Indizi della risurrezione di Gesù
Il Sudario di Oviedo
Nell’antica capitale delle Asturie dall’VIII secolo si conserva, secondo una tradizione, il «Sudario del Signore». Le indagini scientifiche vi hanno riconosciuto macchie di sangue compatibili con quelle della Sindone
di Lorenzo Bianchi
Il Sudario di Oviedo (Asturie, Spagna). Secondo una tradizione, è il telo con cui fu coperto il volto di Gesù durante la deposizione dalla croce e il trasporto al sepolcro. Le macchie di sangue che vi sono impresse sono compatibili, per composizione, tipo di gruppo sanguigno e diffusione geometrica, con quelle presenti sulla Sindone di Torino
La storia
Le notizie che ci sono pervenute sulla sua storia derivano soprattutto dalla medievale ricostruzione fattane nel Liber Testamentorum da Pelagio, vescovo di Oviedo dal 1101 al 1130 (anno in cui fu deposto), morto nel 1153. Egli afferma che il Sudario, proveniente dal sepolcro di Gesù, fu custodito in Gerusalemme insieme ad altre reliquie in un’arca di legno di cedro, che lì rimase fino al tempo della conquista della città per mano dei Persiani di Cosroe II, nel 614, quando un monaco di nome Filippo fuggì portandola ad Alessandria d’Egitto. Giunti anche qui i Persiani nel 616, Filippo portò l’arca dal Nord Africa nella penisola iberica, consegnandola a san Fulgenzio, vescovo di Ecija, che la diede al fratello san Leandro, vescovo di Siviglia (in realtà Leandro morì verso il 600). Sant’Isidoro, anch’egli fratello di Leandro e suo successore, la donò al suo allievo sant’Ildefonso (607-667), che, quando nel 657 fu consacrato vescovo di Toledo, la portò con sé nella capitale del regno ispano-visigotico.
A queste notizie di Pelagio possiamo aggiungere un riferimento fatto al «sudario del sepolcro di Cristo» nel 570 dal pellegrino Antonino di Piacenza, che ne conosceva la collocazione nella grotta di un monastero sulle rive del fiume Giordano, nei pressi di Gerico (ma non dice di averlo visto); mentre san Braulio, vescovo di Saragozza dal 631 al 651, parla del suo ritrovamento (non è chiaro dove, ma probabilmente in Spagna). Un altro pellegrino invece, il vescovo Algulfo, dice di aver visto il Sudario a Gerusalemme nel 670.
Sempre secondo Pelagio, da Toledo, per timore degli Arabi che avevano iniziato l’invasione della Spagna nel 711, il Sudario e le altre reliquie, riposti in una nuova arca di rovere, furono trasferiti direttamente a Oviedo, nelle Asturie. Un’altra tradizione, forse più attendibile, dice invece che in quest’occasione sudario e reliquie furono nascosti in un eremitaggio sul Monsacro, una montagna a dieci chilometri da Oviedo. Solo verso l’840 il re di Asturia Alfonso II il Casto (791-842) le avrebbe portate a Oviedo: fece per questo costruire all’interno del suo palazzo la “Cámara Santa” (Camera Sacra), una cappella che da allora accoglie l’arca con le reliquie (attualmente la cappella è incorporata all’interno della Cattedrale gotica di San Salvador, costruita nel XIV secolo).
Dopo una possibile apertura dell’arca avvenuta forse nei primi decenni dell’XI secolo, un documento del 14 marzo 1075 (di cui si conserva una copia del XIII secolo nell’archivio della Cattedrale di Oviedo) ci attesta una ricognizione avvenuta il giorno precedente alla presenza del re di Castiglia e León Alfonso VI (1065-1109) e ci fornisce il primo inventario del contenuto, con l’espressa menzione «de Sudario eius [Domini]». Menzione che appare anche sul rivestimento d’argento dell’arca, ordinato dallo stesso Alfonso VI e realizzato, qualche anno dopo la sua morte, come testimonia la data incisa sul metallo (1113).
Una ulteriore ricognizione del contenuto dell’arca avvenne al tempo del vescovo Diego Aponte de Quiñones (1585-1598) quando il re Filippo II ordinò un nuovo inventario delle reliquie al suo inviato Ambrogio de Morales.
