellatto di aprire i sette sigilli che chiudevano il libro che nessuno prima della sua vittoria era in grado di aprire. Cosa che faceva piangere Giovanni, e che fa piangere sempre di nuovo anche noi di fronte al mistero umanamente inesplicabile della storia. Ma "ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di David e aprirà il libro" (Ap 5,5), si legge sulle pagine spalancate del libro. Non piangere più!
A destra e a sinistra dellabside centrale, su un atipico arco trionfale e su volte e archi ad esso adiacenti, sono rappresentate le scene che corrispondono allapertura dei singoli sigilli. A partire, a destra, dalla rappresentazione dei quattro cavalieri, che fuoriescono allapertura dei primi quattro sigilli. Cavalieri ben poco apocalittici, nel senso che non fungono da simbolo di quattro forze equivalenti e sovrane di distruzione. Quasi che lo svelamento finale coincida con una finale distruzione, quasi che il fine sia la fine. No. A differenza di quello che continua a dire una critica timorosa finanche di osservare la realtà, tanto ha paura di perdersi perdendo i suoi preconcetti, si tratta in realtà, secondo linterpretazione tradizionale basata sul coordinamento dei versetti Ap 6,1-2 con Ap 19,11-16, della lotta instaurata dal primo cavaliere contro gli altri tre. Il primo dei quattro cavalieri (che monta un cavallo bianco, è coronato e dotato di un arco, secondo la lettera di Ap 6,2) è anche rivestito di un mantello, rosso del suo stesso sangue, ed è circondato dallaureola della gloria divina, secondo la lettera di Ap 19,13: è il Verbo di Dio, il Re dei Re, il Signore dei Signori che, secondo quel che recita la Vulgata (Ap 6,2), exivit vincens ut vinceret, è uscito vittorioso per vincere quel che resta da vincere. Cristo ha vinto, è Cristo che vince ancora. "Da dove uscì se non dal sigillo aperto?" scriveva Ambrogio Autperto, labate del grande monastero carolingio di San Vincenzo al Volturno, la cui cri_ta racchiude un altro stupendo ciclo affrescato altomedievale ispirato al suo commento sullApocalisse. Il cavallo bianco infatti sembra quasi uscire dallabside principale, dove lAgnello apre i sigilli, e sta per scoccare una freccia in direzione del secondo cavaliere che fuggendo si volta atterrito.
Per il primo cavaliere si tratta di dare corso a una inesorabile vittoria. Il cavallo è al passo, nessuna concitazione nel tendere larco, fermezza, ma nessuna aggressività nello sguardo. Al secondo cavaliere non rimane che galoppare via. Non è la guerra ad atterrire, è essa che appare atterrita e deve fuggire roteando a difesa lo spadone con le due mani. Ma lo spadone, per quanto mastodontico, non difende, e infatti gli era stato concesso per loffesa, per "togliere la pace dalla terra in modo che gli uomini si scannino gli uni con gli altri" (Ap 6,4). Come difendersi ora contro una freccia?
Nel taglio basso dello stesso riquadro anche la morte ha lo stesso sguardo atterrito della guerra. Cavalca via al galoppo su un cavallo di colore terreo inseguita dal demonio nudo e alato, che cavalca lo scuro inferno reggendo una grande bilancia che pesa senza pietà. Come la guerra è inseguita e cerca di fuggire davanti al Re vittorioso, così la morte è inseguita e tenta di sfuggire allinferno, alla seconda morte. Chi ha programmato il ciclo spiega diligentemente, con un verso trascritto al di sotto del riquadro, che si tratta di due coppie di cavalieri: Has per picturas bis binas disce figuras (a due a due comprendi le figure rappresentate in queste pitture). Ma il parallelo è parziale: anche linferno e la morte sono a loro volta inseguiti dal primo cavaliere: il loro destino è quello di finire nello stagno di fuoco (Ap 20,14).
Allopposto, dunque, di un panorama di distruzione e di paura che tutto travolge (con cui comunemente si designa la concezione apocalittica del pieno Medioevo e che invece coincide semmai col successivo prevalere della lettura millenaristica e gnosticheggiante mutuata da Gioacchino), qui siamo di fronte alla rappresentazione di una forza vittoriosa sul mondo che, vincendo ancora, protegge anzitutto la pace.
Questo tema prosegue e si precisa nella volta che sovrasta la rappresentazione dei quattro cavalieri. Qui quattro angeli, posti ai quattro lati di un riquadro punteggiato da spore, atterrano quattro figure cornute e alate. Non si tratta della allegorica lotta del bene e del male, come tante volte la critica ha ripetuto credendo realtà i fantasmi della sua precomprensione manichea, ma della salvaguardia dai venti di distruzione delle condizioni che permettono la vita su questa terra, secondo la lettera di Ap 7,1. Come la pace, così la realtà naturale è preservata dal Re vittorioso e misericordioso: u, victor Rex, miserere. Quale distanza fra la lettera di Apocalisse e le allucinate elucubrazioni che pretende assegnarle chi ha in testa fantasmi e lodio nel cuore: "Vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti perché non soffiassero sulla terra né sul mare né su alcuna pianta. Vidi poi un altro angelo che saliva dalloriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli a cui era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: "Non devastate né la terra né il mare né le piante finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi"" (Ap 7,1-2). In effetti un altro angelo, quasi salendo dalla spalla dellarco sottostante, indica un cartiglio contenente quelle parole e regge una croce astile da cui pendono lalpha e lomega.
