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COLLEGI ECCLESIASTICI DI ROMA
tratto dal n. 04 - 2009

IL PONTIFICIO COLLEGIO PIO BRASILIANO

La fucina dei vescovi del Brasile


In settantacinque anni di storia, nel Pontificio Collegio Pio Brasiliano sono passati quasi duemila studenti. Tra questi, più di cento sono stati nominati vescovi. Qui ha vissuto dom Luciano Mendes de Almeida negli anni trascorsi a Roma. E Agostino Bea scelse di abitarvi dal 1959, anno della sua nomina a cardinale. Incontro con gli attuali ospiti del Pio Brasiliano


di Pina Baglioni


Educatori e allievi del Collegio Pio Brasiliano il giorno dell’inaugurazione, il 3 aprile 1934 [© Pontificio Collegio Pio Brasiliano]

Educatori e allievi del Collegio Pio Brasiliano il giorno dell’inaugurazione, il 3 aprile 1934 [© Pontificio Collegio Pio Brasiliano]

La prima ad arrivare era stata la Madonnina di gesso, quando il Collegio era ancora vuoto, con i calcinacci da rimuovere e gli scatoloni sparsi dappertutto. A portarsi dietro la statuetta che oggi se ne sta un po’ defilata in un angolo del ballatoio che porta al primo piano, erano stati padre Angelo Contessoto, rettore designato del futuro Collegio, padre José Pianella, fratel Nicolau Conrath e fratel Riccardo Marchi. Dopo due settimane di viaggio in nave, via Santos-Genova, erano arrivati a Roma il 22 settembre del 1933. «Mi ricordo soprattutto di fratel Marchi, un gesuita italiano figlio di emigranti, di 22 anni. Ha vissuto qui per sessant’anni come infermiere, cuoco, falegname, giardiniere: la vera memoria storica di questo posto». Scomparso nel 1992 fratel Marchi, il compito di non disperdere storie grandi e piccole del Pontificio Collegio Pio Brasiliano è stato affidato allo spagnolo padre Félix Pastor, nato a La Coruña, in Galizia, professore emerito di Teologia dogmatica all’Università Gregoriana e prefetto degli studi del Collegio. È figlio di sant’Ignazio di Loyola, come tutti gli altri membri della direzione. «Sto qui dal 1966, dai tempi della mia tesi di laurea, dopo molti anni passati in Brasile e in Germania. Padre Pedro Arrupe [preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983, ndr] m’aveva chiesto di rimanere solo per quattro o cinque anni come direttore spirituale. Ma nel Collegio c’era bisogno di qualcuno che facesse da raccordo tra il sistema formativo delle università pontificie e quello praticato nei seminari brasiliani. Non mi sono più mosso».
Non si contano gli ex alunni del Brasiliano che l’anziano padre gesuita ha assistito, indirizzato, consigliato e che poi hanno raggiunto le più alte vette della gerarchia ecclesiatica: il cardinale Geraldo Majella Agnelo, arcivescovo di São Salvador da Bahia e primate del Brasile, tanto per dirne uno. Oppure il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di San Paolo, che il 17 marzo scorso è venuto a Roma a celebrare la messa, in una delle molte celebrazioni eucaristiche in occasione dei festeggiamenti per il settantacinquesimo anniversario della fondazione del Collegio. Senza contare che anche presidente, vicepresidente e segretario della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani (Cnbb) sono ex allievi. «Qualche piccolo mattoncino l’ho messo anch’io», ammette