Archivio di 30Giorni
Introduzione
di Paolo Mattei
La rubrica “Nova et
vetera” ospita in questo numero due articoli ancora a firma di
Lorenzo Cappelletti: L’antica storia di
Nabuth si ripete quotidianamente e L’imperialismo internazionale del denaro. Li accomuna la tematica sociale.
Pubblicati rispettivamente nel 1996 e nel 2001 si direbbero, secondo i canoni odierni, abbondantemente datati, ma la loro attualità, stante la crisi mondiale tuttora in corso, è di tutta evidenza. Tanto da suggerire la copertina di questo numero di 30Giorni.
All’indomani del crollo delle Torri gemelle, l’11 settembre 2001, il nostro direttore sottolineava in un’intervista, citata in apertura del secondo dei due articoli, «la grande preoccupazione globale per un neocapitalismo fatto solo di capitali senza alcun riferimento a industrie e beni agricoli». Ebbene, oggi tutti constatano che quella grande preoccupazione non era infondata.
Ma non è tanto questa preveggenza che ci preme rilevare con la ripubblicazione di questi due articoli.
Quello che ci interessa mostrare, da una parte, è che tale preoccupazione fa parte da sempre della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, cioè, in una parola, del depositum fidei. Papa Benedetto XVI, illustrando nella sua catechesi di mercoledì 22 aprile – che L’Osservatore Romano del giorno dopo ha intitolato La cupidigia alla radice della crisi economica mondiale – la figura di Ambrogio Autperto, lo ha ribadito attraverso alcune citazioni tratte dalle opere di questo monaco medievale, che poi in fin dei conti non fanno che commentare la sacra pagina paolina di 1Tm 6, 10: «L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé stessi tormentati con molti dolori». Anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, qualche giorno prima, in un’intervista, aveva espresso la medesima sollecitudine dicendo che «investimento significa anche essere proporzionati nel salario, che deve garantire al lavoratore non solo la sussistenza ma un futuro in termini di serenità».
Da un’altra parte vogliamo mostrare che tale preoccupazione non si libra nell’aria. Ha davanti un fronte consolidato di potere avverso. Un fronte che potremmo in breve chiamare gnostico, non nel senso stretto, perché faccia cioè evidente riferimento all’antica gnosi, ma in quanto di essa assume sia il disprezzo per tutto ciò che è reale in favore di ciò che è utopico (vedi lo slogan del Sessantotto: “La fantasia al potere”) sia il metodo di occultarsi. Il ministro Tremonti, in un suo libro dello scorso anno che ha fatto scalpore, scriveva: «Come si è già visto in tante rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici, da predicatori partiti con fede teologica alla ricerca del paradiso terrestre» (La paura e la speranza, p. 5). E lo scrittore inglese Jonathan Coe, in un articolo del Corriere della Sera del 12 aprile dal titolo Perché moriremo tatcheriani, scrive: «Ma ora la decisione di tollerare l’avidità, di conviverci e persino di incoraggiarla, si è trasformata in una sorta di pazzia».
Ecco, i due articoli che riproponiamo tratteggiano opere e figure, come quelle di sant’Ambrogio e dei papi Pio XI e Paolo VI, che, come l’apostolo Paolo, hanno denunciato «quell’avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3, 5), e hanno indicato nella preghiera l’inizio sempre possibile della speranza: «Pregate, voi che avete solo questo, cosa che è più preziosa dell’oro e dell’argento».
Pubblicati rispettivamente nel 1996 e nel 2001 si direbbero, secondo i canoni odierni, abbondantemente datati, ma la loro attualità, stante la crisi mondiale tuttora in corso, è di tutta evidenza. Tanto da suggerire la copertina di questo numero di 30Giorni.
All’indomani del crollo delle Torri gemelle, l’11 settembre 2001, il nostro direttore sottolineava in un’intervista, citata in apertura del secondo dei due articoli, «la grande preoccupazione globale per un neocapitalismo fatto solo di capitali senza alcun riferimento a industrie e beni agricoli». Ebbene, oggi tutti constatano che quella grande preoccupazione non era infondata.
Ma non è tanto questa preveggenza che ci preme rilevare con la ripubblicazione di questi due articoli.
Quello che ci interessa mostrare, da una parte, è che tale preoccupazione fa parte da sempre della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, cioè, in una parola, del depositum fidei. Papa Benedetto XVI, illustrando nella sua catechesi di mercoledì 22 aprile – che L’Osservatore Romano del giorno dopo ha intitolato La cupidigia alla radice della crisi economica mondiale – la figura di Ambrogio Autperto, lo ha ribadito attraverso alcune citazioni tratte dalle opere di questo monaco medievale, che poi in fin dei conti non fanno che commentare la sacra pagina paolina di 1Tm 6, 10: «L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé stessi tormentati con molti dolori». Anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, qualche giorno prima, in un’intervista, aveva espresso la medesima sollecitudine dicendo che «investimento significa anche essere proporzionati nel salario, che deve garantire al lavoratore non solo la sussistenza ma un futuro in termini di serenità».
Da un’altra parte vogliamo mostrare che tale preoccupazione non si libra nell’aria. Ha davanti un fronte consolidato di potere avverso. Un fronte che potremmo in breve chiamare gnostico, non nel senso stretto, perché faccia cioè evidente riferimento all’antica gnosi, ma in quanto di essa assume sia il disprezzo per tutto ciò che è reale in favore di ciò che è utopico (vedi lo slogan del Sessantotto: “La fantasia al potere”) sia il metodo di occultarsi. Il ministro Tremonti, in un suo libro dello scorso anno che ha fatto scalpore, scriveva: «Come si è già visto in tante rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici, da predicatori partiti con fede teologica alla ricerca del paradiso terrestre» (La paura e la speranza, p. 5). E lo scrittore inglese Jonathan Coe, in un articolo del Corriere della Sera del 12 aprile dal titolo Perché moriremo tatcheriani, scrive: «Ma ora la decisione di tollerare l’avidità, di conviverci e persino di incoraggiarla, si è trasformata in una sorta di pazzia».
Ecco, i due articoli che riproponiamo tratteggiano opere e figure, come quelle di sant’Ambrogio e dei papi Pio XI e Paolo VI, che, come l’apostolo Paolo, hanno denunciato «quell’avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3, 5), e hanno indicato nella preghiera l’inizio sempre possibile della speranza: «Pregate, voi che avete solo questo, cosa che è più preziosa dell’oro e dell’argento».