La volta VIII che raffigura la promessa (che Abramo riceve dopo la benedizione di Melchisedec rappresentata nella volta adiacente) di una discendenza numerosa come le stelle del cielo
Più volte (almeno tre) ritorna nella cripta anagnina il sigillo battesimale in forma di monogramma del nome di Cristo, eppure nessun critico lo ha mai ritenuto degno di nota. Quasi che la promessa fatta ad Abramo di essere padre di molti popoli, di una discendenza grande quanto le stelle del cielo (neanche questa promessa, daltra parte, è mai stata riconosciuta dalla critica nella volta VIII di Anagni, facendo saltare tutto il "meccanismo" del cristianesimo, direbbe Péguy), abbia compimento in qualcosa daltro che non sia il battesimo; come a Gerusalemme Gesù bisbigliò quella notte a Nicodemo e come Pietro ripeté ad alta voce dopo la morte e la resurrezione del Signore: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore" (At 2,38s).
Un tempo breve
Simmetricamente rispetto a questo complesso di scene, sullaltra parte dellarco trionfale che incornicia labside principale, viene rappresentata lapertura del quinto e del sesto sigillo.
Il tempo è dato ancora, non solo perché siano segnati col sigillo battesimale quanti ne chiamerà il Signore, ma anche perché sia completato il numero di coloro che devono essere uccisi propter Verbum Dei et propter testimonium quod habebant. Infatti, alle anime di coloro che furono immolati, che hanno cioè ricevuto il battesimo di sangue nel martirio, e che gridano che giustizia finalmente sia fatta, viene detto "di pazientare ancora un poco [tempus modicum] finché sia completato il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro" (Ap 6,11). Perché possano pazientare, Colui che siede sul trono le riveste intanto di stole di gloria rese candide nel sangue dellAgnello. Ricevutele, potranno attendere nella pace che altri vengano a completare il numero dei martiri, affrettando così il riscatto definitivo.
l tempo dellattesa è comunque breve, è comunque un tempus modicum il tempo della storia: "Il Signore non ritarda il compimento della sua promessa [...]. Questo breve intervallo di tempo a noi sembra lungo perché dura ancora; allorché sarà finito, ci accorgeremo quanto sia stato breve" (santAgostino, Commento al vangelo di Giovanni 101,6). Il tempo ormai si è fatto breve dopo la vittoria di Cristo. Infatti, allapertura del sesto sigillo, il sole e la luna sulla fronte dellarco di sinistra cambiano colore e un angelo si accinge a soffiare un vento che precipita le stelle dal cielo come fa la bufera con i fichi dalla pianta; e un altro angelo reca lincensiere doro attraverso cui, come sale il profumo delle preghiere dei santi, scenderà di lì a poco sulla terra il fuoco dellira di Colui che siede sul trono e dellAgnello.
Se la brevità del tempo esercita la pazienza di coloro che aspettano giustizia, suscita invece nel drago una "rabbiosa volontà di potenza che nasce dallansia del tempo che gli sfugge", scriveva Schlier nel saggio citato. Accanto al drago dellabsidiola di destra, un tempo era anche ad Anagni, come nello stupendo affresco della controfacciata della chiesa di Civate sul monte Pedale non lontano da Lecco, una raffigurazione ora perduta dellAscensione del Signore, cioè di quello che lApocalisse chiama "il rapimento del figlio verso Dio e il suo trono" (cfr. Ap 12, 5). È infatti "con lAscensione di Gesù Cristo al cielo" continua Schlier "che il drago, figura ideale di ciò che è satanico, dellassoluta potenza dellegoismo, vien gettato a terra".
La raffigurazione dell’apertura del quinto sigillo: Gesù Cristo dona le stole della gloria alle anime dei martiri
Ma non sono solo i martiri a morire cioè a svelare in modo reale, come scrive Schlier, "lanacronismo di un mondo che ancora adesso pretende di affermare se stesso" e, con la loro morte, "a rendere accessibile, anche ai loro nemici, il futuro dischiuso da Cristo". Anche i vergini muoiono, obbedendo. A loro è dedicata tutta la zona dellabsidiola di sinistra attorno a Maria, Vergine dei vergini. Te nimis implorant virgo iubilant et adorant. Dum tibi subduntur natum moriendo secuntur. Questi versi, che riecheggiano linno ambrosiano "Iesu corona virginum", corrono nellabsidiola di sinistra sulla fascia che divide la Madonna col bambino (attorniata da due sante vergini e dai due Giovanni, in alto), dalla storia di verginità e martirio di Secondina, in basso. "Quanto ti implorano, quanto ti lodano e ti venerano, o Vergine. Mentre a te si sottomettono, morendo seguono il tuo Figlio". Che poi è quanto desidera e vive qualunque povero peccatore né vergine né martire che, partecipe del vittorioso amore di Cristo, ha guardato per secoli pentito e devoto i volti della cripta di Anagni. "Quando penso che un uomo, un giovane, un individuo, non può sposare una donna se non per amore di Cristo mi pare di aver già detto questa frase: se non per lamore di Cristo , quando si dice questo, si sente tutta limmensità immensità vuol dire non commensurabile , lincommensurabilità di un punto di vista, che è il punto di vista, ma anche il punto di rinascita, di nascita della rinascita".