padre Pastor, elencando altri nomi eccellenti che hanno vissuto qui: Agnelo Rossi, per esempio, creato cardinale da Paolo VI, divenuto poi prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli. E ancora, il cardinale Serafim Fernandes de Araújo, arcivescovo emerito di Belo Horizonte, e il cardinale Lucas Moreira Neves, che fu prefetto della Congregazione per i Vescovi. Anche se il ricordo più affettuoso è per il gesuita Luciano Pedro Mendes de Almeida, scomparso due anni fa, arcivescovo metropolita di Mariana e presidente della Cnbb. «Ha lavorato con noi per alcuni anni: era veramente un grande uomo. Il senatore Andreotti spesso veniva a messa qui per incontrarlo. Mi ricordo che facevano delle lunghe chiacchierate». In una delle decine e decine di stanze disseminate in quest’enorme edificio, è appeso un quadro a olio raffigurante L’ultima cena dipinto da alcuni detenuti del carcere romano di Regina Coeli: un piccolo omaggio per dom Luciano che tanto si era occupato di loro nei suoi anni romani. Ma la lunga galleria delle personalità di spicco comprende anche il gesuita tedesco Agostino Bea. Dal giorno della nomina a cardinale, avvenuta nel 1959, decise di vivere qui per via del grande affetto che nutriva per il Brasile, sin dai tempi della missione tedesca nel sud del Paese. «Ma questo Collegio ha offerto alla Chiesa più di cento vescovi, tanti parroci e insegnanti destinati ai seminari e alle facoltà teologiche del Brasile».
Dal 3 aprile del 1934, giorno della fondazione, a oggi, 1.900 studenti hanno varcato la soglia del Pio Brasiliano.
Partiti in 34, si sarebbero ridotti a 12 durante la Seconda guerra mondiale, per poi riprendere quota e battere il record delle presenze nell’anno accademico 1954-1955, con ben 130 ospiti, di cui 102 seminaristi e 28 sacerdoti. Nei primi venticinque anni il Collegio ha accolto quasi solo seminaristi. Ma tra il 1959 e il 1968, ovvero gli anni del Concilio e del dopo Concilio, «si passò dall’entusiasmo alla confusione, fino ad arrivare, nel 1978, a 6 seminaristi e 47 sacerdoti», puntualizza ancora l’anziano professore. «Oltre alla crisi delle vocazioni, un altro motivo del crollo fu che i vescovi brasiliani decisero di non mandare più seminaristi a Roma anche perché era sorta in Brasile una discreta rete di seminari diocesani, dove vigeva quello che allora fu definito il “sistema brasiliano”, impostato su criteri ritenuti più democratici. Da allora, qui si decise di ospitare soprattutto giovani già ordinati sacerdoti che venivano a Roma per perfezionare gli studi».
Durante il Concilio, al Brasiliano sono passati teologi del calibro di Hans Küng, Karl Rahner, Joseph Ratzinger, Yves Congar, Marie-Dominique Chenu, Edward Schillebeeckx per tenere conferenze affollatissime. C’erano a Roma, durante il Concilio, oltre trecento vescovi brasiliani, e molti di loro alloggiavano al Collegio. Insomma, un momento di straordinaria vivacità. «Poi c’è stato il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, considerato il momento della grande restaurazione», ricorda ancora padre Pastor, «dove le grandi nebbie parvero diradarsi. Anche se molte vocazioni, in quel periodo, dimostrarono di avere poca consistenza. E infatti, molti se ne sono andati».