Dunque la storia del Sudario, risalendo in sostanza a una testimonianza molta tarda (pieno XII secolo), sembrerebbe avere non molti requisiti di attendibilità. Eppure, contro ogni aspettativa, le ricerche scientifiche non l’hanno contraddetta, ma anzi rafforzata.
La Cattedrale di San Salvador di Oviedo (XIV secolo), che include la “Cámara Santa” entro la quale è custodita l’arca che racchiude le reliquie pervenute a Oviedo nell’VIII secolo, fra le quali il “Sudario del sepolcro di Cristo”
I primi studi sul Sudario si devono, a partire dal 1965, a monsignor Giulio Ricci, che ne fece presenti alcune analogie con la Sindone, del cui studio aveva molta esperienza. Le più recenti indagini (l’ultimo convegno internazionale di studi sul Sudario si è tenuto a Oviedo nell’aprile del 2007), che tuttora proseguono a opera dell’Edices (Equipo de investigación del Centro español de Sindonología), hanno innanzitutto potuto accertare che il panno fu posto sul viso di un uomo, già morto, ripiegato e appuntato dietro alla testa. Una quadruplice serie di macchie, speculari su entrambi i lati del panno ripiegato, è risultata essere composta in realtà da una parte di sangue e da sei parti di liquido edematico polmonare, sostanza che si accumula nei polmoni a causa della morte per soffocamento, come quella che avviene in seguito a una crocifissione. L’uomo cui appartiene il sangue presente sul Sudario di Oviedo è dunque morto per le stesse cause dell’uomo della Sindone. Alcune macchie sono sovrapposte ad altre in modo tale da risultare chiaro che queste ultime erano già asciutte quando si formarono quelle che vi si sovrapposero, e dunque gli studiosi hanno potuto anche stabilire che il Sudario fu apposto sul volto del defunto almeno in due distinti momenti. Tra le macchie si distinguono anche impronte di dita, disposte nella parte attorno alla bocca e al naso, lasciate probabilmente da chi stava cercando di arrestare il flusso di sangue dal naso dopo che il panno era stato avvolto sul capo. Oltre alle macchie di liquido edematico se ne riconoscono altre di diverso tipo, tra cui puntini di sangue causati da piccoli corpi appuntiti, forse spine.
Ma la coincidenza più notevole è che le macchie sul Sudario hanno mostrato corrispondenza geometrica con quelle della Sindone, delle quali inoltre sono un poco più estese. L’impronta del naso, misurabile sia sulla Sindone che sul Sudario, risulta avere la medesima lunghezza di otto centimetri. Indagini compiute nel 1985 e poi di nuovo nel 1993 hanno dimostrato che il sangue del Sudario di Oviedo appartiene al gruppo AB, comune in Medio Oriente ma raro in Europa, lo stesso rilevato per il sangue presente sulla Sindone. Non hanno dato esito invece l’indagine sul Dna, risultato troppo frammentato e quindi inutilizzabile, e quella del carbonio 14, che ha dato una datazione al VII secolo d.C. considerata però inattendibile dagli stessi esecutori del test a causa dell’eccessivo inquinamento dei campioni.
Al Medio Oriente rimandano, come già per la Sindone, anche i pollini rinvenuti sul Sudario, studiati nel 1979 dal biologo Max Frei, che risultano compatibili con l’ambiente palestinese del I secolo. In particolare, egli trovò tracce di pollini provenienti da sei tipi di piante diverse. Due erano piante caratteristiche della Palestina: quercus calliprinos e tamarindus. Gli altri pollini provenivano dal Nord Africa e dalla Spagna, confermando inaspettatamente l’itinerario del Sudario e l’immagine negativa che invece appare sulla Sindone, dove sappiamo essersi formata in un momento successivo alle macchie di sangue. Tenendo conto di quanto si è potuto osservare, si è fatta dunque l’ipotesi che il Sudario di Oviedo possa essere il telo che servì, secondo l’usanza ebraica, a coprire il volto di Gesù nel trasporto dalla croce al sepolcro, ma che fu tolto dal volto prima che questo venisse ricoperto con la Sindone; e che, proprio perché intriso di sangue, dovette essere lasciato (secondo le prescrizioni funebri ebraiche) nel sepolcro. Non possiamo però comunque stabilire se sia questo il sudario che Giovanni vide e di cui parla nel Vangelo.
Esiste un altro oggetto che mostra notevolissime corrispondenze geometriche sia con la Sindone di Torino che con il Sudario di Oviedo: il Volto Santo di Manoppello.