La facciata del Collegio

La facciata del Collegio

Il “cambio della guardia”
Il grande edificio a forma di “H” è circondato dai pini secolari della campagna romana. Che, a un certo punto, hanno dovuto lasciare un po’ di spazio alle araucarie, i cosiddetti pini del Brasile, un po’ più bassi di quelli romani, e agli alberi di avocado. Nell’orto che cresce alle spalle del Collegio spuntano i chou-chou, puntute zucchine subtropicali che, pare, si usino nelle insalate. «Riusciamo a far crescere anche i kiwi e abbiamo straordinarie mimose che l’8 marzo regaliamo alle suore della Congregazione delle Figlie dell’Amore Divino, che collaborano con noi da anni». Padre Geraldo Antônio Coelho de Almeida mostra con un certo orgoglio il parco del Collegio, offerto all’ammirazione degli ospiti ogni 16 settembre, giorno dell’Indipendenza, e il 12 ottobre, festa di Nossa Senhora Aparecida, patrona del Brasile.
Con la facciata rivolta sulla via Aurelia, ecco la chiesetta edificata ai tempi di Napoleone. Da tempo chiusa per mancanza di fondi per proseguire i restauri. Il non essere riuscito a riaprirla è uno dei rimpianti di padre Geraldo, che dopo nove anni alla guida del Pio Brasiliano, lo scorso 25 marzo ha passato il testimone al nuovo rettore, padre João Roque Rohr. L’avvicendamento è avvenuto nel corso di una solenne concelebrazione presieduta dal cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, alla presenza dell’ambasciatore della Repubblica Federale del Brasile presso la Santa Sede, Luiz Felipe de Seixas Corrêa, anche lui arrivato a Roma da pochi mesi, e dell’ambasciatore della Repubblica Slovena presso la santa Sede, Ivan Rebernik.
L’altro rimpianto di padre Geraldo sarà quello di non aver potuto rivestire di mosaici le mura interne della cappella dedicata a Nossa Senhora Aparecida, edificata tra il 1964 e il 1966: una sorta di navicella agganciata all’ala posteriore dell’edificio. «Avevo anche in mente l’artista: padre Ivan Rupnik». Ma a parte i rimpianti di natura artistica, il rettore “emerito”, in attesa di tornare in patria, lascia un Collegio in buona salute: all’inizio del prossimo anno accademico gli ospiti saranno 115 in tutto, 12 in più rispetto a quello appena trascorso. «Arrivano a Roma, con molti anni d’esperienza alle spalle: alcuni di loro sono stati parroci, altri direttori di seminari, altri ancora giudici di tribunali ecclesiastici, coordinatori di pastorale, amministratori diocesani». Davanti a una gigantesca carta geografica del Brasile, padre Geraldo spiega: «I seminari più rigogliosi, in questi ultimi tempi, sono quelli degli Stati del Norte e del Nordeste». A fronte di una discreta ripresa dei sacerdoti diocesani che attualmente sono 11.778, padre Geraldo accenna a una crisi vocazionale tra i religiosi che oggi in Brasile hanno 7.313 sacerdoti. Differenza che si registra anche per quel che riguarda il numero dei seminaristi: 3.555 nei seminari religiosi e 5.731 in quelli diocesani.

Il grande mosaico raffigurante Nossa Senhora Aparecida, patrona del Brasile, nell’ingresso del Collegio

Il grande mosaico raffigurante Nossa Senhora Aparecida, patrona del Brasile, nell’ingresso del Collegio

La vita degli studenti
«È un vero privilegio studiare qui, accanto al Papa, incontrare i migliori docenti di teologia del mondo. Per noi Roma è il luogo della memoria cristiana e la città universitaria per eccellenza. Possiamo confrontare l’impostazione teologica che ci portiamo dal Brasile con quella del centro del cristianesimo». Padre Leandro de Carvalho Raimundo, 31 anni, sacerdote da quasi cinque, viene da Pouso Alegre, nello Stato del Minas Gerais, nel Sudeste del Brasile. Il suo obiettivo è insegnare in una facoltà teologica. Sta frequentando il secondo anno di dottorato presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e si sta specializzando in Teologia dei sacramenti, in particolare, nel sacramento dell’Ordine. «Lo studio non è l’unica occupazione: ogni mattina vado a dir messa fuori dal Collegio, dalle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia. Nel corso dell’anno arrivano richieste di aiuto da molti parroci italiani e durante le vacanze estive raggiungo un piccolo paese di quattrocento anime vicino a Bergamo per dare una mano. Là trovo ancora molto attaccamento alla Chiesa e ai sacramenti. E per me è molto utile conoscere la vostra situazione e confrontarla con la nostra. Certo, i preti da noi sono insufficienti rispetto ai 180 milioni di abitanti. Ma le nostre chiese sono stracolme di giovani, sono piene di gioia. Cosa che, purtroppo, accade di meno in Italia, dove le parrocchie sono frequentate per la maggior parte da persone mature».
Oltre allo studio e all’attività pastorale, gli studenti del Brasiliano sono coinvolti direttamente nella gestione del Collegio. Accanto alla Direzione – formata da: rettore, vicerettore, prefetto degli studi, direttore spirituale, responsabile economo e della manutenzione – si muove il Consiglio degli studenti, con tanto di presidente, vicepresidente e cinque responsabili di dipartimenti: liturgico, pastorale, sociale, culturale e ricreativo-sportivo. Si è costituito il Comitato degli studenti per i festeggiamenti del settantacinquesimo anniversario della fondazione del Collegio, che si concluderanno il 19 giugno, festa del patrono del Brasiliano, il Sacro Cuore di Gesù, con una solenne concelebrazione presieduta dal preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás.
«I nostri statuti prevedono che si utilizzi questo Collegio non come un dormitorio. Siamo sollecitati a prendere decisioni per la vita del Collegio in collaborazione con la direzione», chiarisce padre Jânison de Sá Santos, nato quarant’anni fa a Propriá, una piccola città del Sergipe. È al secondo anno di dottorato e si sta specializzando in Pastorale catechetica all’Università Salesiana. «Gli anni che passiamo qui non vanno sprecati, soprattutto per quel che riguarda la nostra crescita spirituale. E Roma, in questo, è decisiva: le chiese, le catacombe, i sepolcri dei martiri aiutano a sostenere la nostra fede. E, nonostante i mille impegni, facciamo di tutto, per esempio, per assistere alla messa ogni giorno, tutti insieme qui al Collegio. O per confrontarci costantemente con il rettore per capire come sta procedendo la nostra formazione. Anche perché qui, al di là del gioco di parole, si formano i formatori. La maggior parte di noi andrà a insegnare nei seminari e nelle facoltà teologiche». Alcuni di loro, ci spiega ancora padre Jânison, torneranno a fare i parroci. Non sanno dove, perché la destinazione la decideranno i vescovi delle rispettive diocesi.
Quando proviamo ad affrontare il tema dell’aggressione delle sette evangeliche nei confronti del grande corpo del cattolicesimo brasiliano, interviene padre Geraldo, che alla fine di giugno tornerà in patria. «Le sette evangeliche stanno aggredendo anche l’Europa, l’Africa e gli Stati Uniti. Il Brasile è immenso e questo se lo scordano un po’ tutti quelli che azzardano statistiche e analisi. Buona parte dei milioni e milioni di cattolici, fin dall’epoca coloniale, sono rimasti senza sufficiente assistenza. E questo problema si è trasmesso di generazione in generazione. In mancanza di chiese e di preti, la gente si affida a chi le si para davanti, cioè alle sette evangeliche che si autoriproducono in maniera esponenziale soprattutto nei grandi centri urbani (San Paolo ormai ha toccato i venti milioni di abitanti) raggiunti da migliaia di immigrati. Nel Nordeste, per esempio, il novanta per cento della popolazione è rimasta cattolica anche perché non c’è il fenomeno dell’immigrazione. I pastori evangelici promettono di tutto: carriera, salute, soldi, grazie a immense possibilità economiche provenienti dagli Stati Uniti e alla continua propaganda attraverso mass media potentissimi che si contendono nei loro programmi attori, cantanti, star del calcio. Dicono quello che le persone aspettano di sentirsi dire. E a rimanere impigliata nella rete è la gente senza sostegni e riferimenti sociali, senza istruzione. Intendiamoci bene: la gente non è stufa della Chiesa. È che i sacerdoti brasiliani non riescono a coprire tutti gli spazi. E le persone che si affidano alle sette sarebbero lontane comunque».


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